Il perimetro fiscale della agevolazione per assegnazione agevolata e cessione ai soci
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365L’assegnazione e la cessione agevolata di immobili ai soci sono operazione che permettono di far uscire dal perimetro della società immobili a “fiscalità ridotta” ma occorre prestare molta attenzione al risvolto fiscale che si divide in 2 aspetti: la fiscalità della società e quella del socio.
In un precedente intervento abbiamo definito l’assegnazione agevolata di beni ai soci come una procedura che sul piano civilistico si traduce in una riduzione di patrimonio netto che di fatto viene restituito ai soci sottoforma di distribuzione di riserve di utili ovvero sottoforma di restituzione di riserve di capitale. Diversamente l’operazione di cessione agevolata di beni sociali ai soci non presenta particolari questioni interpretative essendo di fatto una vendita a soggetti terzi.
Ma sul piano fiscale quali sono le conseguenze della assegnazione (per la cessione le conseguenze sono quelle usuali derivanti da una dismissione di beni merce o beni immobilizzati)?
L’assegnazione ai soci di beni sociali configura, per la società, il manifestarsi di una plusvalenza ai sensi dell’articolo 54, comma 1, lettera d), Tuir, normalmente determinata per differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato. Tecnicamente non si può parlare di plusvalenza realizzata, poiché letteralmente il termine “realizzo” contrassegna l’ipotesi delle lettere a) e b) del citato articolo 54, Tuir cioè cessione a titolo oneroso di cespite e ottenimento di un risarcimento a fronte di perdita del bene. In pratica si tratta della destinazione di beni a finalità diverse da quelle di impresa e da ciò l’emersione di una possibile plusvalenza. Sul fronte Iva l’assegnazione ai soci è assimilata alla cessione di beni ex articolo 2, n. 6, D.P.R. 633/1972 ipotesi che applica le stesse regole dell’autoconsumo (articolo 2, n. 5, D.P.R. 633/1972) con l’importante correlato che non si applica Iva per quei beni in relazione ai quali non è stata detratta l’Iva a monte all’atto dell’acquisto (ipotesi di acquisto da privato acquisto prima della applicazione dell’Iva o acquisto con Iva non detratta oggettivamente). Naturalmente se per un immobile, poniamo acquistato da privato, siano state eseguite manutenzione incrementative nel corso del decennio precedente alla assegnazione, va eseguita la rettifica della detrazione dell’Iva in ragione dei decimi residui al compimento del decennio.
Tornando al comparto delle imposte sul reddito l’operazione di assegnazione presenta 2 distinti comparti che vanno indagati:
- il plusvalore/minusvalore in capo alla società;
- il trattamento fiscale della distribuzione di riserve tramite beni in natura in capo al socio.
Il fronte della società
L’articolo 54, Tuir definisce la base imponibile per il calcolo della plusvalenza da assegnazione come la differenza tra valore normale e costo non ammortizzato del bene. Diversamente, il comma 102 dell’articolo 1, Legge di Stabilità 2023 (L. 197/2022) caratterizza l’agevolazione in questione con una diversa (e opzionale) quantificazione del valore normale. Infatti, la norma in commento permette di quantificare il valore normale non in base all’articolo 9, comma 3, Tuir bensì utilizzando, per gli immobili, il cosiddetto valore catastale, derivante dalla rendita catastale, rivalutata del 5% e moltiplicata per i seguenti coefficienti:
- prima casa g 110;
- fabbricati appartenenti ai gruppi catastali A e C (escluse le categorie A/10 e C/1) g 120;
- fabbricati appartenenti al gruppo catastale B g 140;
- fabbricati categorie A/10 e D g 60;
- fabbricati categorie C/1 ed E g 40,8.
Per un calcolo rapido si possono assumere i seguenti valori:
- prima casa g 115,5;
- fabbricati appartenenti ai gruppi catastali A e C (escluse le categorie A/10 e C/1) g 126;
- fabbricati appartenenti al gruppo catastale B g 176,4;
- fabbricati categorie A/10 e D g 63;
- fabbricati categorie C/1 ed E g 42,84.
Per i terreni agricoli la rendita viene moltiplicata per 112,5.
