La gestione delle risorse umane alla luce della riforma dello sport – terza parte
di Guido MartinelliL’articolo 25 del novellato D.Lgs. 36/2021, chiarisce, recependo una indicazione già contenuta nella legge delega, che la disciplina del lavoro sportivo deve tener conto del “principio di specificità dello sport”.
Verificati i presupposti, l’attività di lavoro sportivo (sia professionistico che dilettantistico) può costituire oggetto “di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’articolo 409, comma 1 n. 3 del codice di procedura civile”.
I recenti insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sentenza n. 29973 del 13.10.2022) hanno ribadito che: ” … al legislatore è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo così allo statuto protettivo che alla subordinazione si accompagna (Corte cost. sentenze n. 76 del 2015, n. 115 del 1994 e n. 121 del 1993).” Ne deriva, quale conseguenza ineludibile “l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali (sentenza n. 76 del 2015 cit. punto 8 del considerato in diritto)”
Pertanto appariva impraticabile al legislatore la strada di tipizzare ex lege la prestazione di lavoro sportivo. Ciò nonostante, proprio avvalendosi del principio di specificità, il decreto in esame presume che il rapporto di lavoro dell’atleta professionista sia di natura subordinata mentre sia inquadrabile come collaborazione coordinata e continuativa quello dello sportivo dilettante quando ricorrono i seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente:
a) la durata delle prestazioni oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non supera le diciotto ore settimanali, escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive;
b) le prestazioni oggetto del contratto risultano coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva”.
La scelta di mantenere la presunzione di rapporto di lavoro subordinato per l’atleta professionista, sul presupposto della unicità della prestazione, sia se svolta in settore professionistico che dilettantistico (vedi anche articolo 5 L. 86/2019) crea delle oggettive ripercussioni anche nell’inquadramento dell’atleta dilettante.
Infatti, se vigente la L. 91/1981 questa si poteva ritenere disciplina speciale e, come tale, insuscettibile di interpretazione analogica ai sensi di quanto previsto dall’articolo 14 delle preleggi al codice civile, a medesima conclusione non si potrà giungere oggi che la figura di lavoratore è unica “indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta”.
Appare, pertanto, quanto mai opportuna, al fine di evitare una indiscriminata applicazione della fattispecie del lavoro subordinato a tutti i lavoratori sportivi atleti, la omologa presunzione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa per i lavoratori sportivi dilettanti sopra ricordata prevista dal comma 2 dell’articolo 28 del decreto.
La ratio appare la medesima già presente prima nella L. 91/1981 e poi ora nel D.Lgs. 36/2021 per quanto riguarda il professionismo.
La distinzione tra autonomia e subordinazione del rapporto non viene legata al noto principio della eterodirezione quanto a quello della intensità del rapporto. Ossia, così come per il mondo professionistico una prestazione che abbia una durata settimanale non superiore alle otto ore settimanali, anche per gli atleti si intende di natura autonoma, altrettanto, con le dovute differenze legate alla diversa natura del dilettantismo, la prestazione si intende autonoma, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, se e ove non superasse le diciotto ore settimanali, al netto del tempo necessario per la eventuale prestazione agonistica.
Ci si chiede come si dovrà effettuare detto conteggio. Intanto, si premette, si sta ragionando di presunzioni relative, pertanto essenzialmente di onere della prova. Sarà pertanto onere di chi ritenesse che detto limite sia stato superato o che comunque la prestazione debba essere diversamente classificata che avrà l’onere di doverlo provare.
La ratio della legge ad avviso di chi scrive porta a sostenere che il tetto debba essere letto come media da calcolarsi sulla base della intera durata del contratto.
Deve ovviamente trattarsi di una prestazione di “profilo tecnico sportivo in osservanza dei regolamenti” previsti dall’ente affiliante.
Interessante appare la possibilità di “certificare” i contratti di lavoro, certificazione che potrà avvenire sulla base di indici concordati in sede di contratto collettivo tra gli enti affilianti e le organizzazioni più rappresentative dei lavoratori o, in assenza di questi, tramite indici individuati con decreto governativo.
La necessità di un corretto inquadramento delle prestazioni di lavoro sportivo passa attraverso la redazione di contratti scritti, previsti come obbligatori solo per le prestazioni di lavoro subordinato.