17 Febbraio 2022

L’integrazione o la modifica dell’avviso di accertamento

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Gli accertamenti emessi in sede di autotutela che incrementano la pretesa originariamente manifestata sono atti impugnabili, di regola, in sostituzione di quelli precedenti.

Nel caso di avvisi che invece riducono la pretesa, emessi sempre in via di autotutela, occorre fare una distinzione.

Se l’atto si limita a diminuire quantitativamente l’importo accertato, senza modificarne gli aspetti qualitativi, lo stesso non è un atto impugnabile, in quanto non determina l’insorgenza di un nuovo interesse ad agire.

Se invece la riduzione si accompagna a una variazione degli elementi costitutivi della rettifica, allora l’avviso deve ritenersi sostitutivo del precedente e in quanto tale impugnabile.

Sono le affermazioni contenute nell’ordinanza n. 39808/2021, depositata lo scorso 14 dicembre dalla Cassazione, che richiedono attenzione da parte degli operatori nella esatta comprensione dei provvedimenti emessi dal Fisco.

Un contribuente aveva ricevuto un secondo avviso di accertamento che aveva rideterminato la pretesa contenuta nel primo, senza impugnare nessuno dei due.

La parte, in sede di impugnazione della successiva cartella di pagamento, aveva sostenuto con successo che il secondo atto aveva comportato la caducazione del primo, con l’effetto che l’avviso posteriore avrebbe dovuto recare le indicazioni di legge sulle modalità di proposizione del ricorso.

In assenza di tali indicazioni, il contribuente chiedeva dunque l’annullamento parziale della cartella.

La Corte ha affermato che non sempre l’atto emesso in via autotutela deve considerarsi sostitutivo del primo, con conseguente riapertura dei termini per ricorrere.

In presenza di avviso che incrementa il quantum originariamente accertato, il nuovo provvedimento innova i termini della rettifica e dunque riapre la possibilità di contestare la stessa, a prescindere da quanto accaduto sul primo atto.

Non sempre è lo stesso, invece, in caso di riduzione in autotutela.

Se si tratta di una mera modifica quantitativa dell’atto originario, non è ravvisabile un interesse ad agire del contribuente e pertanto l’unico avviso impugnabile resta il primo.

Se invece la riduzione riviene dalla rivisitazione dei termini del primo accertamento, allora il secondo atto dovrà intendersi sostitutivo di quello precedente e potrà pertanto essere opposto ex novo.

Secondo la Corte di Cassazione l’integrazione o la modificazione “in aumento” dell’originario avviso, in quanto determina una “nuova” pretesa tributaria rispetto a quella originaria, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento, che aggiungendosi o sostituendosi a quello originario, indichi i nuovi elementi di fatto, di cui è sopravvenuta la conoscenza, come prescritto dall’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973, a garanzia del contribuente, a differenza della modifica in diminuzione, che non necessita di forme o motivazioni particolari, in quanto non integra una nuova pretesa tributaria, ma si risolve in una mera riduzione di quella originaria (Cassazione, sentenza n. 22019/2014).

La conseguenza di tale orientamento è che l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione Finanziaria in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione dell’articolo 19 D.Lgs. 546/1992, e, pertanto, non è neppure impugnabile, dal momento che non comporta alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento (Cassazione, sentenza n. 7511/2016 e sentenza n. 29595/2018).

Ciò assume rilevanza anche quando gli atti di annullamento parziale siano stati notificati prima del decorso dei sessanta giorni dalla notifica degli atti impositivi pregressi, le cui pretese fiscali siano state ridotte.

Se questo vale in termini generali va, tuttavia, precisato che non può ritenersi che qualunque modificazione quantitativa della pretesa fiscale già contenuta nel primo atto impositivo, quantunque divenuto definitivo, abbia in sé elementi innovativi, tali da modificare il fondamento del rapporto giuridico d’imposta fissato con il primo atto.

È vero, peraltro, che il discrimine fra modifiche meramente quantitative della pretesa fiscale e modifiche incidenti sulla struttura della pretesa fiscale, per implicare nuovi elementi di fatto, sopraggiunti rispetto al momento della formazione e notificazione dell’atto impositivo poi sostituito, non sempre può essere identificato nella diminuzione o nell’aumento della pretesa.

Non può infatti escludersi che la diminuzione dell’imponibile accertato con il primo atto trovi causa non in un mero ricalcolo quantitativo, che pacificamente non sposta gli elementi strutturali dell’accertamento, ma incida invece proprio su tali elementi.

In questo caso deve ritenersi che la nuova rideterminazione della pretesa fiscale, pur ridotta rispetto all’atto impositivo originario caducato per autoannullamento, introduce comunque nel rapporto fiscale elementi di novità, tali da far ritenere che il nuovo atto notificato al contribuente sia un nuovo avviso di accertamento, e ciò al pari dell’ipotesi dell’aumento.

Anche per tali fattispecie, dunque, l’atto successivo, intervenuto con autoannullamento del pregresso, ha interamente sostituito quest’ultimo, e richiede per la sua formazione l’osservanza di tutti i requisiti propri di un qualunque avviso di accertamento.

È necessario, quindi, un esame caso per caso del provvedimento impositivo, che segue quello annullato in autotutela, per verificare se le modificazioni apportate alla pretesa fiscale introducano o meno elementi innovativi idonei a modificare il fondamento del rapporto giuridico d’imposta circoscritto con il primo atto.