Non sfuggirà la convenienza di una simile procedura, atteso che, normalmente, tali valori catastali sono sensibilmente inferiori a quelli di mercato (valore normale), pur in momenti di non particolare apprezzamento del mercato immobiliare quale quello attuale. La valutazione secondo i dati catastali è facoltativa, applicabile “su richiesta della società”, per cui il soggetto che si reputasse svantaggiato da una siffatta procedura potrebbe ricorrere al valore normale. Al riguardo la circolare n. 26/E/2016, § 4 affermò che è accettabile qualunque valore purché non inferiore al minore tra il dato catastale e quello normale. È anche possibile che il valore si attesti su un dato intermedio compreso tra i 2 valori normali sopra richiamati.
Una seconda questione riguarda l’ipotesi della base imponibile negativa. Come noto il valore di assegnazione dell’immobile nell’ambito della disposizione agevolata, può essere determinato su “base catastale” o sul valore normale. Può capitare, nella pratica, mettendo a confronto il valore fiscale rivalutato dell’immobile con quello forfettario sulla base delle rendite, che si determini una base imponibile negativa con un valore di assegnazione inferiore a quello di carico fiscale. Ciò può accadere anche assumendo quale valore normale quello di mercato, atteso che gli immobili (magari rivalutati in anni precedenti) possono aver perso parte del loro valore. La domanda è: in questo caso è possibile accedere all’assegnazione agevolata visto che non si paga alcuna imposta sostitutiva? Sul punto si registrano 2 orientamenti precedenti dell’Agenzia delle entrate di segno contrario. Nella risalente circolare n. 112/1999 era stato affermato che senza il pagamento dell’imposta sostitutiva l’agevolazione non poteva essere riconosciuta. Tuttavia, tale orientamento è stato senz’altro superato con successive interpretazioni, basti citare il chiaro passaggio contenuto nella circolare n. 26/E/2016:
“…Tuttavia la mancanza di base imponibile non preclude la possibilità di fruire della disposizione agevolativa in esame”.
Sulla plusvalenza da cessione, calcolata per gli immobili potendo applicare il valore catastale, viene versata una imposta sostitutiva delle imposte dirette e dell’Irap pari all’8% per le società operative e 10,5% per quelle non operative, mentre l’Iva si applica in misura ordinaria. In alternativa all’Iva, se la cessione viene assoggettata a imposta di registro si beneficia dell’abbattimento alla metà e le imposte ipocatastali sono dovute in misura fissa.
L’imposta sostitutiva rende definitiva l’obbligazione tributaria sulla società per quanto attiene alla imposizione diretta e Irap. Ciò significa che per le società di capitali non vi saranno variazioni in aumento nel modello Redditi generate dalla assegnazione: va infatti ricordato che l’atto di assegnazione non genera passaggi a Conto economico (salvo applicare la discussa proposta del documento Cndcec del 14 marzo 2016) per cui in via ordinaria sarebbe necessario eseguire una variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi, variazione invece non necessaria nell’ambito della manovra agevolata. La norma peraltro cita il fatto che l’imposta sostitutiva riguarda anche l’Irap, ma per le società di capitali la determinazione della base imponibile per presa diretta dal Conto economico comporta l’assenza di debito d’imposta, quindi sembra pleonastico stabilire, per questi soggetti, che l’imposta sostitutiva riguardi anche l’imposta regionale.
Diversa la situazione per le società di persone, che in via ordinaria, assegnando beni ai soci genererebbero una variazione in aumento nel modello Redditi, la quale poi si tradurrebbe in reddito attribuito al socio per trasparenza. L’imposta sostitutiva rende non dovuto alcun versamento di imposta personale del socio, e quanto al fronte Irap va detto che in questo caso per le società che applicano la base imponibile di cui all’articolo 5-bis, D.Lgs 446/1997 è opportuno il richiamo normativo secondo cui l’imposta dell’8% è sostitutiva anche di Irap, poiché l’imposta regionale, sempre in via ordinaria, sarebbe dovuta.
