10 Ottobre 2022

Obbligo di analisi puntuale degli elementi difensivi addotti a fronte dell’accertamento bancario

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28121/2022, depositata il 27.09.2022, torna sull’annoso tema delle indagini finanziarie evidenziando con chiarezza un principio molto interessante circa l’obbligo, da parte del giudice di merito, di valutare in maniera analitica tutte le prove difensive prodotte dal contribuente accertato, non potendo giungere a delle conclusioni riassuntive altrimenti realizzandosi un evidente giudizio sommario.

Nel proprio ricorso per Cassazione il contribuente aveva sollevato una serie di eccezioni, lamentando sia la violazione del contraddittorio preventivo, in particolar modo per quanto concerne i tributi armonizzati (ossia l’Iva), sia la mancata compiuta motivazione circa il completo dossier documentale difensivo che era stato prodotto a fronte dei recuperi eseguiti mediante le indagini finanziarie.

Deve dirsi che la sentenza in commento esegue anche un interessante excursus circa l’obbligatorietà o meno del contraddittorio preventivo, argomento che però nel frattempo è stato interessato dall’importante modifica normativa che lo ha reso, di fatto, generalizzato.

Ad ogni buon conto i Supremi Giudici ribadiscono gli assunti che ormai governano tale istituto, evidenziando come:

  • in presenza di un PVC, “il dialogo” con l’Amministrazione finanziaria è di fatto garantito dalla possibilità per il contribuente di produrre, nei canonici 60 giorni di “fermo” dell’azione accertatrice, proprie motivazioni difensive. Sul punto è bene rammentare che la produzione di memorie difensive non è un obbligo, così come la tempistica al riguardo prevista è di tipo “ordinatorio”, nel senso che nulla vieta che le memorie siano prodotte anche successivamente a tale periodo (assumendosi però il rischio che nel frattempo l’ufficio competente decida di procedere all’emanazione dell’accertamento). Dopo di che non vi è un obbligo di “convocazione” del contribuente, posto che sarà sul piano documentale che il contraddittorio troverà esplicitazione (in ciò potendosi intuire che sussiste in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere motivazionale di esplicitare le ragioni del mancato accoglimento delle tesi di parte esposte nelle memorie illustrative);
  • deve comunque soddisfarsi la c.d. “prova di resistenza”, non potendosi proporre delle motivazioni meramente pretestuose, essendo invece necessario dimostrare che “la celebrazione del contraddittorio avrebbe potuto comportare un risultato diverso (cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e c-130/13, Kamino Internetional Logistics)”. Sul punto è bene sottolineare che a seguito dell’estensione generalizzata del contraddittorio preventivo, salvo alcune casistiche espressamente previste dal legislatore, ormai il soddisfacimento della prova di resistenza caratterizza sia i tributi armonizzati che non.

Accantonata tale doglianza, la Suprema Corte si concentra poi con attenzione sull’ulteriore eccezione mossa, atteso che il contribuente ha evidenziato come il secondo giudice di merito non abbia affatto analizzato nel dettaglio, e dunque motivato in sentenza, circa le compiute prove analitiche prodotte a fronte dei rilievi emergenti dall’indagine finanziaria svolta.

Sul punto è ferma la posizione assunta dai giudici di piazza Cavour, che nell’accogliere l’eccezione di parte e cassare la sentenza impugnata, evidenziano come:

  • non vi è dubbio che in materia di indagini finanziarie si sia in presenza di una presunzione legale relativa, posto che la norma consente di eseguire potenziali recuperi impositivi in riferimento alle movimentazioni non giustificate;
  • al contribuente è concessa la prova contraria, che deve essere analitica e non generica o per ammontari complessivi, ma riguardare le singole movimentazioni e dimostrare che le stesse, alternativamente, o sono riconducibili ad accadimenti che hanno già influenzato la determinazione del reddito del contribuente ovvero sono totalmente estranei allo stesso;
  • la corte di merito interpellata non può limitarsi ad un giudizio sommario, sulla base di una sorta di valutazione complessiva della posizione del contribuente, ma deve eseguire un esame analitico degli elementi probatori eventualmente allegati dalla parte a propria difesa. In particolare, così si esprimono i Supremi Giudici: “era a questo punto necessario che il giudice regionale, a fronte degli elementi addotti dalla contribuente a confutazione delle prove legali acquisite nell’accertamento, analizzasse la prova contraria”.

Trattasi, senza dubbio, di conclusioni oltremodo interessanti, soprattutto laddove i rilievi operati dai verbalizzanti siano sin troppo formalistici.

Fatta eccezione per le ipotesi dei conti correnti dedicati all’attività svolta, infatti, dove necessariamente deve (o quantomeno dovrebbe), esservi una perfetta riconciliazione delle movimentazioni agli accadimenti contabili, nelle altre tipologie di rapporti finanziari spesso si incrociano movimentazioni che hanno origini e ragioni diverse, che devono essere correttamente interpretate.

Si pensi, ad esempio, agli apporti dei familiari in connessione a specifici accadimenti ovvero alla gestione dei contribuenti “semplificati” o “forfettari”, che utilizzano solitamente conti promiscui, ossia destinati anche alla vita quotidiana.

Tali contribuenti, peraltro, non hanno obblighi specifici e quindi ben potrebbe accadere che decidano di trattenere il contante fatturato nell’arco di due settimane, per poi magari procedere ad un versamento solo parziale.

In tali ipotesi la singola movimentazione, a maggior ragione in considerazione dell’approdo della Cassazione dianzi commentato, ben potrà essere giustificata in maniera presuntiva appunto illustrando i diversi incassi precedenti e il ragionevole trattenimento di importi destinati alla vita quotidiana: sarà poi compito del giudice di merito apprezzare, o meno, la validità della tesi difensiva addotta.