Gestori della crisi d’impresa: 3 su 4 sono commercialisti
di Massimo ConigliaroSono oltre novemila i gestori della crisi dopo un mese dalla piena entrata in vigore della nuova disposizione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (articolo 356) che prevede che gli incarichi di curatore, commissario, liquidatore giudiziale ed attestatore possono essere conferiti soltanto ai professionisti iscritti nell’apposito Albo istituito e tenuto presso il Ministero della Giustizia.
Per la precisione, secondo i dati reperibili al 30 aprile 2023 nell’elenco pubblico del portale ministeriale i professionisti che hanno visto accogliere la propria istanza di iscrizione sono 9.090. Si tratta di un numero destinato a crescere ancora, atteso che il termine per presentare la domanda è sempre aperto; potrebbero esservi peraltro pratiche ancora in istruttoria.
I numeri, tuttavia, consentono già qualche considerazione.
In particolare, la scomposizione dei dati per categorie professionali conferma la tendenza della materia della crisi ad essere sempre più di interesse per gli aziendalisti, se è vero che il 74% degli iscritti al nuovo albo appartiene all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili: essi sono infatti 6.711, in pratica 3 iscritti su 4. Gli iscritti all’Albo degli avvocati sono 2359 mentre sono 20 i consulenti del lavoro.
A ben riflettere, i dati rispecchiano l’approccio del legislatore alla materia nonché le indicazioni a monte della Direttiva Insolvency, orientata al corretto funzionamento del mercato nonché ad eliminare le differenze tra le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni.
L’obiettivo è infatti quello di rimuovere gli ostacoli garantendo alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l’esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata.
La continuità aziendale e l’allerta precoce sono il fulcro dell’intera disciplina.
La ristrutturazione dovrebbe consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare a operare, in tutto o in parte, modificando la composizione, le condizioni o la struttura delle loro attività e delle loro passività o di una qualunque altra parte della loro struttura del capitale.
I quadri di ristrutturazione preventiva, già nell’intenzione del legislatore europeo, devono innanzitutto permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce al fine di prevenire l’insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane. Tali quadri dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l’economia nel suo complesso.
Nel contempo, le imprese non sane che non hanno prospettive di sopravvivenza dovrebbero essere liquidate il più presto possibile.
È chiaro quindi che l’attenzione si sposta dalla fase patologica dell’azienda ormai in decozione e sottoposta ad una procedura concorsuale a quella – antecedente – della gestione della crisi dell’imprenditore ancora in bonis; crisi che deve essere sempre più intesa come una fase fisiologica di una realtà dinamica qual è l’impresa e non come anticamera dell’insolvenza conclamata (come spesso è stata percepita o gestita in passato).
E per far questo occorrono adeguati assetti organizzativi che consentano di cogliere subito i segnali di difficoltà economico o finanziaria, piani industriali adeguatamente supportati da analisi di contesto e ragionevoli previsioni prospettiche, costante attenzione all’efficacia ed all’efficienza dei processi e, in generale, del business. È necessario quindi un bagaglio di competenze fortemente orientate alla materia aziendalistica; circostanza che spiega quindi il grande interesse dei dottori commercialisti.
La distribuzione geografica dei dati, per quel che concerne le iscrizioni all’albo dei gestori della crisi, vede il numero maggiore di professionisti a Roma (531, di cui 264 commercialisti, 265 avvocati e 2 consulenti del lavoro) ed a seguire Milano (408, di cui 281 commercialisti e 127 avvocati).
In molte zone d’Italia la ripartizione tra i professionisti delle due aree maggiormente interessate è decisamente sbilanciata verso i commercialisti, come ad esempio a Torino (99 commercialisti su 114), Firenze (219 su 223), Prato (110 su 110), Arezzo (83 su 106), Venezia (120 su 125), Genova (97 su 100), Bergamo (202 su 239), Brescia (183 su 185), Monza (63 su 65), Busto Arsizio (81 su 82), Vicenza (96 su 101), Bologna (131 su 158), Parma (133 su 134), Trento (39 su 39), Udine (59 su 65), Napoli (200 su 299), Cagliari (69 su 70), Perugia (161 su 177), Viterbo (27 su 28), Pescara (80 su 117), Lecce (76 su 94), Campobasso (18 su 22), Agrigento (21 su 25), Caltanissetta (21 su 26).
In altre zone, soprattutto al Sud, la situazione in qualche caso si inverte con una maggiore presenza di avvocati, come ad esempio a Bari, dove tra i gestori della crisi ci sono 127 avvocati, 63 commercialisti ed 1 consulente del lavoro; ed ancora Catania (86 avvocati e 28 commercialisti), Palermo (87 avvocati e 21 commercialisti), Siracusa (47 avvocati, 16 commercialisti). Più equilibrata in altri centri come Verona (76 commercialisti, 73 avvocati), Bolzano (15 avvocati, 11 commercialisti), Ancona (75 commercialisti, 67 avvocati), Caserta/Santa Maria Capua Vetere (42 commercialisti, 41 avvocati), Teramo (96 commercialisti, 48 avvocati), Latina (57 commercialisti, 28 avvocati), Salerno (58 commercialisti, 33 avvocati).