L’imposta sostitutiva, che va versata per il 60% del suo importo entro il 30 settembre 2023 e la restante parte entro il 30 novembre 2023, è maggiorata al 10,5% per le società considerate non operative in 2 su 3 periodi imposta precedenti il 2023. La citazione del termine “non operative” in luogo di società di comodo rischia di trarre in inganno, considerando che la locuzione “non operative” è usualmente dedicata alle società che non rispettano il test di cui all’articolo 30, L. 724/1994, mentre le società in perdita sistemica sono annoverate tra quelle di comodo.
Il dubbio è comunque risolto dalla circolare n. 26/E/2016, nella quale sono comprese nel termine non operative anche quelle di cui al D.L. 138/2011, che sono appunto le società in perdita sistemica.
Naturalmente va rimarcato che la normativa delle società in perdita sistemica è stata abrogata dal D.L. 73/2022 con effetto dal 2022, ma ciò non toglie che si possano avere società non operative in quanto “in perdita sistemica” nei periodi d’imposta 2021 e 2020, il che a sua volta implica che nelle annualità 2016/2020 oppure 2015/2019 si siano manifestate perdite fiscali, salvo considerare l’effetto della cause di disapplicazione, in modo particolare quelle legate all’evento pandemia, di cui si dirà oltre.
Quanto ai 2 periodi su 3 nei quali si presenta lo status di società non operative va segnalato che non vi sono particolari problemi per quelle che non sono adeguate al test sui ricavi, poiché il dato è facilmente enucleabile dalle dichiarazioni dei redditi per i periodi d’imposta 2020/2022. Semmai si pone la questione delle società che si sono adeguate, oppure hanno avuto un riscontro positivo dalla istanza di interpello, cioè società che sono potenzialmente non operative ma poi hanno, per così dire, “disinnescato” gli effetti dello status di non operatività. Nel primo caso (adeguamento in dichiarazione) sembra potersi dire che la società è comunque considerata non operativa, anzi l’adeguamento è proprio l’effetto dello status di non operatività. Il caso della disapplicazione per interpello positivo è stato esaminato dalla circolare n. 26/E/2016 che sul punto assume una posizione favorevole al contribuente affermando che rilevano tutte le cause di disapplicazione e anche le ipotesi di ottenimento di interpello favorevole. Addirittura viene sostenuto che lo stato di non operatività per un certo periodo d’imposta viene disinnescato dall’aver indicato in dichiarazione dei redditi la sussistenza di cause di disapplicazione per non avendo presentato interpello o avendo ricevuto risposta negativa: “Si fa, altresì, presente che non troveranno applicazione le disposizioni in materia di “società non operative” e di “società in perdita sistematica” nei confronti dei soggetti che ritengono sussistere le condizioni di cui al comma 4- bis del citato articolo 30 ma che non hanno presentato l’istanza di interpello ivi prevista ovvero, avendola presentata, non hanno ricevuto risposta positiva, e che, al contempo, hanno dato separata indicazione nella dichiarazione dei redditi di tali circostanze (come previsto dall’articolo 30, comma 4-quater della legge n. 724 del 1994 come sostituito dall’articolo 7, comma 12, lettera c), D.Lgs. 156/2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016 e, pertanto, dal periodo d’imposta 2015 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare).
Infine, può accadere che una società pur di comodo in uno degli anni citati non presenti 3 periodi d’imposta precedenti al 2023, come potrebbe accadere per una società costituita nel 2020 che risulta di comodo nel 2021 e nel 2022. In tal caso, letteralmente, si utilizzerà l’aliquota ridotta dell’8% in quanto non si verifica il presupposto per l’incremento disposto dalla legge, tesi, del resto confermata dalla citata circolare n. 26/E/2016 (ovviamente mutando le date citate nel passaggio della circolare e aggiornandole al 2023):
“Va sottolineato che troverà applicazione l’aliquota dell’8% per tutte le società che non dispongono del periodo triennale di osservazione richiesto dal predetto articolo 1, comma 116. Ad esempio, nei confronti di una società costituita nel corso del 2014 che assegni i propri beni nel 2016, troverà applicazione l’aliquota dell’8% non disponendo la stessa del periodo triennale di osservazione richiesto dal citato comma 116”.
