La prova della scientia decoctionis nella revocatoria fallimentare
di Luigi FerrajoliNell’ambito della procedura concorsuale, ove il curatore solleciti la declaratoria di inefficacia di un atto ai sensi dell’articolo 67, comma 2, L.F., deve fornire la prova della sussistenza del presupposto soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza in capo all’accipiens, conoscenza che deve essere effettiva e non meramente potenziale.
In tale contesto, la prova può essere fornita in via diretta, tramite la confessione del convenuto o la prova che l’accipiens sia stato informato – dal solvens o aliunde – dello stato di insolvenza, oppure in via presuntiva, sulla base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che “conducano il giudice a ritenere che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza e avvedutezza … non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore” (Cassazione Civile n. 2916/2016).
La sussistenza del requisito della scientia decoctionis può quindi essere desunta da presunzioni evincibili da circostanze esterne obiettive e tali da indurre ragionevolmente una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza a ritenere che la controparte del rapporto si sia trovata in stato di dissesto economico.
A tal fine, assume rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento in cui è stato compiuto l’atto impugnato e non pure la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche della controparte.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi in merito alle caratteristiche delle notizie di stampa da cui ricavare, per l’appunto, in via presuntiva, la prova dell’insolvenza in capo al destinatario dell’azione revocatoria fallimentare e ha ritenuto come, ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis, il giudice possa avvalersi di tali presunzioni purché si basino sul fatto che, secondo l’id quod plerumque accidit, una notevole parte della popolazione (ivi inclusa quella che dirige o collabora all’attività d’impresa) è solita consultare la stampa ed informarsi di quanto essa pubblica, comprese le notizie relative allo stato di dissesto della società poi fallita (Cassazione Civile, n. 3299/2017 e Cassazione Civile, n. 11546/2019).
In tale contesto, è stata pertanto attribuita la piena idoneità della pubblicazione di articoli di stampa a costituire indizio da cui poter trarre la prova ex articolo 2729 cod. civ. della sussistenza della scientia decoctionis da parte dell’accipiens ed è stato specificamente rilevato il potere in capo al giudice di merito di valutare “le caratteristiche della campagna di stampa e più precisamente, il numero di notizie pubblicate, il loro carattere nazionale o meno, la descrizione della gravità della situazione ivi rappresentata e la dovizia dei particolari in esse contenuti, tutti argomenti idonei per determinare se l’accipiens sia venuto o meno a conoscenza della crisi dell’impresa” (Cassazione Civile, n. 699/1997).
Nell’ambito così delineato, è giunta a pronunciarsi recentemente la Suprema Corte, che, con la sentenza n. 23650/2021, si è nuovamente interrogata circa il fatto che la pubblicazione di articoli di giornale recanti la notizia della crisi di una società, poi, dichiarata fallita, potesse essere valorizzata, ai fini indiziari, facendo così presumere la conoscenza dello stato di insolvenza in capo al soggetto che aveva ricevuto i pagamenti, poi oggetto di azione revocatoria fallimentare.
Ebbene, in ragione dei principi esposti, la Suprema Corte ha ritenuto che il quantitativo di 41 articoli relativi al gruppo di una società pubblicati anche via web in un intervallo temporale di sette mesi – in cui era stato possibile evincere lo stato di insolvenza della società e la conseguente ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria – potessero essere rilevatori, seppur in via presuntiva, di una conoscenza delle condizioni economiche e organizzative del debitore.
Nel caso specifico, i giudici di merito, avevano errato nel valorizzare le fonti di conoscenza rappresentate dalle notizie di stampa, poiché non avevano valutato le caratteristiche della campagna giornalistica, ovvero il numero di notizie pubblicate, il loro carattere nazionale, la descrizione della gravità della situazione ivi rappresentata e la dovizia dei particolari in esse contenuti, tutti elementi rilevanti al fine di trarre la prova della sussistenza della scientia decoctionis.
La Cassazione ha quindi confermato, ai fini della valutazione del raggiungimento della prova nella revocatoria fallimentare, il potere attribuito al giudice di merito di avvalersi di presunzioni semplici, come quella fondata sulla consultazione della stampa, da cui apprendere le notizie relative allo stato di dissesto della società poi fallita.
Gli articoli pubblicati e la loro diffusione su scala nazionale rappresentano quindi elementi rilevanti per trarre la prova ai sensi dell’articolo 2729 cod. civ. della sussistenza della scientia decoctionis, con la conseguenza che il loro esame complessivo può permettere la deduzione del fatto ignoto dal cosiddetto fatto noto e assurgere a prova presuntiva.