L’ammissione al passivo dei crediti sorti nel corso del fallimento
di Luigi FerrajoliArgomento di particolare interesse riguarda, in materia fallimentare, l’applicabilità o meno del termine decadenziale, previsto dall’articolo 101 L.F., ai crediti sopravvenuti alla dichiarazione di fallimento.
La questione è stata molto discussa e la giurisprudenza, nel corso del tempo, ha cercato di fare chiarezza sulla faccenda, delineando in sostanza tre orientamenti interpretativi.
In prima battuta, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17594/2019, ha ritenuto che: “per ragioni di speditezza e concentrazione dell’accertamento del passivo, anche la domanda di accertamento dei crediti prededucibili di massa contestati, come quella dei crediti concorsuali, deve corrispondere a uno dei tre modelli disciplinati dal legislatore fallimentare (domanda tempestiva, tardiva o ultratardiva) […] sicché la scusabilità del ritardo per il superamento del termine decadenziale di cui alla L. Fall., articolo 101, comma 1 e la conseguente ammissibilità della domanda ultratardiva ricorrerà tutte le volte in cui, in ragione dell’epoca di maturazione del credito, non sia stato oggettivamente possibile rispettare il predetto termine. Con la precisione che, con l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, anche la ragionevolezza del ritardo risulterà legislativamente predeterminata, nella misura di sessanta giorni a decorrere dal momento in cui la domanda poteva essere presentata”.
Sennonché, un secondo e diverso orientamento ha escluso che l’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare sia soggetta al termine di decadenza previsto dall’articolo 101, comma 1, affermando che “ai crediti sopravvenuti non si applichi il termine decadenziale di dodici (o sino a diciotto) mesi, di cui alla L. F., articolo 101, comma 1 e u.c. In mancanza di una esplicita indicazione testuale, ciò s’impone per ragioni di ordine logico – sistematico” (Cassazione Civile, sentenza n. 1391/2019).
Nello specifico, la Corte di Cassazione, con la sentenza citata, riprendendo i principi sanciti in precedenza dalla medesima, ha ritenuto di escludere l’applicabilità del termine decadenziale di dodici (o diciotto) mesi dal deposito di esecutività dello stato passivo, di cui all’articolo 101, commi 1 e 4 L.F., nei confronti dei crediti sopravvenuti (per tali propriamente intendendo i crediti che vengono a maturare le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare dopo la sentenza dichiarativa di fallimento).
Ciò posto la Corte, recentemente analizzando i principi precedenti e pur partendo dalla medesima premessa che ha caratterizzato il secondo orientamento, è giunta a conclusioni ancora diverse, negando che in questi casi i crediti così sorti non siano soggetti ad alcuno sbarramento temporale per la presentazione dell’insinuazione.
Secondo questo più recente orientamento, la non imputabilità del ritardo e la sopravvenienza del credito non sono situazioni che si sovrappongono in modo perfetto.
Nel caso in cui il termine, al momento del sorgere del credito, non sia scaduto, al creditore sopravvenuto residuerebbe, per provvedere all’insinuazione, un tempo comunque più breve di quello a disposizione dei creditori preesistenti, con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio dell’uguaglianza (articolo 3 Cost.) e del diritto di azione in giudizio (articolo 24 Cost.).
Infatti, l’applicazione dell’articolo 101 L.F. ai crediti sopravvenuti introdurrebbe una decadenza non prevista dalla legge ma derivata da un intervento di natura pretoria, mettendo a repentaglio i principi espressi dall’articolo 24 Cost..
Sulla base di tali premesse, la Suprema Corte, con la sentenza n. 12735/2021, ha ribadito che i crediti sorti nel corso della procedura fallimentare, pur non essendo soggetti ad alcun termine decadenziale (ossia quello previsto dall’articolo 101, comma 1, L.F.), “incontrano un limite temporale da individuarsi – in coerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’articolo 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’articolo 24 Cost. – nel termine di un anno, espressivo dell’attuale sistema in materia, decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo”.
In ultimo, il Giudice di Legittimità, con la recente sentenza n. 34435/2021, si è conformato al principio sopra esposto, statuendo che la domanda di insinuazione tardiva proposta nel caso di specie non potesse essere ritenuta intempestiva alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale in tema di termine annuale per far valere i crediti prededucibili sorti durante la procedura e oggetto di contestazione.