La vidimazione dell’intermediario non prova la presentazione della dichiarazione
di Angelo GinexLa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15689 depositata ieri 17 maggio, è tornata ad affrontare il tema della prova necessaria a dimostrare l’avvenuta presentazione della dichiarazione fiscale.
Nel caso di specie, il contribuente, esercente la professione di architetto, risultava destinatario di un avviso di accertamento ai fini Irpef, Irap e Iva, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi professionali, dalla stessa ricostruiti in via presuntiva.
L’architetto impugnava tale atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che rigettava il ricorso. Seguiva ricorso in appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, la quale, però, rigettava anch’essa il gravame.
Così il contribuente proponeva ricorso in Cassazione eccependo cinque motivi di doglianza. Tra gli altri, ai fini che qui interessano, l’architetto lamentava la violazione e falsa applicazione degli articoli 39 e 41 D.P.R. 600/1973 in quanto, a suo dire, il giudice di appello aveva erroneamente escluso che l’esibizione di dichiarazione vidimata dell’intermediario fosse sufficiente ad escludere l’ipotesi dell’omessa dichiarazione del modello unico per l’anno d’imposta accertato.
Detto in altri termini, secondo l’assunto del contribuente, nella ipotesi in cui l’Agenzia delle Entrate contesti l’omessa presentazione della dichiarazione fiscale, la prova contraria può essere offerta depositando detta dichiarazione con timbro e firma dell’intermediario.
Ebbene, la Corte di Cassazione, investita della questione, ha affermato che la tesi del contribuente è infondata, poiché la vidimazione dell’intermediario, resa nella dichiarazione modello unico relativa all’annualità oggetto di accertamento, non costituisce equipollente della trasmissione della dichiarazione fiscale da parte del soggetto incaricato, né tantomeno prova della sua effettiva presentazione.
In particolare, i giudici di legittimità hanno osservato che, secondo quanto previsto dall’articolo 3 D.P.R. 322/1998 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto), «la prova dell’avvenuta presentazione della dichiarazione dei redditi tramite professionista incaricato, è costituita esclusivamente dalla comunicazione dell’Agenzia delle Entrate attestante l’avvenuta ricezione».
Dunque, deve ritenersi che non abbiano un valore probatorio sufficiente – così come precisato dalla Suprema Corte – sia l’impegno dell’intermediario alla trasmissione della dichiarazione dei redditi, sia qualsiasi altra dichiarazione o vidimazione dallo stesso rilasciata.
Piuttosto, si è rilevato che, ai sensi dell’articolo 3 citato, la prova della presentazione della dichiarazione fiscale è data soltanto dalla ricevuta della banca, dell’ufficio postale o di uno dei soggetti a ciò deputati. D’altronde, è proprio la disposizione richiamata a prescrivere che l’intermediario rilasci al contribuente o al sostituto d’imposta la ricevuta di presentazione della dichiarazione.
La suddetta ricevuta – hanno affermato i giudici di vertice – non soltanto dimostra l’avvenuta consegna della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente, ma è necessaria anche per verificare la tempestività della consegna stessa, al fine di assicurare il controllo sul regolare adempimento degli obblighi di presentazione della dichiarazione.
Peraltro, si è precisato che il rapporto tra l’intermediario e il contribuente ha senza alcun dubbio natura privatistica, sebbene i compiti svolti dal primo nei confronti dell’amministrazione finanziaria siano assolutamente rilevanti; né tantomeno tale rilevanza può comportare che il soggetto passivo sia esonerato da una qualche responsabilità derivante dagli obblighi fiscali.
Sulla base di quanto sopra esposto, quindi, la Corte di Cassazione ha concluso che la vidimazione da parte dell’intermediario non risponde ai requisiti di forma e sostanza previsti per la documentazione che il professionista incaricato è tenuto a rilasciare al contribuente nello svolgimento della sua attività.
Pertanto, il ricorso proposto dall’architetto è stato rigettato dalla Suprema Corte con condanna anche al pagamento delle spese di lite.