Sul tema delle società di comodo, in chiusura, non si può non ricordare come gli eventi pandemici che hanno caratterizzato il 2020 e il 2021, generano un riflesso rilevante nel senso che si pongono le basi per affermare la sussistenza di una causa di disapplicazione per versamenti tributari sospesi da dichiarazione di stato di emergenza. Tale causa per le società non operativa ha efficacia per il 2020 e per il successivo 2021, il che impedisce che si possano avere 2 anni di comodo sul triennio 2020/2022. Per le società in perdita sistemica la causa citata ha effetto nel 2021, ma poi nel 2022 la normativa in questione è stata abrogata quindi, anche in questa ipotesi, non si vedono casi di status di comodo che portino al versamento della imposta sostitutiva al 10,5%. Detto ciò, va anche ricordato che la sussistenza della causa di disapplicazione generalizzata da stato di emergenza non è stata mai ufficializzata dall’Agenzia delle entrate per cui il tema mantiene qualche elemento di dubbio.
Il caso dell’utilizzo di riserve in sospensione di imposta
Oltre alla imposta sostitutiva sul differenziale tra valore fiscalmente riconosciuto e valore normale/catastale del bene assegnato è dovuta anche una ulteriore imposta sostitutiva nel caso in cui per effetto della assegnazione fossero attribuite al socio riserve in sospensione di imposta. Potrebbe essere il caso delle riserve da rivalutazione costituite nel 2008 o più recentemente con la rivalutazione di cui al D.L. 104/2020, non affrancate con l’aliquota che, allora, era fissata nella misura del 10%. Nella Legge di Bilancio 2023 viene stabilito che l’importo della imposta sostitutiva dovuta sull’affrancamento delle riserve in sospensione di imposta sia pari a 13%, importo da calcolarsi, secondo chi scrive, sul dato netto della riserva così come esso compare nel bilancio. La questione della base imponibile su cui versare l’imposta sostitutiva per affrancare la riserva era nel passato tutt’altro che scontata ma con le più recenti interpretazioni dell’Agenzia delle entrate si può dire che essa è dovuta sull’importo della riserva iscritta nel bilancio, cioè al netto della imposta sostitutiva sulla rivalutazione. Va segnalato che nella circolare n. 37/E/2016 si era affermato che il pagamento della imposta sostitutiva del 13% aveva un effetto liberatorio anche per il socio, il che genera una situazione certamente di vantaggio se si pensa alle società che hanno versato l’imposta del 10% per affrancare a suo tempo la riserva in sospensione. Infatti, il pagamento del 10% (a differenza del pagamento dell’attuale 13%) non ha effetto liberatorio sul socio, quindi, se fosse distribuita la riserva affrancata, si avrebbe un reddito da dividendo tassato, se il socio è persona fisica, con l’ulteriore ritenuta di imposta del 26%.
Conseguenze per il socio
Le conseguenze dell’assegnazione sul socio assegnatario sono simili a quanto stabilito nelle scorse edizioni delle manovre di assegnazione agevolata.
Va rimarcato il fatto che ciò che viene disapplicato è l’articolo 47, comma 1, ultimo periodo (inapplicabilità della presunzione di distribuzione prioritaria delle riserve di utile) e commi 5, 6 e 7, Tuir.
La prima considerazione è che la disapplicazione dell’ultimo periodo del comma 1, articolo 47, Tuir permetterebbe di distribuire ai soci riserve di capitali prima di quelle di utili, ma, a parere di chi scrive, si tratta di una previsione parzialmente inutile, poiché al di là delle norme tributarie e prima di tutto per motivi civilistici che vanno anzitutto ripartite le riserve di utili prima di quelle di capitale.
Sulle altre “disapplicazioni” previste, una applicazione letterale porterebbe fuori strada l’operatore, mentre sarà utile applicare il comma in oggetto sulla base delle interpretazioni precedentemente fornite con le circolari n. 112/1999 e n. 40/E/2002 e più recentemente con la circolare n. 26/E/2016. L’effetto è che, similmente al passato, non si avranno riflessi sul socio di società di capitali nel limite dell’imponibile su cui la società ha corrisposto l’imposta sostitutiva, e ciò sia nel caso di distribuzione di riserve di capitali sia di utili.
