13 Marzo 2023

Accessorietà dei trasporti

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Uno degli argomenti più delicati, e forse soggettivi, della disciplina Iva, è quello dell’accessorietà di una operazione.

Partendo dalla disciplina nazionale, l’articolo 12 del Decreto Iva prevede che le cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale.

In sostanza, tale articolo dispone che, qualora un’operazione sia accessoria ad un’altra operazione principale, l’operazione accessoria perde il regime Iva suo proprio, per essere assoggettata al regime Iva dei quest’ultima.

A sorpresa, nella Direttiva Iva non esiste una norma analoga all’articolo 12 del Decreto nazionale. Ciò non significa certamente che tale principio non esista nell’ordinamento, dato che il sottoscritto conta più di 20 sentenze nelle quali la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sull’argomento.

La Corte ha iniziato ad occuparsi della questione ancora negli anni ’80, quando dovette pronunciarsi sul regime Iva della locazione di aree destinate a parcheggio (in genere imponibili ad Iva), qualora le stesse fossero strettamente connesse a locazioni di beni immobili esenti.

In sostanza, si capiva che la “stretta connessione” tra le due operazioni, faceva sì che una delle due cambiasse il proprio regime fiscale.

Andando avanti con il tempo, la Corte si occupò si svariati casi, nei quali doveva essere valutato il concetto di accessorietà.

Nella giurisprudenza della Corte emerge che una operazione deve considerarsi accessoria ad una altra operazione principale, “quando non costituisce per il destinatario una prestazione a sé stante bensì il mezzo per fruire delle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore”. Questa frase è ripresa, nello stesso testo, da più di dieci sentenze della Corte di Giustizia UE!

In sostanza, al fine di individuare il regime Iva di una operazione, è necessario individuare se si è in presenza di una operazione unica o di più operazioni che hanno una loro autonomia: ad esempio, se al supermercato si acquista una bottiglia di olio ed una mozzarella, le due operazioni non sono connesse, mentre se in un ristorante ci si fa servire un piatto di spaghetti alla bolognese, il servizio connesso alla sua preparazione ed al suo servizio, la pasta, la carne e gli altri ingredienti “sono strettamente connessi da tal punto da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso” (così ad esempio le sentenze C-41/04 e C-111/05).

Una volta rilevata questa stretta connessione si tratta di capire quale è l’operazione principale e quale è quella accessoria, e per farlo è necessario ricercare l’elemento predominante, che “deve essere determinato basandosi sul punto di vista del consumatore medio e tenendo conto, nel contesto di una valutazione di insieme, dell’importanza qualitativa e non semplicemente quantitativa” (così Sentenza C-276/09).

Tornando alla normativa interna, l’articolo 12 elenca cinque operazioni che tipicamente sono accessorie: il trasporto, la posa in opera, l’imballaggio, il confezionamento, la fornitura di recipienti o contenitori.

Spesso, mi capita di evidenziare come talvolta alcune operazioni elencate nella norma non sono veramente quelle accessorie, ma quelle principali: si pensi ad esempio ad un contenitore in pregiato cristallo, al cui interno vi è qualche cioccolatino; oppure, tutti i casi tipici dell’edilizia in cui la posa in opera (appalto) è l’operazione principale, essendo il cliente interessato delle materie prime che verranno utilizzate nella realizzazione del lavoro.

Su una cosa, il sottoscritto, non ha mai avuto dubbi: che un trasporto effettuato da un soggetto che cede la merce deve essere considerato una prestazione accessoria.

Questo forse perché il Ministero delle Finanze, ad esempio con risoluzione 460432/1987, con risoluzione 550145/1988 e con risoluzione 431168/1990 non ebbe alcun dubbio nel qualificare un trasporto come accessorio ad una cessione di beni. D’altronde è difficile sostenere che un trasporto possa costituire per il destinatario una prestazione a sé stante, se – non acquistando la merce – non vi sarebbe nulla da trasportare.

Lo scorso anno, con risposta ad istanza di interpello n. 35/2022 l’Agenzia delle Entrate ha precisato tuttavia che a suo avviso il servizio di trasporto e la cessione del bene costituiscono prestazioni distinte e vanno trattate fiscalmente in modo autonomo!

Su tale risposta è tornata recentemente l’Agenzia delle Entrate con la risposta ad istanza di interpello n. 36/2023, nella quale ha parzialmente corretto la propria risposta.

Infatti, nel rettificare la precedente risposta, ha richiamato la Cassazione n. 24049/2011 nella quale la Corte ha rilevato che la prestazione accessoria deve “avere il fine di permettere l’effettuazione o la migliore fruizione della prestazione principale” (si rimarca l’utilizzo della disgiunzione “o”).

Successivamente, l’Agenzia riassume la propria prassi, ricordando che l’operazione accessoria “deve integrare, completare o rendere possibile l’operazione principale” (utilizzando sempre la disgiunzione “o”).

Dopo tali premesse, l’Agenzia conclude che il servizio di trasporto può considerarsi accessorio solo quando rende possibile la cessione di beni, in quanto le modalità di vendita sono solo quelle “franco destino”.

A contrario – per l’Agenzia – negli altri casi in cui il trasporto ha solo una generica utilità (e quindi quando il venditore dà opzione al compratore di ritirare i beni o di farseli spedire), mancherebbe il nesso di accessorietà. Risposta che ad avviso di chi scrive è errata.