La definizione della Legge di Bilancio 2023 per gli atti di recupero
di Gianfranco AnticoLa Legge di Bilancio per il 2023 – L. 197/2022 – con il comma 181 del maxi articolo 1, estende la definizione prevista per gli avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e di liquidazione, contenuta nel precedente comma 180, agli atti di recupero.
Detto comma 180, dell’articolo 1 L. 197/2022, introduce la definizione in acquiescenza, ai sensi dell’articolo 15 D.Lgs. 218/1997, degli avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e di liquidazione, non impugnati e ancora impugnabili, alla data del 1° gennaio 2023 e degli atti notificati dall’Agenzia delle entrate successivamente, fino al 31 marzo 2023, con l’applicazione delle sanzioni ad 1/18 di quelle irrogate.
Sono esclusi in ogni caso dalla definizione gli atti emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria di cui all’articolo 5-quater D.L. 167/1990, convertito con modifiche dalla L. 227/1990.
Il rinvio integrale, operato dal comma 181, dell’articolo 1, della L. 197/2022, alle disposizioni del comma 180, permette la definizione, in acquiescenza, degli atti di recupero pendenti (non impugnati e ancora impugnabili alla data del 1° gennaio 2023) e di quelli potenziali (notificabili entro il 31 marzo 2023), a sanzioni ridotte (1/18 delle sanzioni irrogate, rispetto ad 1/3 ordinariamente previsto).
La data di perfezionamento della definizione è mobile, atteso che è ancorata al termine di proposizione del ricorso.
In pratica, entro i termini ordinariamente previsti per ricorrere – 60 giorni, dalla data di notifica dell’atto, in assenza di sospensioni dei termini – il contribuente deve provvedere al pagamento. Né ci sembra necessario in questo caso attendere il provvedimento attuativo.
Le somme dovute possono essere versate anche ratealmente in un massimo di venti rate trimestrali di pari importo entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre successivo al pagamento della prima rata (quando, invece, ordinariamente è possibile la rateizzazione in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di sedici rate trimestrali se le somme dovute superano i cinquantamila euro).
Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi al tasso legale (a partire dal 1° gennaio 2023 il tasso di interesse legale passa dall’1,25% al 5%, per effetto del Decreto del MEF del 13.12.2022, pubblicato nella G.U. n. 292 del 15.12.2022).
In caso di rateazione, il mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché’ della sanzione di cui all’articolo 13 D.Lgs. 471/1997, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta.
A fronte dei vantaggi sanzionatori è esclusa la compensazione, prevista dall’articolo 17 D.Lgs. 241/1997.
Il legislatore mantiene ferma l’applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 218/1997, non derogate.
E di conseguenza dovrebbe giocare il cd. lieve inadempimento, di cui all’articolo 15-ter D.P.R. 602/1973, norma che esclude la decadenza in caso di lieve inadempimento per:
- insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e, in ogni caso, a diecimila euro;
- tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette giorni.
Detta disposizione si applica anche con riguardo al versamento in unica soluzione o della prima rata delle somme dovute ai sensi dell’articolo 8, comma 1, D.Lgs. 218/1997.
Inoltre, proprio il rinvio alle norme del D.Lgs. 218/1997, non derogate, consente di ritenere, in forza di quanto previsto dall’articolo 15 D.Lgs. 218/1997, che la condizione per poter usufruire dell’acquiescenza risiede nella rinuncia all’impugnazione e alla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione.
Oltretutto, nello specifico degli avvisi di recupero, l’Amministrazione finanziaria ha sempre negato la possibilità di accedere all’istituto deflativo, tant’è che le stesse avvertenze all’atto di recupero non prevedono la possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione (così che non si può godere della sospensione dei termini prevista dall’articolo 6, comma 3, D.Lgs. 218/1997), contemplando la sola possibilità di versare le somme complessivamente dovute entro il termine di proposizione del ricorso, ovvero di impugnare ( pur se vanno registrate alcune pronunce di segno opposto, secondo cui gli avvisi di recupero di crediti di imposta, illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell’insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazione della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento – Cass. n. 4968/2009; Cass. n. 22322/2010; Cass. n. 8033/2011; Cass. n.19561/2014; Cass. n.8429/2017 – e ciò giustificherebbe per coerenza anche l’applicabilità “dell’accertamento con adesione, in quanto a ciò non è di ostacolo alcuna disposizione del d.lgs. n. 218 del 1997” – così Cass. n.16761/2017 -).
La stessa Amministrazione finanziaria, nel corso di TeleFisco 2021, ha affermato – risposta al quesito n.26 – che una volta che la controversia abbia ad oggetto l’atto di recupero di un credito inesistente, utilizzato in compensazione, la stessa non può essere definita tramite conciliazione giudiziale, “atteso che la riduzione delle sanzioni che ne conseguirebbe si porrebbe in contrasto con la corrispondente preclusione prevista con riferimento alla fase amministrativa”.
Al di là dell’inquadramento – allo stato temporaneo – degli avvisi di recupero nell’ambito degli atti di accertamento, la definizione proposta dal Legislatore va letta nell’ottica del potenziamento della compliance, consentendo subito una chiusura del contesto, a sanzioni ridotte, senza giocarsi la carta del contenzioso.