In pratica si deve concludere che in caso di distribuzione di riserve di utile il reddito da capitale verrà formato dalla riserva dedotta l’imponibile su cui società ha calcolato l’imposta sostitutiva, mentre se verranno assegnate riserve di capitale, il costo della partecipazione verrà ridotto, ma prima verrà incrementato dall’importo su cui la società ha versato imposta sostitutiva.
Si vedano gli esempi sotto riportati che trattano i vari casi possibili.
ESEMPIO 1 – Valore normale superiore al valore fiscalmente riconosciuto
Immobile valore contabile e fiscale = 1000.
Valore normale/catastale = 1500.
Differenza su cui viene versata imposta sostitutiva = 500.
Dividendo tassabile in capo al socio = 1000 (1500 – 500).
ESEMPIO 2 – Valore normale inferiore al valore fiscalmente riconosciuto
Immobile valore contabile e fiscale = 1000.
Valore normale/catastale = 800.
Differenza su cui è versata sostitutiva = 0.
Riserva di utile attribuita contabilmente per effetto dell’assegnazione = 1000.
Dividendo tassabile in capo al socio = 800.
Socio che detiene la partecipazione in regime di impresa
In questa seconda ipotesi immaginiamo che il socio della società sia anch’essa una società di capitali che riceve beni tramite assegnazione. Secondo una prima ipotesi l’assegnazione avviene in contropartita di annullamento di riserve di utili. Questa situazione, in via ordinaria, determina per la società assegnataria la percezione di un dividendo in natura, di importo pari al valore normale del bene, con la configurazione di un utile trattato ex articolo 89, Tuir. L’imponibile, ridotto dell’importo su cui la società partecipata ha versato la sostitutiva, verrà quindi tassato per il 5% del suo importo a prescindere dall’entità della partecipazione, non essendo applicabile al socio/impresa la ritenuta di imposta del 26%.
Tuttavia, la società potrebbe assegnare beni al socio/società anche azzerando, in contropartita, riserve di capitale o capitale sociale. In questa ipotesi la partecipazione viene realizzata e la tassazione è disciplinata non dall’articolo 89, Tuir bensì dall’articolo 87, Tuir. Nella operazione ordinaria diverrebbe essenziale valutare se la partecipazione detenuta nella società presenta o meno i requisiti pex. Ove li presentasse l’eventuale eccedenza tra valore normale del bene assegnato (ridotto dell’importo su cui la società ha versato l’imposta sostitutiva) e costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione costituirebbe plusvalenza esente ex articolo 87, Tuir e come tale tassabile nella misura del 5%. Per contro se dall’operazione emergesse una minusvalenza essa sarebbe non deducibile, pur essendo di fronte a una ipotesi di realizzo effettivo della minusvalenza.
Se, invece, la partecipazione non presentasse i requisiti pex, l’eccedenza del valore normale del bene rispetto al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione rappresenta un realizzo interamente tassabile. Sul punto è illuminante un passaggio della citata circolare n. 26/E/2004 che afferma: “In sostanza, la richiamata norma rende esente da imposizione soltanto la quota parte della somma ricevuta in occasione della ripartizione del capitale e di riserve di capitale che eccede il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione, mentre la quota parte corrispondente all’utile da partecipazione rimane assoggettata a tassazione secondo le modalità previste per i dividendi”.
In definitiva il primo elemento da valutare per capire quale tassazione gravi sul socio/società, è individuare il tipo di riserva che viene distribuita. Naturalmente, potrebbero essere annullate entrambe le tipologie di riserve assegnando un determinato bene al socio.
L’aspetto Iva
La presente norma non dispone alcuna norma di favore sul fronte della fiscalità indiretta Iva, e ciò a causa del fatto che essendo quest’ultima imposta armonizzata, un regime di favore incontrerebbe critiche in sede comunitaria. Quindi, in assenza di esplicite previsioni, occorre concludere che il trattamento Iva della assegnazione è quello ordinario.
