18 Novembre 2022

La preclusione al patteggiamento in caso di reati tributari

di Luigi Ferrajoli
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L’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. “patteggiamento”) fa parte dei procedimenti speciali previsti dal codice di procedura penale e consiste nell’applicazione, su istanza del Pubblico Ministero e dell’imputato, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria.

In via generale, il rito è consentito anche per quanto concerne gli illeciti tributari, il cui corpus è contenuto nel D.Lgs. 74/2000, con una importante specificazione.

L’articolo 13 bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000 prevede infatti che, per i reati tributari, l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché a seguito di ravvedimento operoso. Siamo dunque in ambito di ipotesi differente e ben più stringente rispetto alla mera “restituzione del profitto”.

Si tratta di una condizione di ammissibilità del rito, che esplica i suoi effetti anche per i fatti commessi precedentemente all’entrata in vigore della norma poiché la medesima, avendo natura processuale, è suscettibile di immediata applicazione.

Secondo la giurisprudenza, in ambito di fattispecie penal-tributarie, la preclusione al patteggiamento posta dal citato articolo 13 bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000 per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento opera solo con riguardo ai più gravi reati dichiarativi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5, richiamati dall’articolo 13, comma 2, dello stesso Decreto.

La recente sentenza n. 25656/2022 della Suprema Corte prende in esame proprio l’ammissibilità del rito nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, delitto previsto e punito dall’articolo 8 D.Lgs. 74/2000. Nel caso di specie, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello aveva proposto ricorso di legittimità per l’annullamento della sentenza di patteggiamento, sostenendo che il Giudice aveva errato nell’accogliere la relativa richiesta, non essendo state soddisfatte le condizioni previste dal richiamato articolo 13 bis.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando innanzitutto che l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti genera il debito tributario secondo quanto stabilito dall’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972: “se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

Poiché l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti genera l’obbligo del pagamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, ne consegue che per poter accedere al patteggiamento è necessario il pagamento integrale dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, come previsto dal richiamato articolo 13 bis.

Dal momento che il delitto di cui all’articolo 8 D.Lgs. 74/2000 fa sorgere il debito tributario, il Giudice di legittimità ha ritenuto che debba essere superato il principio espresso dalla precedente sentenza della Suprema Corte, n. 1582/2021, secondo cui all’articolo 8 D.Lgs. 74/2000 non si dovrebbe applicare la condizione ostativa prevista dal citato articolo 13 bis, sul presupposto logico, ancora prima che giuridico, che la “condizione di accessibilità al patteggiamento è che le condotte determinino un debito tributario a carico del loro autore che questi possa assolvere, con la conseguenza che la condizione di ammissibilità del patteggiamento di cui alla disposizione denunciata non è applicabile in relazione ai reati, quali l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, che sussistono pur in assenza di un’evasione di imposta, e quello di distruzione od occultamento delle scritture contabili, la cui consumazione prescinde dall’evasione, tanto che in relazione a tali fattispecie non è stata ritenuta configurabile la circostanza attenuante di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13-bis, comma 1”.