31 Marzo 2023

Il legittimo utilizzo delle percentuali di ricarico in sede accertativa

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

Sono trascorsi circa 20 anni da quando l’articolo 62 – sexies D.L. 331/1993, convertito con modifiche nella L. 427/1993, ha introdotto nell’ordinamento tributario una importante disposizione, recante una modifica sostanziale all’articolo 39, comma 1, lett.d), D.P.R. 600/1973 e all’articolo 54 D.P.R. 633/1972.

Tale norma ha, infatti, ampliato il ricorso al sistema presuntivo disponendo – fra l’altro – che gli accertamenti possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, fornendo così agli Uffici un grimaldello per scardinare contabilità inattaccabili dal punto di vista formale, dove magari il fattore X è rappresentato dal magazzino non correttamente valutato e che non consente un puntuale controllo (azienda, in contabilità ordinaria, che si limitano ad indicare il valore delle merci in maniera sintetica, quando invece nel libro inventari deve essere indicata la consistenza dei beni in categorie omogenee, per natura e valore, ed il valore attribuito a ciascun gruppo, ex articolo 15, comma 2, D.P.R. 600/1973, né vengono messe a disposizione le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario; per i soggetti in contabilità semplificata l’obbligo di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse discende dall’articolo 18 D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 9 D.L. 69/1989, conv. in L. n. 154/1989).

In questi casi gli Uffici spesso utilizzano le cd. percentuali ricarico, che altro non sono che le maggiorazioni che le imprese applicano al prezzo di acquisto del bene per determinare il prezzo di vendita.

In pratica, quindi, i verificatori procedono, ricorrendone i presupposti di legge, alla determinazione dei ricavi derivanti dalla vendita di beni attraverso l’applicazione di una maggiorazione sui costi di acquisto.

All’esito dell’istruttoria condotta dai funzionari fiscali, a seguito ad esempio di una verifica o di una richiesta documentale ex articolo 32 D.P.R. 600/1973, una volta calcolato il c.d. “costo del venduto” (pari a: Giacenze iniziali + Acquisti – Rimanenze finali) i maggiori ricavi vengono liquidati sulla base della seguente formula:

CDV x  % di ricarico = margine di guadagno

Calcolo che può diventare complicato per le imprese che – come spesso accade – trattano diverse tipologie di merci, ovvero per quelle aziende a carattere stagionale, o che hanno periodi di saldi e liquidazioni, in cui i margini di ricarico sono notevolmente inferiori.

Una volta che l’Ufficio opti per una ricostruzione dei maggiori ricavi da assoggettare a tassazione attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico, è sempre auspicabile un aperto confronto tra le parti, in modo tale da raggiungere il punto più alto di “verosimiglianza”, così che “l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’ufficio (Cass. 5628/1990 e 1286/2004).

Principio ribadito – in una versione “allargata” – con l’ordinanza n. 21491 del 15.09.2017, nella quale è stato affermato che “la percentuale di ricarico può essere legittimamente determinata con riferimento alla dichiarazione del contribuente relativa al periodo di imposta precedente, a fronte di un volume di vendite accertato sulla base di dati afferenti all’esercizio in corso”. 

Tuttavia – acclarato che in tema di accertamento dei redditi d’impresa è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ex articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (fra le altre, Corte di Cassazione, sentenza n. 23550/2014 e sentenza n. 13734/2015) – se la bassa percentuale di ricarico applicata legittima l’accertamento dell’Ufficio, autorizzandolo ad utilizzare percentuali di ricarico aritmetiche (Corte di Cassazione, ordinanza n. 7637 del 18.03.2021), allo stesso modo l’utilizzazione della media di settore non può comunque legittimare l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, “in assenza di una difformità evidente tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e quella calcolata sulla base delle medie di settore” (Corte di Cassazione, n. 6164 del 01.03.2023).