Il canone di leasing immobiliare interamente deducibile ai fini Irap
di Stefano ChirichignoIl principio di derivazione rafforzata è il grimaldello attraverso cui in sede giurisprudenziale si pone rimedio – almeno in sede di giudizio di legittimità – a un rischio di potenziale doppia imposizione giuridica generato da quella vera e propria caccia alle streghe dell’Agenzia delle entrate dell’ultimo decennio – con l’improvvido supporto del Legislatore del D.L. 223/2006 (articolo 36-bis, commi 7 e 8) – contro il concorso alla formazione della base imponibile di un fattore della produzione, i terreni, in base al mero assioma della “indeperibilità” degli stessi.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 6492/2003) si pone un tema di successione di leggi del tempo, risolvendo il non facile quesito di quale fosse legge speciale tra la novella del 2006 che ha statuito la necessità di scorporare dalla quota di ammortamento di ogni fabbricato la quota parte riferibile al terreno di sedime (nonché dell’eventuale terreno pertinenziale) e quella del 2007 che ha introdotto il principio di derivazione diretta dal bilancio per la determinazione della base imponibile Irap.
Il risultato raggiunto induce a riflettere ancora una volta sul concorso dei terreni alla formazione del reddito.
Premessa
Con la sentenza n. 6492/2023, la Corte di Cassazione ha statuito il principio secondo cui i canoni di leasing immobiliare (depurati della quota interessi) sono deducibili, ai fini Irap, senza tenere conto dei limiti forfetari di cui all’articolo 36, comma 7 e 7-bis, D.L. 223/2006, convertito in L. 248/2006 in misura pari all’importo stanziato nella voce B.8 del Conto economico.
Si rammenta che il comma 7 del sopra citato D.L. 223/2006 introdusse nell’ambito della disciplina del reddito di impresa una sorta di anatema nei confronti dei terreni statuendo che “ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza”. Il successivo comma 7-bis ulteriormente precisava che le disposizioni del comma 7 si applicano, con riguardo alla quota capitale dei canoni, anche ai fabbricati strumentali in locazione finanziaria.
La Corte – pur consapevole che l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 36/E/2009 (per l’appunto a commento dell’introduzione del principio di derivazione diretta dal Conto economico in ambito Irap) aveva ritenuto che la previsione del comma 7-bis non fosse stata minimante intaccata da tale principio generale – ha ritenuto, al contrario, che il punto dirimente è che tale disposizione è anteriore alle modifiche recate alla disciplina dell’Irap dalla L. 244/2007: quest’ultima, introducendo il principio di derivazione diretta dal bilancio dei componenti positivi e negativi del valore della produzione, secondo la Corte, ha sterilizzato l’applicazione delle regole fiscali da esso dettate, riproponendo la corretta applicazione dei Principi contabili (ex articolo 5, comma 5, D.Lgs. 446/1997), previgenti (seppur – come si dirà – con il limite delle aliquote tabellari) che, a ben vedere, non prevedono, per i canoni di locazione, lo scorporo della parte correlata al costo delle aree.
La sentenza naturalmente si ferma qui, non potendo andare oltre l’oggetto del contendere, ma sillogismo vuole che i medesimi principi si estendano al caso più generale dell’ammortamento dei terreni (beninteso, ai soli fini Irap). Vale a dire che è del tutto ragionevole attendersi che la Corte darebbe ragione al contribuente che abbia dedotto ai fini Irap le quote di ammortamento civilistiche nella misura in cui sono state imputate a Conto economico non ritenendo applicabili i limiti alla deduzione della “componente terreni” della quota di ammortamento forfetariamente previste dal D.L. 223/2006.
Per comprendere appieno in che misura le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di legittimità abbiano un impatto concreto (ma anche se sono idonee a gettare delle ombre sulla sistematicità del quadro normativo) è necessario quindi fare un passo indietro e sinteticamente riepilogare cosa prevedono i Principi contabili (imitando, per semplicità espositiva, l’analisi ai Principi contabili nazionali) per quanto riguarda l’ammortamento dei terreni.
