Cessione licenza per taxi: la relazione della GdF va valutata con rigore
di Angelo GinexLa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17504 depositata ieri 31 maggio, si è pronunciata in tema di prova nell’accertamento analitico-induttivo ex articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 avente ad oggetto la plusvalenza realizzata con la vendita di una licenza per taxi.
La vicenda in esame trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate rideterminava il valore della plusvalenza realizzata da un contribuente con la cessione di una licenza per taxi. Detto accertamento, emesso su base presuntiva ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, veniva impugnato dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale, che, in accoglimento parziale del ricorso, riduceva il valore accertato della plusvalenza.
Tale pronuncia veniva impugnata con ricorso in appello principale dell’amministrazione finanziaria e atto di controdeduzioni e appello incidentale del contribuente. La Commissione tributaria regionale della Toscana, dopo aver disposto d’ufficio l’acquisizione di informazioni alla Guardia di Finanza circa il costo medio di una licenza per taxi nel Comune di Firenze nell’anno oggetto di accertamento, accoglieva il gravame erariale, respingendo quello incidentale del contribuente.
In particolare, il giudice di appello sosteneva che il corrispettivo indicato nell’atto di cessione fosse contrario ad ogni logica di mercato e che la relazione della Guardia di Finanza consentisse di ritenere corretto il valore della plusvalenza così come rideterminato nell’avviso di accertamento.
Per tale ragione, il contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a ben quattro motivi di doglianza. Tra gli altri, ai fini che qui interessano, egli lamentava la violazione dell’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, deducendo che la Commissione tributaria regionale della Toscana aveva fondato la sua decisione sulla operatività di presunzioni sfornite del necessario carattere di gravità, precisione e concordanza.
A tal fine, il contribuente rilevava che il giudice di appello aveva fondato la sua decisione sulla stima del valore medio di una licenza taxi come operata dalla Guardia di Finanza o da notizie giornalistiche, quindi su dati privi di scientificità e verificabilità e non su un dato certo.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso sulla base dei principi che governano il ricorso alla prova per presunzioni, così come sanciti dalle Sezioni Unite, sin dalla sentenza n. 9961/1996.
Essa ha rammentato che la prova per presunzioni rappresenta uno strumento che permette al giudice di arrivare alla conoscenza di un fatto, la cui diretta dimostrazione non sia possibile, attraverso un procedimento logico che consente di desumerlo da un fatto noto; in tal senso, e quando si fa riferimento alle presunzioni semplici, è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile da quello noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza (cfr., Cass. n. 21403/2021; Cass. n. 1163/2020).
Ciò detto, i giudici di vertice hanno osservato che la sentenza impugnata non consente di comprendere quali siano i fatti noti dai quali è stata desunta la fondatezza della pretesa erariale, dal momento che ha escluso la rilevanza delle circostanze individuate dall’amministrazione; inoltre, la CTR della Toscana ha attribuito rilievo a circostanze prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, compiendo un generico riferimento ai dati emergenti dalla relazione della Guardia di Finanza, che tuttavia non è stata valutata con il dovuto rigore, specie in considerazione del fatto che risulta redatta con criteri puramente empirici.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di una licenza per taxi, ove l’Ufficio si sia avvalso della prova a mezzo di presunzioni semplici ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e la rispondenza di questi ai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge e la sussistenza di un rapporto causale, nonché ad accertare che il fatto da provare sia desumibile da quello noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza».
In conclusione, sulla base di quanto sopra, la sentenza è stata cassata con rinvio alla CTR della Toscana in diversa composizione, affinché si pronunci tenendo conto del principio indicato.