14 Marzo 2023

Fatture false: quando c’è consapevolezza dell’utilizzatore?

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

In ambito penale-tributario, una delle fattispecie incriminatrici maggiormente ricorrenti è quella concernente le c.d. fatture false, la quale dà luogo al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.

Una tematica particolarmente interessante concerne l’elemento soggettivo richiesto ai fini della configurabilità del reato di cui al citato articolo 2, il quale prevede che esso sia punito unicamente a titolo di dolo specifico.

Ciò significa che, ai fini della ricorrenza di tale reato, è necessario che il soggetto attivo:

  • non solo si sia rappresentato ed abbia voluto tanto la registrazione in contabilità o la detenzione ai fini di prova di una fattura o di altro documento equipollente relativo ad operazioni inesistenti, quanto l’indicazione nella dichiarazione degli elementi passivi fittizi in esso rappresentati;
  • ma anche che abbia agito al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva.

Detto in altri termini, la falsità delle fatture e della dichiarazione deve essere oggetto della coscienza e volontà dell’agente e questi deve aver agito al fine di conseguire un’evasione d’imposta.

Ne deriva che per la sussistenza del dolo non è sufficiente l’intenzione evasiva, ma è necessario che la condotta sia obiettivamente idonea all’evasione d’imposta e, quindi, alla lesione dell’interesse oggetto di tutela, trattandosi di un reato di pericolo concreto con dolo di danno.

La giurisprudenza di legittimità intervenuta in materia ha fornito interessanti chiarimenti su molteplici aspetti.

In merito ad un’eventuale compatibilità del reato di dichiarazione fraudolenta con il dolo eventuale, la Corte di Cassazione ha fornito risposta positiva affermando che il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti di cui al citato articolo 2, è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima.

Pertanto, la volizione dell’elemento specializzante (utilizzazione in dichiarazione) è compatibile con il dolo eventuale, in quanto è insita nell’azione posta in essere, tanto più che l’indicazione in dichiarazione costituisce accadimento normale e prevedibile della utilizzazione (Corte di Cassazione, sentenza n. 19012/2015).

La Suprema Corte si è pronunciata anche in relazione all’ipotesi in cui alla base dell’utilizzazione delle fatture false vi siano state delle finalità ulteriori e diverse da quelle di evasione dell’imposta.

In particolare, essa ha affermato che anche in tale ipotesi può configurarsi il reato di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, in quanto il dolo specifico costituito dal fine di evadere le imposte, che concorre ad integrare il reato di cui al citato articolo 2, sussiste anche quando ad esso si affianchi una distinta ed autonoma finalità extra-evasiva non perseguita dall’agente in via esclusiva, essendo in questi casi compito del giudice di merito verificare la compresenza delle due finalità o, invece, la natura esclusiva di quella non tributaria. Il tutto con una valutazione che va a verificare se, in concreto, quella condotta, indirizzata in via principale ad altre finalità, abbia determinato o meno per il soggetto utilizzatore anche un vantaggio fiscale.

Sulla scorta di ciò si è precisato che sussiste il dolo richiesto ai fini della configurabilità del reato in esame, qualora non vi sia la prova che i fondi neri creati con le fatture false siano stati usati solo per il pagamento in nero di parte delle retribuzioni, in quanto in una simile ipotesi deve ritenersi che la finalità primaria sia stata quella di evasione dell’imposta (Corte di Cassazione, sentenza n. 27112/2015).

In applicazione dei criteri individuati dalla Corte di Cassazione, potrebbe quindi ritenersi che non sussiste il dolo specifico di evasione qualora gli elementi passivi indicati in dichiarazione e relativi a fatture false abbiano la mera funzione di compensare algebricamente delle spese o dei costi effettivamente sostenuti, che il contribuente non è in grado di documentare.

Da ultimo occorre precisare che, nella ipotesi in cui il soggetto attivo agisca nell’erronea convinzione del carattere reale dell’operazione documentata, non potrà ricorrere la coscienza e la volontà richieste dall’articolo 2 D.Lgs. 74/2000. Ciò significa che, ai fini della sussistenza del dolo specifico, è necessaria la piena consapevolezza da parte dell’utilizzatore dell’assoluta estraneità della fattura ad alcuna prestazione di beni e/o servizi da parte dell’emittente (Corte di Cassazione, n. 44072/2011).