Etichettatura dei prodotti e Made in Italy: la Cassazione fa chiarezza
di Elena FraternaliCon la sentenza n. 23850 del 21.07.2022, la Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema della corretta etichettatura dei prodotti con riferimento all’apposizione sugli stessi del “Made in Italy”.
La Suprema Corte, a seguito di ricorso presentato da un contribuente dopo la conferma, da parte del Tribunale del riesame, del sequestro preventivo di circa 37.000 metri di tubi in gomma, ha richiamato i principi già espressi dalla giurisprudenza di legittimità e ha confermato l’operato del ridetto Tribunale specificando che la dicitura “Made in” non è essenziale al fine di integrare l’errata individuazione dell’origine italiana di un prodotto.
La vicenda riguarda l’importazione di una partita di tubi in gomma, prodotti da una società turca e destinati a una società italiana, recanti la stampigliatura “Italy”, a seguito della quale l’importatore è stato indiziato del reato di cui all’articolo 517 c.p. per immissione in commercio di prodotti industriali con indicazioni fallaci sulla loro origine.
Come noto, l’origine delle merci è uno degli elementi essenziali dell’obbligazione doganale e deve essere correttamente individuata al fine di consentire al consumatore finale di identificare il Paese in cui è stato realizzato un prodotto (c.d. Made in), verificare le eventuali misure di politica commerciale europea applicabili e individuare il trattamento daziario e le eventuali agevolazioni previste.
In particolare, in fase di commercializzazione di un determinato prodotto, l’etichettatura di origine serve per informare il consumatore circa l’origine territoriale dello stesso, consentendo una consapevole scelta di acquisto sulla base di tale dato.
Salvo che per determinati tipi di beni (i.e. agricoli, alimentari, cosmetici, medico-farmaceutici), né la normativa internazionale né quella nazionale prevedono un obbligo di indicazione del “Made in” di un bene.
Nel caso in cui l’imprenditore, dunque, importi o delocalizzi in un Paese extraeuropeo la produzione di un bene che intende commercializzare non ha un obbligo di positiva indicazione del luogo in cui lo stesso è realizzato ma, d’altra parte, neppure può indicare, sullo stesso, informazioni false o ingannevoli al riguardo.
A livello nazionale, la disciplina del “Made in Italy” è contenuta nella L. 350/2003 (Finanziaria 2004), all’articolo 4, commi da 49 a 49 quater. Tale disciplina prevede tre fattispecie sanzionabili: due configurabili come reato (falsa indicazione di origine e fallace indicazione di origine) e una come illecito amministrativo (fallace indicazione di origine attraverso l’uso del marchio).
L’articolo 4, comma 49, in particolare, sancisce che “L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale. […]”, che prevede la reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000 Euro.
Ai sensi della citata normativa, costituisce:
- falsa indicazione dell’origine la stampigliatura “Made in Italy” su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine;
- fallace indicazione dell’origine, l’apposizione, sia su prodotti privi di indicazioni di origine che su prodotti su cui è indicata un’origine e provenienza estera, di segni, figure o quant’altro, tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana;
- fallace indicazione dell’origine tramite l’uso del marchio (articolo 4 comma 49 bis, aggiunto dal L. 135/2009, articolo 16, comma 6), l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana.
Alla luce della citata normativa e dell’excursus ripercorso dalla stessa Cassazione nella precedente pronuncia n. 54521 del 16.06.2016, la Corte ha confermato l’operato del Tribunale del riesame ritenendo che la dicitura “Italy” impressa sui tubi presentati in dogana per l’immissione in commercio induca il consumatore a ritenere che la produzione di detti beni sia effettivamente avvenuta nel territorio italiano. E invero, in mancanza di indicazioni grafiche o etichette relative alla provenienza estera dei prodotti, l’indicazione della scritta “Italy” sui beni integra la fattispecie penale di cui all’articolo 517 c.p. senza che possa ritenersi essenziale – ai fini della configurazione del reato – la mancanza della precedente dicitura “Made in”, poiché la scritta in questione non avrebbe avuto altra ragione di essere apposta se non quella di ingannare i consumatori circa l’origine dei prodotti.