L’articolo 2, comma 2, n. 6), D.P.R. 633/1972 afferma che costituiscono cessioni di beni le operazioni di assegnazione ai soci eseguite da società di qualsiasi tipo. Pertanto, l’operazione in discorso rientra oggettivamente tra quelli rilevanti ai fini Iva, mentre il profilo soggettivo è evidentemente sempre esistente in quanto chi assegna è una società. Va segnalato che la norma Iva distingue le ipotesi di autoconsumo o destinazione a finalità estranea all’esercizio di arte o professione (n. 5 della norma succitata) da quelle di assegnazione ai soci (n. 6 della medesima norma). Mentre nel n. 5 è previsto l’esonero dalla rilevanza Iva per le ipotesi in cui il bene non abbia dato luogo, nel momento dell’acquisto, alla detrazione dell’Iva, tale previsione non è presente nel successivo n. 6. Va, inoltre, sottolineato che la non debenza dell’Iva sull’esternalizzazione da autoconsumo prescinde dai motivi della non detrazione al momento dell’acquisto: potrebbero essere stati motivi sia oggettivi (indetraibilità da articolo 19-bis1, D.P.R. 633/1972) sia soggettivi (indetraibilità da pro rata totale articolo 19, comma 5, D.P.R. 633/1972). La lettura dei 2 punti porterebbe alla conclusione che per l’assegnazione l’operazione è sempre rilevante, anche se non è stata esercitata detrazione dell’Iva sull’acquisto.
Tuttavia, sul punto si registra la diversa opinione dell’Agenzia delle entrate che, con la circolare n. 26/E/2016, afferma che ai fini che qui interessano, i n. 5 e 6 dell’articolo 2, D.P.R. 633/1972, vanno considerati analoghi e quindi anche le per assegnazioni si avrà il non assoggettamento dell’operazione a Iva se all’atto dell’acquisto non è stato detratta la relativa imposta. Ciò può avvenire, ad esempio, nel caso di acquisto da privato, oppure nel caso di assegnazione di beni caratterizzati da indetraibilità oggettiva (quali gli immobili abitativi acquistati già ultimati). La stessa circolare aggiunge che la irrilevanza dell’operazione ai fini Iva, viene mantenuta anche nel caso in cui successivamente all’acquisto (nel quale non si è detratta Iva) sono state eseguite operazioni di manutenzione straordinaria o ristrutturazione che hanno incrementato il valore del bene e per le quali è stata detratta Iva. Tuttavia, in tali casi occorre monitorare la data di esecuzione di dette operazioni poiché se non è passato un decennio si dovrà procedere alla rettifica della detrazione.
Vediamo questi 2 esempi:
ESEMPIO 3
La società Alfa ha acquistato un capannone da un privato nel 2010 e ora procede all’assegnazione. Sempre nell’anno di acquisto sono state eseguite manutenzioni straordinarie. L’acquisto avvenne per 200.000 euro e le manutenzioni straordinarie eseguite nel 2010 comportarono la spesa di 50.000 euro più 10.000 di Iva detratta. Ora la società procede ad assegnare l’immobile al socio. L’operazione è esclusa dall’applicazione dell’Iva poiché il bene è stato acquistato da un privato, quindi senza detrarre alcuna Iva acquisti. La detrazione sulle manutenzioni non determina alcuna rettifica poiché è già passato un decennio dalla esecuzione.
ESEMPIO 4
La società Alfa ha acquistato un capannone da un privato nel 2011 e ora procede all’assegnazione. Nel 2020 sono state eseguite manutenzioni straordinarie. L’acquisto avvenne per 200.000 euro e le manutenzioni straordinarie comportarono la spesa di 50.000 euro più 10.000 di Iva detratta. Ora la società procede ad assegnare l’immobile al socio. L’operazione è esclusa dall’applicazione dell’Iva poiché il bene è stato acquistato da un privato, quindi senza detrarre alcuna Iva acquisti. La detrazione sulle manutenzioni determina la rettifica da articolo 19-bis2, D.P.R. 633/1972, ponendosi a debito l’importo pari a 7/10 di 10.000 euro.
