Reclamo/mediazione con responsabilità del funzionario per il rifiuto immotivato
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365La mini riforma tributaria apportata con la L. 130/2022 interviene in maniera decisa nella direzione deflattiva del contenzioso, introducendo delle previsioni, sia nell’ambito del reclamo/mediazione che della conciliazione, tese ad “incentivare” l’accordo tra le parti o comunque a rendere più costoso l’eventuale diniego cui eventualmente segue la soccombenza nel giudizio di merito.
L’istituto del reclamo/mediazione è come noto attivabile in presenza di liti non rilevanti, aventi un valore non superiore a 50 mila euro (si rammenta che nelle generalità dei casi accertativi si considerano le sole imposte ai fini del calcolo del valore della lite).
Il contribuente, all’atto dell’introduzione del ricorso tributario, produce reclamo o una proposta di mediazione, soluzioni che devono essere vagliate dall’Amministrazione finanziaria nei successivi 90 giorni, durante i quali non si procede alla costituzione in giudizio.
In tale periodo il reclamo può essere accolto oppure può aversi una modifica alla proposta di mediazione o ancora la mera proposta di riduzione delle sanzioni, con conferma delle pretese impositive.
In caso di mancato accordo, nell’ulteriore termine di 30 giorni dalla conclusione del periodo dedicato alla fase di reclamo/mediazione è possibile formalizzare la costituzione in giudizio e proseguirà il contenzioso, fermo restando che le parti potranno eventualmente far ricorso all’istituto della conciliazione per tentare, nuovamente, di definire in via pacifica la controversia.
Una delle maggiori critiche rivolte alla procedura riguarda l’assenza di un “soggetto terzo” da interpellare, atteso che la controparte resta pur sempre l’ente che ha formalizzato il controllo.
Nel caso dell’Agenzia delle Entrate, infatti, si avrà un mero cambio fisico dell’interlocutore, passandosi dall’area accertamento all’area legale, ma pur sempre in seno alla medesima Agenzia ed inevitabili perplessità circa la completa autonomia di chi deve decidere.
In questo scenario interviene il legislatore, con due modifiche puntuali:
- da un lato, si aggravano le conseguenze in capo alla parte soccombente nel caso in cui il ricorso dovesse essere accolto sulla base di motivi esposti nel reclamo ovvero quando la mediazione non è conclusa ed il ricorso viene accolto recependo le medesime considerazioni oggetto dell’accordo di mediazione proposto e rifiutato. In pratica, se il giudizio si adagia sulla proposta di mediazione di una delle parti, ovvero accoglie la tesi del reclamo, in capo all’altra parte che ha rifiutato l’accordo vi sarà la condanna alle spese, che si ricorda è già prevista in misura maggiorata del 50% per le liti c.d. reclamabili;
- dall’altro viene prevista una particolare responsabilità erariale in capo al funzionario dell’ente impositore che ha determinato il rifiuto della mediazione, ma solo nell’ipotesi di rifiuto “immotivato”. Orbene proprio la configurazione di tale ipotetica mancanza di motivazione appare “criticabile”, posto che solitamente il rifiuto della mediazione da parte dell’ente impositore è effettuato con l’allegazione di contestuali controdeduzioni al ricorso introduttivo che, di fatto, assurgono a motivazione del rifiuto della proposta di reclamo/mediazione e conferma della pretesa erariale. Ciò posto, deve dirsi che in ogni caso l’inserimento di tale disposizione sarà di aiuto nell’aumentare la valutazione critica, da parte dell’Ufficio legale, dell’operato svolto dagli organi di controllo, proprio al fine di evitare chiamate in causa per la responsabilità erariale di errori, di fatto, commessi da terzi (i controllori), ancorché poi erroneamente ed “immotivatamente” avallati mediante il rifiuto del reclamo/mediazione. Sarà maggiore il vaglio critico e, presumibilmente, sarà maggiore la richiesta, verso gli uffici preposti al controllo, di evitare atteggiamenti vessatori e rivolti al famigerato “budget” da raggiungere (terminologia non gradita dall’Amministrazione finanziaria, ma nella sostanza applicata).
Quanto alla conciliazione, due sono gli interventi del legislatore della mini riforma. Anzitutto è stata introdotta la possibilità per la Corte di Giustizia Tributaria di proporre alle parti, sempre per le liti reclamabili, una conciliazione giudiziale, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.
Il giudice quindi, qualora ne ravvisa le condizioni normative, andrà a formulare una proposta conciliativa alle parti, sia in udienza che fuori udienza; nel caso di eventuale perfezionamento di detta conciliazione, avverrà la redazione del processo verbale in cui saranno indicate le somme dovute nonché i termini e le modalità di pagamento, mentre il giudice dichiarerà l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
È di tutta evidenza l’intendimento deflattivo perseguito per le liti minori: dapprima si cerca di intervenire mediante l’inasprimento delle sanzioni e l’eventuale responsabilità erariale; dopo di che, per le casistiche complesse rispetto alle quali il giudice medesimo non ritiene, in maniera tranciante, di accogliere una delle tesi di parte (perché altrimenti si avrebbe non solo l’esito del giudizio, ma anche la richiamata condanna alle spese in misura rafforzata), si stabilisce la possibilità di una proposta conciliativa da parte proprio dell’organo giudicante, “soggetto terzo e neutro”.
Rispetto a tale ultima evenienza sovviene poi una curiosità sul piano della “pratica operativa”, nel senso di comprendere quale sarà l’esito dell’eventuale prosieguo del giudizio nel caso in cui nemmeno la proposta conciliativa del giudice sarà accolta dalle parti. È alta la probabilità che lo stesso giudice confermi la sua tesi, ma è evidente che in capo alla parte che rifiuta si pone forte il problema di sostenere, con adeguate memorie difensive, il proprio convincimento per far cambiare opinione alla Corte.
Il secondo intervento in materia, con riferimento però all’istituto della conciliazione rivolto a tutte le liti, è infine stabilito che in caso di rifiuto immotivato della conciliazione da parte di una delle due parti della controversia, viene maggiorata del 50% la misura delle spese processuali a carico della parte che rifiuta senza motivo una conciliazione per poi vedersi riconosciuta dal giudice una pretesa inferiore a quanto proposto nella stessa.
In termini sostanziali si cerca, dunque, con la previsione di maggiori sanzioni, di “incentivare” le scelte deflattive, che si rammenta sono poi accompagnate anche da riduzioni delle sanzioni applicate, con benefici complessivi che non devono essere sottovalutati.