Una nuova regola per dirimere la questione del riparto dell’onere della prova
di Alessandra FabbriGiuseppe GraziadeiLa riforma del processo tributario, disposta con la L. 130/2022, ha comportato l’inserimento all’articolo 7 D.Lgs. 546/1992 del comma 5 bis in virtù del quale compete all’Amministrazione provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, dimostrando “… in modo circostanziato e puntuale … le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni”.
La decisione del Giudice, quindi, dovrà trovare fondamento sugli elementi di prova forniti dall’Amministrazione finanziaria in giudizio e dovrà comportare l’annullamento dell’atto ove risultino carenti o contraddittori.
La portata della modifica è di grande rilievo, perché introduce una specifica norma riguardante l’onere della prova posto a carico delle parti nel processo tributario e, in particolare, dell’Ufficio che, attraverso la notifica dell’atto oggetto d’impugnazione, assume la veste di attore in senso sostanziale della controversia.
La giurisprudenza formatasi prima della riforma, facendo rinvio al disposto dell’articolo 2647 cod. civ., ripartiva diversamente l’onere della prova facendo rinvio al disposto dell’articolo 2697 cod. civ., in virtù del quale “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
La portata della modifica, però, non è stata opportunamente colta da un primo pronunciamento di legittimità, dato che, con ordinanza n. 31878 depositata il 27.10.2022, si è incomprensibilmente giunti ad affermare che “la nuova formulazione normativa …non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale”.
Una virtuosa e lucida sentenza di merito emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Siracusa – la n. 3856/2022 depositata il 23.11.2022 – dissentendo motivatamente dall’anzidetto pronunciamento di legittimità, ha diversamente colto l’esegesi della norma e affermato che con l’incipit della disciplina, secondo cui “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”, è stata introdotta nel processo tributario “…una nuova regola autonoma sorta per dirimere le questioni in ordine al riparto dell’onere della prova, superando così la portata dell’articolo 2697 del codice civile e con esso la trasposizione, talora impropria, nel processo tributario di dinamiche essenzialmente privatistiche. In base alla nuova regola, dunque, è inequivocabile che sia l’Amministrazione Finanziaria tenuta a provare le contestazioni afferenti a tutte le tipologie di violazioni, a prescindere che si controverta di maggiori ricavi o minori costi nel regime d’impresa”.
Inoltre, sul corretto presupposto secondo cui il reddito d’impresa è frutto della somma algebrica di componenti positive e negative di reddito, la Corte di Giustizia siracusana ha opportunamente definito “strabico ed illogico” l’orientamento formatosi prima della riforma del processo tributario con riguardo all’onere della prova a carico delle parti, in quanto fondato sull’equivoco secondo cui “l’onere della prova in ordine alla deduzione di un costo dovesse essere posto a carico del contribuente limitando l’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria solo alle componenti positive del reddito d’impresa”.
I Giudici di merito, pertanto, concludono che “la nuova disposizione sull’onere della prova introdotta dalla Legge n. 130/2022 consente senz’ombra di dubbio di superare questo equivoco, per cui anche per i componenti negativi di reddito l’onere probatorio non può che incombere sull’Amministrazione Finanziaria con l’unica eccezione riguardante le controversie da rimborso in relazione alle quali l’onere della prova rimane sempre a carico del contribuente”.