È il contribuente a dover provare il diritto al rimborso
di Gianfranco AnticoIn tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione avverso il silenzio-rifiuto dell’istanza di rimborso, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato, e le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale. Così si esprime la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9320 del 04.04.2023.
Grava, pertanto, sul contribuente che esercita il diritto al rimborso l’onere di provare il presupposto del diritto azionato; né in tema di rimborso d’imposta l’Amministrazione finanziaria deve svolgere attività di rettifica della dichiarazione in cui è stato esposto il credito, sicché, anche in assenza di accertamenti nei termini di legge, non si consolida il diritto del contribuente (Cass. n. 2834/2020; Cass. 17 giugno 2016, n. 12557).
L’allora CTR, affermando il diritto al rimborso del contribuente con un imprecisato riferimento alla documentazione in atti, così invertendo l’onere della prova in materia, non si è adeguata agli indicati principi, avendo fatto discendere la prova del credito chiesto a rimborso da documentazione genericamente indicata (non essendo all’uopo sufficiente la mera appostazione dello stesso nella dichiarazione mod. 760/94), contrastando tale affermazione con gli ordinari principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova nel caso in cui il contribuente impugni il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su una istanza di rimborso.
Oltretutto il ragionamento operato ha trovato conferma normativa. Infatti, la riforma della giustizia tributaria – L. 130/2022 –, che ha apportato, fra l’altro, significative modifiche in ordine agli oneri probatori, ha posto il sigillo sulla questione: l’articolo 7, comma 5-bis, D.Lgs. 546/1992, dopo aver affermato che l’Amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato e il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni, puntualizza che spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.
Ricordiamo, altresì, che in tema di rimborso di imposte l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum“.
E ciò comunque è coerente con il principio di diritto che si trae dall’articolo 1442, comma 4, cod. civ., secondo il quale il contraente legittimato all’azione di annullamento del contratto può far valere la causa di annullabilità a titolo di eccezione, anche decorso il termine di prescrizione dell’azione, per contrastare l’iniziativa della controparte che lo abbia convenuto per ottenere l’adempimento (Corte di Cassazione, sentenza n. 3858/2023).
A queste conclusioni era già giunta la Corte di Cassazione a SS.UU. – sentenza n. 5069/2016 -, dirimendo così il contrasto giurisprudenziale che si era venuto a creare, che supera il precedente contrario (sentenza n.9339/2012).
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5069/2016, aderiscono all’orientamento opposto e pregresso, anche e soprattutto a tutela di chi richiede crediti legittimi, rilevando comunque che l’eventuale inerzia dell’Ufficio può essere vinta attraverso l’impugnazione del silenzio rifiuto, così da far venire meno l’incertezza nella definizione del rapporto tributario.