Se si parte dal presupposto che la cessione di immobili abitativi o strumentali avviene per lo più in esenzione Iva, quale regime naturale, si genera uno scenario decisamente favorevole che può essere riassunto come segue:
- l’operazione di assegnazione avviene in esenzione Iva, quindi l’assegnatario dovrebbe corrispondere solo le imposte indirette. In tal caso si avrebbe l’imposta di registro in misura proporzionale ridotta alla metà (comma 5) se l’immobile è abitativo, mentre se l’immobile è strumentale il registro si applica a tassa fissa (200 euro). Le imposte ipocatastali sono stabilite in misura fissa (50 euro) se l’imposta di registro viene applicata in misura proporzionale come accade, appunto, nella assegnazione di immobili di civile abitazione. Diverso il discorso se oggetto della assegnazione è un immobile strumentale poiché in questo caso l’imposta di registro è in misura fissa e quindi dovrebbe essere applicate le imposte ipocatastali nella misura fissa. A tale proposito va segnalato che in base alle modifiche introdotte dal D.L. 104/13, l’imposta di registro, se dovuta in misura proporzionale (immobili abitativi), a far data dal 2014, si applica al 2% (per cessioni o assegnazioni di case di abitazione che costituiscono “prima casa” per l’assegnatario) e quindi in tale ipotesi l’assegnazione di immobili abitativi sconta l’imposizione del 1% (50% del 2%);
- lo scenario sopra descritto è applicabile se non scatta la rettifica della detrazione ex articolo 19-bis2, D.P.R. 633/1972, quindi se l’immobile assegnato è stato acquistato (con Iva detraibile) da più di un decennio e non sono state eseguite in tempi recenti, manutenzioni straordinarie o ristrutturazioni;
- per contro, se la società che assegna l’immobile (abitativo o strumentale) si qualifica come l’impresa che ha costruito il medesimo (o lo ha ristrutturato), e l’operazione di assegnazione avviene entro un quinquennio dalla ultimazione del bene, essa sconta obbligatoriamente l’Iva (alle varie aliquote del 4% se fosse prima casa per il socio persona fisica assegnatario, 10% negli altri casi di assegnazione abitativa e 22% per le assegnazioni di immobili strumentali).
La cessione agevolata
La seconda operazione prevista dall’articolo 1, comma 100 e ss., L. 197/2022 prevede che le società, oltre ad assegnare gli immobili o trasformarsi in società semplici, possono procedere a una cessione “agevolata” degli stessi (oltre che dei beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali) ai soci.
Sulla plusvalenza da cessione, calcolata per gli immobili potendo applicare il valore catastale, viene versata una imposta sostitutiva delle imposte dirette e dell’Irap pari all’8% per le società operative e 10,5% per quelle non operative, mentre l’Iva si applica in misura ordinaria. In alternativa all’Iva se la cessione viene assoggettata a imposta di registro si beneficia dell’abbattimento alla metà e le imposte ipocatastali sono dovute in misura fissa. Il socio acquirente deve essere tale alla data del 30 settembre 2022.
Si tratta di una previsione normativa che dal punto di vista fiscale ottiene comunque il risultato di trasferire l’immobile non strumentale per destinazione al di fuori del perimetro d’impresa, ma le peculiarità della cessione sono molto diverse da quelle della assegnazione. Anzitutto con la cessione non vi è alcuna riduzione del patrimonio netto (come invece si ha nella assegnazione, operazione in cui potrebbe verificarsi una riduzione dello stesso capitale sociale con costi professionali aggiuntivi e tempi più lunghi), ma semplicemente una permutazione dell’attivo patrimoniale da immobilizzato o circolante (immobili merce) a liquidità o credito verso il socio. Inoltre, mentre nell’assegnazione la differenza plusvalente tra costo riconosciuto dell’immobile e valore normale (o catastale) appare solo nel modello Redditi non interessando il Conto economico, nella cessione la plusvalenza viene iscritta a Conto economico a beneficio dell’utile dell’esercizio. Poi nel modello Redditi vi sarà la variazione in diminuzione atteso che tale plusvalenza è tassata a titolo definitivo con imposta sostitutiva dell’8% nella generalità dei casi e del 10,5% per le società non operative.
Detto ciò, può essere utile riflettere sulla cessione agevolata al posto della assegnazione in determinate situazioni. In primo luogo, si pensi alla necessità di far uscire l’unico immobile detenuto dal perimetro sociale a fronte di una compagine societaria formata da 2 soci. Se essi non sono disponibili a intestarsi in comproprietà l’immobile sarà necessario individuare delle poste di conguaglio tra le altre attività o tra le passività, ma non sempre tale indagine porta a risultati praticabili: con la cessione agevolata il problema è superato nel senso che l’operazione non deve necessariamente coinvolgere tutti i soci.
