Gli aspetti civilistici e contabili della operazione di assegnazione agevolata
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Tra i vari problemi che dovranno essere affrontati e risolti dalle società che vorranno aderire alla manovra di assegnazione agevolata (articolo 1, commi 100 e ss., L. 197/2022) ve ne sono alcuni di carattere civilistico e contabile che spesso sono accantonati non avendo immediate ripercussioni sulla fiscalità, ma che ciò non di meno presentano aspetti di rilevante importanza anche sul piano della tempistica della operazione.
Un primo aspetto attiene all’organo deputato a deliberare l’assegnazione dell’immobile ai soci.
Partendo dal presupposto che l’assegnazione deve necessariamente comportare una attribuzione ai soci di quote ideali di patrimonio netto, emerge che l’unico organo deputato alla decisione è l’assemblea dei soci.
Infatti, solo i soci hanno il potere di incidere sul patrimonio netto sia esso formato da riserve di utili, sia esso formato da riserve di capitale.
Discorso diverso va fatto sulla cessione agevolata ai soci, che in quanto ordinaria operazione di gestione, può essere decisa direttamente dall’organo amministrativo, salvo che non siano presenti particolari vincoli statutari.
Un tema particolare è rappresentato dalla assegnazione con attribuzione di riserve di utili nelle società di persone.
In questo contesto vige l’articolo 2262 cod. civ., in forza del quale il socio ha diritto a ricevere la propria quota di utile una volta approvato il rendiconto, e tale diritto è soggettivo e non comprimibile dalla diversa volontà degli altri soci.
Quindi, se lo statuto societario non presenta particolari pattuizioni sul punto, non serve una ulteriore decisione dei soci per distribuire l’utile ancorché tale distribuzione avvenga con un bene in natura.
Ma non vi è dubbio che gli aspetti contabili della assegnazione rivestono un ruolo di primo piano, specie se la società è dotata di organo di revisione, il quale sarà chiamato ad esprimersi sulle scelte assunte in questo ambito.
Partiamo dal rilevare che i documenti OIC non hanno elaborato una particolare tesi sul tema (a differenza dell’IFRIC I7 che analizza la contabilizzazione dell’utile erogato quale bene in natura individuando nel conto economico il luogo di iscrizione dei differenziali), ma il Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ha emanato un documento nel marzo del 2016 ispirandosi ai dettami dell’OIC, e quindi tale documento , in qualche modo, surroga la dottrina dell’OIC ed è generalmente ritenuto la prassi di riferimento sulla contabilizzazione delle assegnazioni.
In primo luogo va sottolineato che l’attribuzione di un bene in natura al socio altro non è che la contropartita contabile della riduzione della riserva, sicchè una prima impostazione non può che portare alla conclusione che la riserva viene ridotta in contropartita del pari valore dell’attivo. Con tale impostazione l’assegnazione avviene al valore nominale come se fosse attribuita una somma in denaro.
Facciamo l’esempio di un immobile iscritto nell’attivo al valore di 1.000 (già al netto dei fondi) che viene assegnato ai soci attribuendo una riserva di utili di pari importo.
In tal caso la scrittura contabile dovrebbe avere la seguente rappresentazione:
(dare) Riserva 1.000
(avere) Immobile 1.000.
Nel citato documento del CNDCEC si esamina questa ipotesi avvalorandola, ma solo nel caso in cui i soci decidano di assegnare l’immobile al valore contabile.
In qualche modo la suddetta rappresentazione contabile è condizionata da una preventiva decisione dei soci di non far emergere un eventuale plus o minusvalore.
Questa scelta (che chi scrive giudica quella preferibile) comporta che i soci siano tutti consapevoli della eventuale esistenza di plus/minusvalori relativi al bene assegnato e concordino sul fatto di non farli emergere.
Facciamo l’esempio di due soci al 50% di una Srl che assegna due immobili che hanno un valore contabile di 100 ciascuno in contropartita di una riserva di utili di 200.
Se i soci concordano su questa scelta la circostanza che i beni immobili valgano a valore di mercato davvero 100 l’uno diventa trascurabile.
La seconda modalità è quella di far emergere il plusvalore a conto economico.
Prendiamo l’esempio di prima e modifichiamolo nel senso che l’immobile assegnato, che presenta un valore contabile di 1.000, in realtà ha un valore di mercato di 1.500.
Se i soci decidono di far emergere il valore di mercato assegneranno il bene a 1.500, il che si traduce nell’utilizzare una riserva di 1.500 in contropartita del bene per 1.000 e 500 di plusvalenza iscritta a conto economico.
Con l’iscrizione della plusvalenza si rende chiaro a tutti i lettori del bilancio che il bene assegnato presenta un valore di mercato più elevato di quello contabile e può essere una scelta interessante se vengono assegnati ai soci immobili diversi che presentano o meno plusvalenze, poiché in tal modo si rende evidente il valore effettivo dei beni.
Però questa scelta contabile presenta anche qualche elemento che suscita perplessità.
In primis l’iscrizione della plusvalenza avviene non in presenza di realizzo tramite negozio giuridico con economie terze, bensì si traduce come una sostanziale plusvalenza da iscrizione (molto simile ad una rivalutazione volontaria), il che potrebbe incontrare critiche da parte dei terzi creditori della società, per artificiosa imputazione di componenti positivi a conto economico.
In secondo luogo l’operazione diviene quantomai delicata se il patrimonio netto non è capiente per attribuire una riserva pari al valore effettivo del bene: in tal caso si utilizzerebbe una posta di patrimonio netto che si forma solo con l’iscrizione della plusvalenza e con la sua immissione successiva nell’utile di esercizio e quindi nel patrimonio netto.
In terzo luogo va segnalato che anche se il patrimonio netto fosse capiente la plusvalenza iscritta confluisce in una riserva di utile che l’Agenzia delle Entrate giudica tassabile in forma ordinaria quale dividendo, nel caso di successiva distribuzione.