13 Febbraio 2023

Leverage cash-out non abusivo se c’è “sostanza economica”

di Edoardo PattonGianluca Cristofori
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

La Direzione Regionale del Veneto dell’Agenzia delle Entrate ha fornito risposta, in data 8 febbraio 2023, a un interpello anti-abuso, ritenendo non abusiva un’operazione cd. di “leverage cash-out avente per oggetto la cessione di una partecipazione, il cui costo era stato preventivamente rideterminato ai sensi dell’articolo 2 D.L. 282/2002, a una società indirettamente partecipata dalla medesima persona fisica cedente, insieme al fratello.

Non si tratta, in assoluto, di un precedente di prassi isolato, rappresentando però una delle poche “aperture” dell’Agenzia delle Entrate con riguardo a questo tipo di operazioni, che presentano connotati ormai più o meno tipizzati.

I presupposti per il parere positivo reso in chiave anti-abuso – come delineati dalla DRE nella risposta – dovrebbero anche orientare i funzionari in sede di verifica ogni qualvolta tali operazioni fossero effettivamente supportate da valide ragioni extra-fiscali, diverse e ulteriori rispetto al vantaggio fiscale derivante dalla cessione di una partecipazione il cui costo fosse stato preventivamente rideterminato, per quanto l’orientamento molto restrittivo registrato in occasione delle verifiche non militi proprio in tal senso.

Nella risposta, la DRE ricorda che – secondo una certa consolidata prassi amministrativa – la legittimità fiscale delle cessioni di partecipazioni previamente “rivalutate” verrebbe meno in presenza di operazioni nel complesso “circolari”, mediante le quali:

  • le partecipazioni non sono effettivamente dismesse, essendo bensì cedute a “proprie” società (o comunque riferibili a parti strettamente correlate);
  • gli effetti sostanziali approssimano quelli di un recesso (anche di tipo “consensuale”);

ribadendo che, in tali circostanze, il vantaggio fiscale conseguito è da considerarsi, in linea di principio, indebito, in quanto conseguito in aggiramento delle disposizioni tributarie che regolano la fiscalità delle distribuzioni di utili (o riserve di utili) ovvero della liquidazione di partecipazioni sociali.

Ciò nonostante, la DRE ha ritenuto che, nella specifica operazione prospettata in sede di interpello anti-abuso (che rappresenta un “segmento” di una più ampia e complessa riorganizzazione societaria di un gruppo industriale), “… in una prospettiva contestuale orientata a comprendere l’effetto complessivo dei comportamenti dei soggetti coinvolti”, sussistono elementi di “sostanza economica” connessi al complessivo “disegno” di riorganizzazione del gruppo societario, in termini di concentrazione della proprietà, della governance e della gestione delle società del gruppo in capo alla capogruppo operativa.

Secondo la DRE, quindi, l’operazione prospettata rappresenta il “… naturale epilogo della riorganizzazione societaria rappresentata” (attuata anche mediante una fusione per incorporazione, oltre a diversi conferimenti e donazioni di partecipazioni) e, quindi, il comportamento prospettato non può ritenersi abusivo, in quanto connotato da “sostanza economica”, in considerazione del fatto che consente di raggiungere gli apprezzabili obiettivi di ordine strategico-imprenditoriale che gli istanti intendevano perseguire.

Nel caso in commento, l’interpello anti-abuso era stato presentato con riguardo al comparto impositivo dell’Irpef, oltre che delle imposte sostitutive sui redditi diversi e/o delle ritenute alla fonte a titolo d’imposta sui redditi di capitale e, più in generale, degli obblighi gravanti sui sostituti d’imposta.

È noto, infatti, come lo schema accertativo con il quale vengono generalmente contestate tali operazioni preveda una pretesa inopponibilità ai fini fiscali della “rivalutazione” delle partecipazioni, in quanto norma applicabile ai soli “redditi diversi” e non ai “redditi di capitale” derivanti dalle asserite (“aggirate”) distribuzioni di utili, riserve di utili, o comunque di porzioni del patrimonio netto, in esito a operazioni che si sarebbero potute perfezionare anche in ragione di un recesso consensuale, con tutto ciò che ne consegue – sul piano sanzionatorio – anche in capo ai sostituti d’imposta intervenuti nelle diverse fasi delle operazioni ritenute “abusive”.

Nella risposta, la DRE conferma tale approccio, che porterebbe a intravedere un indebito vantaggio fiscale, in quanto “… conseguito in aggiramento delle disposizioni tributarie in materia di recesso tipico”, valorizzando, tuttavia, al contempo, anche altre circostanze di tipo extra-fiscale.

Tra queste, la circostanza per cui l’operazione (nel caso di specie la cessione di quote a una società partecipata dal medesimo cedente, in luogo di quella potenzialmente più diretta, rappresentata dal recesso consensuale dalla società target) non fosse prioritariamente finalizzata a conseguire un risparmio fiscale, essendo invece indirizzata a garantire il mantenimento di un certo “ordine” negli assetti proprietari e di governance della società target e della società acquirente, nonché delle società dalle stesse partecipate, anche alla luce di una più ampia riorganizzazione già in corso e degli obiettivi dalla stessa perseguiti con riguardo all’intera struttura del gruppo.

Può, quindi, accadere, come nel caso oggetto di interpello, che una cessione di partecipazioni a una società partecipata (direttamente o indirettamente) dal medesimo socio cedente, posta in essere nell’ambito di un gruppo di imprese, rappresenti l’operazione più lineare e fisiologica per conseguire (o mantenere) un determinato assetto proprietario e di governance delle società coinvolte nell’operazione, oltre che del gruppo di appartenenza, mentre il recesso – per quanto astrattamente alternativo – potrebbe rappresentare, addirittura, una fattispecie concretamente improcedibile per ragioni di ordine civilistico.

In tali circostanze, quindi, sussistono elementi di “sostanza economica” che possono essere valorizzati allo scopo di contrastare possibili contestazioni anti-abuso, nonostante il conseguimento di un certo vantaggio fiscale.

Il significato di “sostanza economica” viene peraltro definito dal Legislatore solo “in negativo”; l’articolo 10­bis, comma 2, lettera a), L. 212/2000, stabilisce infatti che si considerano “… operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.

Di qui, quindi, bisogna partire per predisporre le istanze di interpello anti-abuso ovvero, in difetto, la difesa dei contribuenti – a posteriori – a fronte di rilievi eventualmente non rispettosi del principio di legge.