Accertamento bancario: è valida prova contraria la “vincita” al casinò e non il mero ingresso
di Angelo GinexIn tema di accertamento bancario, al fine di superare la presunzione legale prevista in favore dell’amministrazione finanziaria dagli articoli 32 D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972, costituisce valida prova contraria la dimostrazione delle “vincite” alle case da gioco, e non del mero accesso alle stesse.
È questo il principio di diritto desumibile dalle motivazioni espresse dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 18245 depositata ieri 7 giugno, nella quale è tornata ad occuparsi del tema della prova contraria in caso di accertamento bancario.
La fattispecie in esame trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento da indagini finanziarie ex articoli 32 D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972, mediante il quale l’amministrazione finanziaria contestava ad un dipendente pubblico un maggior reddito sulla base dei versamenti in contanti da questi effettuati sul proprio conto bancario.
Tale atto veniva impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bolzano, che rigettava il ricorso non condividendo le ragioni esposte dal contribuente. Quest’ultimo proponeva ricorso in appello innanzi alla Commissione tributaria provinciale di secondo grado di Bolzano, che, in riforma della pronuncia di prime cure, apprezzava la controprova delle vincite di gioco maturate all’estero.
Pertanto l’amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi di doglianza. Con il primo motivo essa lamentava la violazione dell’articolo 32, comma 1, nn. 2 e 7, D.P.R. 600/1973, ritenendo non superabile, con una diversa presunzione, la prova presuntiva semplice della ripresa a tassazione del maggior reddito dedotto in base a versamenti in contante su conto bancario. Con il secondo motivo la medesima censurava la violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ., ritenendo non superabile, con elementi indiziari o con una presunzione (altrettanto) semplice, la presunzione semplice fissata dalla legge in favore dell’amministrazione finanziaria.
Ebbene, la Corte di Cassazione, dopo aver precisato di trattare congiuntamente i motivi di ricorso sopra indicati per l’evidente connessione tra gli stessi, ha affermato che essi sono fondati.
Come noto, l’articolo 32 D.P.R. 600/1973 contempla una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi; tuttavia il contribuente, in virtù del principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici. Queste, comunque, devono essere sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati. Il significato di tali movimentazioni deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (cfr., Cass. n. 25502/2011; Cass. n. 11102/2017).
Ed infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che: «In tema di accertamenti bancari, gli articoli 32 D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (cfr., Cass. n. 13111/2020; Cass. n. 10973/2020)».
Sulla scorta di ciò, quindi, la suprema Corte ha concluso che la CTR ha errato poiché, a fronte delle risultanze degli accertamenti bancari e della circostanza che il reddito del contribuente era certificato in quanto dipendente statale, ha ritenuto plausibili le giustificazioni addotte dal contribuente, sebbene questi non avesse dato prova delle “vincite” alle case da gioco, ma solo degli accessi alle stesse.
Per tali ragioni, essa, in accoglimento del ricorso dell’Ufficio, ha cassato la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ha rigettato il ricorso originario del contribuente.