24 Novembre 2022

Antiriciclaggio: non dimentichiamoci dell’autovalutazione dello studio

di Ennio Vial
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La scheda di FISCOPRATICO

Gli articoli 15 (Valutazione del rischio da parte dei soggetti obbligati) e 16 (Procedure di mitigazione del rischio) del D.Lgs. 231/2007 impongono ai professionisti di individuare il rischio di riciclaggio e/o finanziamento del terrorismo cui loro stessi sono esposti nello svolgimento della propria attività professionale, nonché valutare le conseguenze che ne potrebbero derivare, adottando (ove necessario) opportuni presidi di mitigazione.

Lo scopo dell’autovalutazione del rischio è, infatti, quello di poter adottare tempestivamente presidi e procedure adeguati alla natura e alla dimensione del professionista obbligato, al fine di mitigare i rischi rilevati.

Come prescrivono le Regole Tecniche del CNDCEC, nello specifico la regola tecnica 1), la corretta metodologia di autovalutazione del rischio si sviluppa nelle seguenti fasi di attività:

  1. identificazione del rischio inerente;
  2. analisi delle vulnerabilità;
  3. determinazione del rischio residuo.

Utili indicazioni sono poi sviluppate nelle Linee Guida del CNDCEC.

Per quanto attiene all’individuazione del “rischio inerente”, si tratta di un processo di raccolta di informazioni e mappatura della clientela del professionista autonomo o dello studio, al fine di determinare i rischi attuali o potenziali cui si è esposti nell’ambito dell’attività svolta.

Il livello del rischio inerente, infatti, si misura sulla base delle risultanze che emergono calcolando il rischio effettivo, individuato dal professionista, in sede di adeguata verifica dei vari clienti.

In sostanza, un professionista/uno studio avrà un rischio inerente tanto più elevato (voto da 1 a 4) se più del 40% della propria clientela, in sede di “adeguata verifica”, è stata ritenuta ad alto rischio ovvero opera in aree geografiche ad alto rischio.

Per quanto attiene, invece, l’analisi della “vulnerabilità”, anche qui il voto va da 1 a 4.

Il professionista/lo studio professionale deve valutare se implementa correttamente i seguenti punti:

  • formazione;
  • organizzazione degli adempimenti di adeguata verifica della clientela;
  • organizzazione degli adempimenti relativi alla conservazione dei documenti, dati e informazioni;
  • organizzazione in materia di segnalazione di operazioni sospette e comunicazione delle violazioni alle norme sull’uso del contante.

In sostanza, le linee guida prescrivono al professionista di strutturare lo studio in modo che venga sempre assicurata un’idonea procedura in materia di antiriciclaggio, partendo dalla formazione del personale dedicato a raccogliere i documenti dei clienti, per concludere con la capacità di individuare e comunicare una “segnalazione di operazione sospetta”.

Da ultimo, alla determinazione del rischio residuo si perviene posizionandosi nella matrice proposta di seguito, sulla base dei risultati ottenuti individuando:

  • il rischio inerente;
  • il livello di vulnerabilità.

La matrice, che determina il livello di rischio residuo, si basa su una ponderazione del 40% del rischio inerente e del 60% della vulnerabilità, muovendo dal presupposto che la componente di vulnerabilità abbia più rilevanza nel determinare il livello di rischio residuo.

L’autovalutazione del rischio deve essere svolta con cadenza triennale, salva la facoltà di procedere al relativo aggiornamento quando il soggetto obbligato ne valuti la necessità o lo ritenga opportuno, anche in esito ai processi di analisi interna e definizione dei vari presidi.