20 Aprile 2023

Cessioni gratuite: lo strano caso della rivalsa Iva

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

In un precedente contributo abbiamo illustrato le diverse prospettive di Agenzia delle Entrate e Corte di Giustizia Europea per quanto riguarda le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che vengono effettuate a corrispettivi che sono di gran lunga inferiori rispetto al costo di acquisto o produzione.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, il verificatore deve sentirsi libero di riqualificare tale operazione come gratuita, e contestare che non è stata applicata l’Iva sul prezzo di costo di tale operazione.

La Corte di Giustizia Europea, invece, che ha giudicato una norma che imponeva ai verificatori di comportarsi in tale maniera, ha statuito che tale norma non è compatibile con la direttiva europea, e quindi deve essere disapplicata; infatti, posto che nel momento in cui per una cessione di beni o per una prestazione di servizi è chiesto un corrispettivo, tale operazione deve essere qualificata come “onerosa”, indipendentemente dal fatto che tale corrispettivo sia superiore, uguale o inferiore al prezzo di costo; una volta qualificata l’operazione come onerosa, l’Iva dovuta deve essere determinata sulla base del corrispettivo pattuito.

Passiamo alle operazioni gratuite.

In Italia la norma prevede che nel caso di cessioni gratuite di beni che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa, sia dovuta l’Iva, e sia possibile esercitare la rivalsa (chiedere al destinatario il pagamento dell’IVA) oppure non esercitare la stessa; in questo secondo caso, in genere, l’Iva viene assolta emettendo una autofattura.

In un Working paper della Commissione Europea del 2016 (il numero 899), la Commissione Europea espresse due opinioni riguardo alle cessioni gratuite effettuate a destinatari che sono soggetti passivi Iva; in un primo scenario si ritiene che sia in ogni caso obbligatorio emettere fattura al destinatario, e questo soggetto ha diritto a portare in detrazione l’Iva, anche se non la ha pagata.

In un secondo scenario, invece, si ritiene che la cessione gratuita sia considerata sempre un “autoconsumo”.

In sostanza, il cedente deve fare una fattura a se stesso per “estromettere” il bene e considerarlo “privato”, e conseguentemente la cessione del bene al destinatario avviene da un “privato”; in sostanza, nessuna fattura deve essere emessa dal privato al destinatario, e questo non ha conseguentemente diritto a detrarre l’Iva che non ha pagato.

Ricordiamo che nei Working paper la Commissione Europea esprime la propria opinione, e se gli stessi non si trasformano in “linee guida”, significa che le opinioni della Commissione Europea non sono condivise da una maggioranza significativa degli Stati membri. In questo caso, quindi, nelle cessioni gratuite senza rivalsa sembra opportuno seguire la prassi fin qui adottata, ed autofatturare le stesse.

Tuttavia, può essere interessante analizzare altri punti di vista, rispetto a quelli dell’Amministrazione finanziaria italiana, che emergono in particolare quando le cessioni “gratuite” sono con rivalsa.

Tipicamente nei casi in cui il cliente può detrarre l’Iva, vi è la possibilità di fare fattura al cliente di 100 più Iva, e dire a quest’ultimo di pagare solo 22 (si esercita la rivalsa). In questo caso il cedente registrerà un costo di omaggi di 100, un debito Iva, ma avrà un incasso in dare; il cessionario avrà una uscita di cassa in avere ma una detrazione Iva in dare.

Ora, nel momento in cui il cliente qualcosa ha pagato, non è che l’operazione deve essere qualificata come onerosa?

In sostanza, visto che dal cliente si incassa un importo pari a 22, non è che va scorporata l’Iva da tale importo e si doveva fare una fattura di 18,03 + 3,97 di Iva?

Questa è la posizione della Commissione Europea, per la quale “indipendentemente dal nome o dalla qualificazione data dalle parti al pagamento effettuato (Iva, sussidio, contributo finanziario, ecc…) esso va visto come corrispettivo di una cessione di beni” (traduzione di chi scrive), e quindi la sua presenza rende l’operazione onerosa.

Infatti, la Commissione ricorda che – secondo gli insegnamenti della Corte di Giustizia Europea – una operazione va considerata onerosa quando c’è una correlazione tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo incassato, essendo ininfluente che quest’ultimo sia superiore, uguale o inferiore al prezzo di costo.

Anche in tali situazioni, tuttavia, lo scrivente ritiene che si possa continuare ad operare come si è sempre fatto, e fatturare al cliente imponibile più Iva, e chiedere il pagamento del solo importo dell’imposta; in fin dei conti è la stessa Agenzia delle Entrate che – nei propri interpelli – precisa di non adeguarsi a risposte fornite dalla Commissione Europea in quanto non vincolanti, e in altri casi decide di iniziare contenziosi milionari per opinioni diverse da quelle della Commissione (caso Facebook).