Inoltre, un’altra situazione nella quale la cessione agevolata diviene interessante è quella nella quale il valore dell’immobile normale o catastale risulta inferiore a quello fiscalmente riconosciuto. Al riguardo si ricorda che la circolare n. 26/E/2016 ha ammesso che possa non sussistere nell’assegnazione base imponibile per applicare l’imposta sostitutiva, senza che ciò infici l’operazione agevolata nel suo complesso. Se questa tesi verrà confermata (e non sembrano emergere motivi per non farlo), e considerando che le norme sulla assegnazione valgono anche per la cessione agevolata, sembra potersi dire che non è essenziale un risultato plusvalente, potendosi determinare anche uno minusvalente, con la differenza che nella assegnazione la minusvalenza non realizzata non sarebbe comunque deducibile, mentre nella cessione essa è realizzata e quindi non sussistono elementi per non ritenerla deducibile. Sul punto va però ricordato che secondo la prassi dell’Agenzia delle entrate (circolari n. 26/E/2016 e n. 37/E/2016) la deducibilità della minusvalenza è condizionata al fatto che essa dipenda dall’applicazione del valore normale ex articolo 9, Tuir e non del valore normale/catastale.
In capo al socio la cessione degli immobili effettuata fruendo della disciplina agevolata tracciata dalla L. 197/2022 presenta alcune peculiarità che vanno analizzate.
Innanzitutto, va segnalato che l’immobile trasferito dovrebbe acquisire in capo al socio cessionario un valore fiscale pari a quello che ha determinato la base imponibile ai fini dell’assoggettamento della plusvalenza a imposta sostitutiva in capo alla società, ma in realtà, nella circolare n. 26/E/2016 si è affermato che il valore di computo del bene in capo al socio è sempre pari a corrispettivo pattuito. Tale dato potrebbe differire rispetto al corrispettivo dichiarato in atto in quanto la disposizione prevede espressamente che, ove il corrispettivo sia inferiore al valore normale determinato ex articolo 9, Tuir o al valore calcolato sulla base alla rendita catastale rivalutata, l’imposta sostitutiva in capo alla società va determinata computando il corrispettivo in misura non inferiore a uno di questi 2 ultimi valori. È, invece, ininfluente, nell’assunzione del costo fiscale del bene in capo al socio, il fatto che la società cedente abbia assoggettato la plusvalenza a un’imposizione ridotta rispetto a quella ordinaria riguardo alle cessioni agevolate effettuate sia da società di capitali sia da società di persone. Il credito della società scaturente dalla cessione potrà essere saldato anche con la rinuncia al credito che il socio eventualmente vanta nei confronti della società a titolo di finanziamenti precedenti. Sono, infatti, frequenti i casi in cui soci hanno in passato finanziato le società con mezzi propri. Ora tali poste potrebbero tornare utili per saldare il corrispettivo dovuto a seguito della cessione agevolata.
Nella cessione gli immobili trasferiti ai soci privati assumono una data di presa in carico ai fini dell’applicazione dell’articolo 67, Tuir, coincidente con quella dell’atto notarile. Contrariamente a quanto avviene nell’ambito della trasformazione agevolata in società semplice della società di gestione immobiliare, ciò significa che il socio cui è ceduto l’immobile non eredita la stagionalità della presa in carico del bene considerando anche il periodo di possesso società. Quindi dalla data di cessione agevolata si computa la decorrenza del quinquennio previsto dall’articolo 67, Tuir per valutare se la cessione del fabbricato o dell’area agricola plusvalente debba o meno dare origine a un reddito tassabile. Questo è un aspetto che è consigliabile venga valutato con attenzione nella scelta dell’operazione agevolata. Per la cessione di aree edificabili e di terreni lottizzati, invece, ricordiamo che il periodo di possesso del bene venduto è sempre ininfluente in quanto le plusvalenze realizzate in questi casi sono sempre tassabili ex articolo 67, Tuir.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il reddito di impresa“.