Alcune conseguenze fiscali della riforma dello sport – seconda parte
di Guido MartinelliLa circostanza dell’attività sportiva svolta in via stabile e principale conduce ad ulteriori conseguenze.
Il tema è quello già trattato nel nostro precedente contributo.
Le attività secondarie e strumentali possono ritenersi o meno conformi alle finalità istituzionali che sono, come indicato, lo svolgimento in via stabile e principale di organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche.
Questo è un passaggio che andrebbe chiarito con inequivocabile prassi amministrativa per evitare le conseguenze che stiamo descrivendo in queste analisi.
Partiamo dai c.d. “contributi corrispettivi” erogati dai Comuni ai gestori di impianti sportivi ed espressamente indicati come tali nelle convenzioni di affidamento degli impianti.
Fino ad oggi, in applicazione dell’articolo 143, comma 3, lett. b), Tuir venivano considerati, per le associazioni sportive, istituzionali ai fini delle imposte sui redditi ma soggetti ad Iva.
Il presupposto normativo, però, prevede che questi siano tali se corrisposti per “attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali”.
Potranno continuare ad essere considerati tali?
A mio avviso sì, nella misura in cui il destinatario effettivamente svolga attività sportive dilettantistiche.
Se così non fosse (perché, come abbiamo visto nel precedente contributo, l’attività si potrebbe limitare alla gestione dell’impianto e alla messa a disposizione di terzi di strutture sportive) invece, così come già accade oggi per le società sportive di capitali (che in quanto enti non commerciali non possono applicare l’articolo 143 Tuir) il contributo corrispettivo corrisposto dall’ente pubblico proprietario dell’impianto sportivo per la sua gestione diventerebbe anche componente positiva di reddito.
Ma l’aspetto di maggiore impatto sarà un altro.
Molte associazioni sportive (in specie quelle che dispongono di una sede fisica tipo tennis, golf, vela, bocce o per il rugby le attività del c.d. “terzo tempo”) svolgono, spesso e volentieri, per i propri associati “non atleti” delle attività ricreative per le quali richiedono un corrispettivo specifico.
Basti pensare alla banale quota di iscrizione ad una gara di carte (che non sia il bridge, attività sportiva riconosciuta) o a una rassegna cinematografica, ad una gita, ad un corso di cucina, ecc..
I corrispettivi specifici riscossi a fronte di tutte queste attività di carattere ricreativo ora non potranno più essere considerati di carattere istituzionale e, come tali, diventeranno soggette ad Iva e ad imposte sui redditi anche se versate da associati o da tesserati.
Ma c’è di più.
In alcuni casi gli statuti di queste associazioni sportive distinguono le categorie di soci che hanno diritto di fruire gli impianti sportivi da quelli a cui questo diritto è precluso (i c.d. frequentatori) e che hanno accesso solo alla club house e alle attività ricreative.
In presenza di una tipologia di associati con queste caratteristiche, per la sportiva, potrebbe essere messa in discussione addirittura la natura istituzionale anche della quota associativa, non solo quella dell’eventuale corrispettivo specifico.
L’unica soluzione per ovviare a queste conseguenze è quella di far diventare la sportiva ente del terzo settore (in questo caso associazione di promozione sociale) potendo svolgere, così, più attività di interesse generale e fare rientrare anche queste attività tra quelle di natura istituzionale.
Un punto che necessiterebbe di un intervento interpretativo da parte della Agenzia delle entrate è la disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 36, laddove viene previsto che la cessione del contratto di lavoro subordinato sportivo degli atleti dilettanti (e, si ritiene, analogamente, anche quello di collaborazione coordinata e continuativa) sia soggetto, per le società ed associazioni sportive dilettantistiche senza fini di lucro, all’agevolazione di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir.
Questa norma richiede una esegesi complessa.
Intanto la circostanza che, in questa specifica fattispecie, il legislatore espressamente indica “senza scopo di lucro” porta a ritenere che le società sportive che volessero utilizzare la facoltà, di cui al comma 3 dell’articolo 8, di parziale distribuzione degli utili, non potrebbero applicare la norma in esame.
Ulteriormente va chiarito se l’espressa menzione dell’articolo 148 ne consente l’applicazione anche agli enti sportivi del terzo settore (che, come è noto, a partire dal momento in cui sarà operativo il titolo decimo del codice del terzo settore non potranno più applicare detta norma) ma principalmente, se questa attività di cessione degli atleti, espressamente ricompresa tra le attività secondarie e strumentali dal secondo comma dell’articolo 9, come tale, quindi, non conforme alle finalità istituzionali, potrà trovare comunque applicazione.
Per concludere, l’articolo 29 disciplina la prestazione dei volontari sportivi. Il comma 3 recita: “Le prestazioni sportive di volontariato sono incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva”.
Questa norma renderà non più possibile un comportamento abbastanza diffuso.
Ossia del Presidente di un ente sportivo che dichiara di ricoprire la carica in maniera gratuita ma di essere poi retribuito, con le facilitazioni previste per il lavoro sportivo, come istruttore.
Se vorrà, dovrà suddividere il compenso tra i due incarichi applicando la tassazione prevista per ogni singola fattispecie.