Sale and lease back e divieto di patto commissorio
di Luigi FerrajoliIl sale and lease back (locazione finanziaria di ritorno) è un’operazione finalizzata a consentire all’alienante – mediante il trasferimento della proprietà di beni che il medesimo si riserva di riacquistare a conclusione della locazione finanziaria – di reperire liquidità per proseguire la propria attività.
Sostanzialmente, si configura come un contratto di impresa, la cui validità è soggetta alla verifica di determinati presupposti.
Più in particolare, l’istituto potrebbe prestarsi a scopi illeciti e fraudolenti, quale l’elusione del divieto di patto commissorio stabilito dall’articolo 2744 cod. civ., secondo cui “è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno”.
Nel concreto, si tratta una complessa operazione contrattuale mediante la quale un soggetto (impresa o lavoratore autonomo) vende (“sale”) un proprio bene (mobile o, più spesso, immobile), di natura strumentale all’esercizio della sua attività, ad un’impresa di leasing o ad una società finanziaria, la quale, dopo aver versato il prezzo pattuito, concede contestualmente o entro un breve lasso di tempo il bene in leasing all’alienante (“lease back”) che, per potere utilizzare il bene, le corrisponde un canone ed ha la facoltà, alla scadenza del rapporto, di riacquistare la proprietà, esercitando il diritto d’opzione ad un prezzo di regola nettamente inferiore rispetto al valore effettivo del bene stesso.
Alla scadenza del contratto, il “seller-lessee” (alienante-utilizzatore) potrà optare per la continuazione della locazione – a canoni ridotti – ovvero per l’acquisto del bene, esercitando il diritto di opzione.
Sul punto, la dottrina ha sottolineato come, diversamente da quanto accade nel leasing “ordinario”, negozio giuridico attraverso il quale l’utilizzatore vuole conseguire la disponibilità di beni strumentali al processo produttivo, nel “sale and lease back”, dato che il bene è già in proprietà del “seller-lessee”, l’operazione realizzata, dal punto di vista economico-gestionale, risponde “all’esigenza di (auto)finanziamento dell’impresa venditrice, ossia all’esigenza di incrementare il proprio capitale circolante attraverso lo smobilizzo di una parte del capitale fisso, senza peraltro perdere la materiale disponibilità del bene venduto”.
La Suprema Corte ha già avuto modo di evidenziare che il “sale and lease back” si configura “come un’operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari poiché risponde all’esigenza degli operatori economici di ottenere, con immediatezza, liquidità, mediante l’alienazione di un bene strumentale, di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo e, pertanto, non agevolmente collocabile sui mercato, conservandone l’uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto” (cfr. Cass. Civ., Sezione III, ordinanza n. 18327/2018).
Tuttavia, il fatto che il bene venduto rimanga nella disponibilità del venditore, che continua a utilizzarlo, e le somiglianze con le alienazioni a scopo di garanzia, ha indotto la giurisprudenza a interrogarsi se il contratto in questione possa celare, in concreto, un patto commissorio, vietato dall’articolo 2744 cod. civ..
Con l’ordinanza n. 4664/2021, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, si è pronunciata proprio in tale ambito, fornendo una “linea guida” per correttamente interpretare il negozio.
Ad avviso della Suprema Corte, per verificare se una specifica operazione di “sale and lease back” sia in concreto diretta ad aggirare, o meno, il disposto dell’articolo 2744 cod. civ., si prefigura “una sorta di “stress test“, affermandosi che “gli elementi ordinariamente sintomatici della frode alla legge sono essenzialmente tre, così individuati: 1) la presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria (concedente) e l’impresa venditrice utilizzatrice, preesistente o contestuale alla vendita; 2) le difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza; 3) la sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente, che confermi la validità di tale sospetto“”.
È soltanto il “concorso” di tali elementi sintomatici che “vale a fondare ragionevolmente la presunzione che il lease back, contratto d’impresa per sé lecito, sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio e sia pertanto nullo perché in frode alla legge”.