I Principi contabili
Le caratteristiche che devono sussistere affinché l’ammortamento assecondi le previsioni civilistiche e contabili di cui al Principio Oic 16, sono:
- sistematicità;
- razionalità;
- la quota imputata a ciascun esercizio deve riferirsi alla residua possibilità di utilizzazione dell’immobilizzazione;
- irrilevanza dei risultati conseguiti dall’impresa nell’esercizio.
Per poter predisporre un piano di ammortamento che rifletta la residua possibilità di utilizzo del bene è necessario essere a conoscenza dei seguenti elementi:
- valore da ammortizzare: è pari alla differenza tra il costo dell’immobilizzazione e il suo presumibile valore residuo al termine del periodo di vita utile (che deve essere aggiornato periodicamente);
- residua possibilità di utilizzazione: è legata alla “durata economica” delle immobilizzazioni, che non coincide necessariamente con la loro “durata fisica“.
La residua possibilità di utilizzazione è determinata in funzione della “durata economica” delle immobilizzazioni, in altri termini in base al periodo in cui si prevede che il cespite tornerà utile all’impresa. Per determinare la “durata economica” si può (e si deve) ricorrere a un variegato novero di elementi esogeni ed endogeni, oggettivi e soggettivi. Senza pretesa di completezza, mutuando dal Principio contabile:
- deterioramento fisico legato al trascorrere del tempo;
- grado di utilizzo;
- esperienza relativa alla durata economica dei cespiti sia dell’impresa, sia del settore industriale in cui questa opera;
- stime dei produttori del cespite;
- perizie;
- obsolescenza, sia del cespite (ricorrenza dei cambiamenti tecnologici, nuove tecnologie prevedibili al momento della stima, etc.) sia del prodotto per cui viene utilizzato;
- correlazione con altri cespiti: se un cespite viene acquisito per migliorare un altro cespite originario, ma non ne prolunga in modo apprezzabile la vita, il nuovo cespite deve essere ammortizzato sulla residua possibilità di utilizzazione del cespite originario;
- piani aziendali per la sostituzione dei cespiti;
- fattori ambientali;
- condizioni di utilizzo, quali i turni di produzione, il corretto utilizzo, il livello tecnico del personale addetto, i luoghi di utilizzo (aperti o chiusi, umidi o asciutti), etc.;
- politiche di manutenzione e riparazione: un’inadeguata manutenzione può ridurre la durata economica del cespite, una manutenzione diligente può prolungarla, ma non indefinitamente;
- fattori economici o legali che impongono limiti all’uso del cespite.
Venendo al tema dei terreni mentre i Principi contabili internazionali sono piuttosto netti e puntigliosi nell’escludere l’ammortamento dei terreni, il Principio contabile 16 si esprime in termini meno perentori in quanto, se prima afferma che “nel caso in cui il valore dei fabbricati incorpori anche quello dei terreni sui quali essi insistono, il valore dei terreni va scorporato ai fini dell’ammortamento sulla base di stime”, poi prosegue affermando come “in quei casi, invece, in cui il terreno ha un valore in quanto vi insiste un fabbricato, se lo stesso viene meno, il costo di bonifica può azzerare verosimilmente quello del terreno, con la conseguenza che anch’esso va ammortizzato”.
Lo stesso principio contabile fa i 2 esempi più eclatanti di ammortizzabilità dei terreni, vale a dire le cave e i siti utilizzati per le discariche.
Ma un caso ben più frequente di “sostanziale” ammortamento dei terreni è costituito proprio dal leasing finanziario (immobiliare) per il quali i Principi contabili domestici non prevedono lo scorporo della parte di canone correlata al costo delle aree, nell’ambito del metodo patrimoniale attualmente rilevante ai fini della quantificazione del risultato d’esercizio.
La ratio (debole) dell’indeducibilità dell’ammortamento dei terreni
Prima ancora che il Legislatore nel 2006 intervenisse a forfetizzare l’indeducibilità dell’ammortamento dei terreni, il principio per cui il concorso alla formazione della base imponibile di un fattore della produzione, per l’appunto i terreni, dovesse essere escluso in base al mero assioma della “indeperibilità” degli stessi era stato più volte evocato dalla prassi.
