Dichiarazione fraudolenta: non necessario l’utilizzo del falso credito IVA
di Angelo GinexAi fini dell’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, non è necessario che alla presentazione della dichiarazione recante l’indicazione di un falso credito Iva (mediante rimborso o compensazione), faccia immediatamente seguito lo sfruttamento economico dello stesso.
Sono queste le conclusioni desumibili dalla sentenza n. 3761 depositata ieri 3 febbraio, con la quale la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della competente Corte di appello.
La vicenda in esame trae origine dalla condanna inflitta a carico di due soggetti (uno amministratore di diritto e l’altro socio e amministratore di fatto di una S.r.l.), all’esito del giudizio abbreviato, da parte del G.U.P. del competente Tribunale, per i reati fiscali di cui agli articoli 2 e 8 D.Lgs. 74/2000, avendo indicato nella dichiarazione annuale Iva 2012 un falso credito Iva, relativo ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Tale condanna veniva confermata anche all’esito del giudizio di appello e, pertanto, i due imputati proponevano ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di doglianza. Ai fini che qui interessano, tra gli altri, essi denunciavano il vizio di violazione di legge in relazione ai reati di cui agli articoli 2 e 8 D.Lgs. 74/2000, nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione.
In particolare, essi lamentavano che la motivazione della pronuncia gravata fosse contraddittoria laddove aveva ritenuto sussistente il dolo specifico di evasione, pur avendo preso atto che il contestato credito Iva, asseritamente fittizio nella dichiarazione Iva del 2013, non era stato utilizzato in compensazione, e a nulla valendo che gli stessi avrebbero potuto pacificamente farlo.
Inoltre, i ricorrenti eccepivano che la sentenza impugnata fosse viziata altresì nella parte in cui si faceva riferimento alla sussistenza del fine di evasione dell’Iva per il 2012, mentre era evidente che, se tale emissione aveva il fine di operare un’indebita compensazione, il periodo di imposta interessato non poteva che essere quello successivo (quindi, il 2013 e non il 2012).
Come anticipato, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dai due soggetti condannati, ritenendo fondata la doglianza relativa alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa la sussistenza del dolo specifico di evasione.
Più precisamente, i giudici di legittimità hanno rammentato che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, risulta integrato dalla mera indicazione, in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di elementi passivi fittizi, effettuata avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e finalizzata ad evadere le suddette imposte.
Conseguentemente, «non è affatto necessario per l’integrazione della fattispecie – così come precisato dalla Suprema Corte – che alla presentazione della dichiarazione recante tale fraudolenta indicazione faccia immediatamente seguito lo sfruttamento “economico” del falso credito Iva (mediante rimborso o mediante compensazione)».
Piuttosto, così come sottolineato dai giudici di vertice, occorre la consapevole indicazione degli elementi passivi documentati dalle fatture emesse per operazioni inesistenti nel precedente anno di imposta, in relazione alle quali non sussiste il diritto alla detrazione ai sensi dell’articolo 19 D.P.R. 633/1972, che conduce alla logica conclusione della sussistenza del dolo.
Ricostruito il quadro normativo di riferimento, la Corte di Cassazione ha affermato che, effettivamente, nella motivazione della sentenza impugnata «non è rinvenibile una convincente spiegazione circa la sussistenza della prova del dolo di evasione».
Infatti, anche se il mancato utilizzo finale del falso credito Iva potrebbe essere dipeso dall’intervenuto accertamento della Guardia di Finanza, è stato evidenziato che i giudici di appello hanno sostenuto che lo stesso non era stato utilizzato nel 2013, e ciò contraddice l’affermazione contenuta nella pronuncia di primo grado, nella quale si era affermato che nelle dichiarazioni Iva risultava indicata la detrazione del credito Iva relativo all’esercizio 2012.
Da ultimo, i giudici di legittimità hanno concluso che la lettura delle due decisioni di merito, anziché rafforzare l’affermazione della responsabilità penale dei due condannati, non fa altro che rendere ancora più confusa la comprensione della ratio decidendi della sentenza impugnata, risultando per nulla trascurabile l’incongruenza sull’annualità oggetto di contestazione.
Per le suesposte ragioni, quindi, la pronuncia impugnata è stata annullata con rinvio attesa la evidente necessità di riesaminare la valutazione relativo al dolo specifico di evasione.