L’Agenzia delle entrate si era sentita in dovere di affermare che i terreni, ancorché assolvano la funzione di bene strumentale, non sono ammortizzabili in quanto hanno una vita illimitata già nelle circolari n. 11/1991 e n. 98/2000 e nelle risoluzioni n. 113/1996 e n. 1579/1982), portando a supporto il dato di fatto che le tabelle dei coefficienti di ammortamento approvate con D.M. 31 dicembre 1988 non prevedono la possibilità di ammortizzare i terreni salvo in taluni casi (ad esempio i terreni che siano adibiti a piste, moli, linee ferrate e autostrade) “argutamente” derubricate a eccezioni che confermano la regola. Ricorrere a un proverbio per quanto di alto lignaggio denota la difficoltà di individuare un argomento forte a sostegno della tesi e il timore di affidarsi ai Principi contabili anch’essi come si è visto non esattamente granitici sul punto.
A ben vedere, dall’esame delle regole del Tuir e della normativa collegata emerge come obiettivo dell’ammortamento sia in primo luogo quello della razionalità e della sistematicità che risulta assicurata dai coefficienti stabiliti dal Legislatore per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.
Nella Relazione di accompagnamento al D.P.R. 597/1973 si leggeva che la scelta di individuare i coefficienti di ammortamento per il tramite di un D.M. derivava dalla necessità di non lasciare la libertà all’imprenditore “in considerazione sia delle difficoltà di ordine pratico, che sarebbero derivate dall’accoglimento di tale secondo orientamento, sia dell’esigenza di certezza che deve ispirare la norma sulla determinazione fiscale del reddito”.
Va sottolineato che non erano mancati “episodi normativi” in cui si derogava di fatto al principio generale di non ammortizzabilità dei terreni: emblematico il caso delle varie leggi di rivalutazione dei beni ammortizzabili che non escludevano affatto dalla ri-valutabilità i terreni (almeno nel caso di investimento unitario con il fabbricato).
Se si volesse ragionare senza preconcetti, si potrebbe concludere che l’idea del Legislatore del 1973, recepite nel Testo Unico del 1986, erano che l’ammortamento fiscale dovesse essere in realtà slegato dalla stima effettiva e oggettiva del deperimento del bene per effetto del suo utilizzo nell’attività produttiva e che fosse opportuno disciplinare compiutamente un processo di ammortamento che seguisse regole preordinate dal Legislatore tributario uguali per tutti.
In altri termini, per il Legislatore fiscale, la doverosa attenzione all’economicità dei fenomeni comporta la necessità di dare opportuna rilevanza alla stabile (ma non eterna) destinazione del bene che in tale contesto partecipa a un effettivo processo di graduale obsolescenza fisica ed economica cui si leghi la residua economica possibilità di utilizzazione dell’unico bene. In altri termini, in astratto è del tutto evidente che un terreno resta sempre lì e quindi la impossibilità di autonoma utilizzazione che giustifica va intesa non in assoluto (ben si potrebbe prima o poi divellere il manto stradale, buttare giù l’edifico, etc.) ma in senso relativo, di ragionevolezza ed economicità, ragion per cui la non ammortizzabilità dei terreni se già – come si è visto – non è esattamente un totem civilistico non lo sarebbe per il Fisco.
Probabilmente, a parte le evidenti consuete esigenze di gettito, la scelta del 2006 è in qualche misura figlia della consapevolezza delle crepe che la rigida posizione espressa dalla prassi di cui sopra prima o poi avrebbe potuto lasciare trasparire e questo tema ritorna a emergere nel confronto tra Ires e Irap e tra acquisto e leasing finanziario.
Il principio di equivalenza tra acquisto e leasing finanziario
Merita di essere rammentato che per l’Agenzia vale il principio cardine che il trattamento fiscale dei canoni derivanti da un contratto di locazione finanziaria per l’acquisizione di un bene deve essere equivalente a quello applicabile al costo sostenuto per l’acquisto dello stesso bene a titolo di proprietà.
La tesi dell’Agenzia delle entrate parte dall’assunto che esiste un criterio di sostanziale equivalenza tra l’acquisizione o la realizzazione del bene in proprio e quella effettuata tramite contratto di leasing. Tale criterio emerge dalla Relazione ministeriale al D.L. 414/1989, reiterato con il D.L. 90/1990, recante modifiche al comma 8 dell’articolo 67, Tuir (ante riforma del 2004, oggi articolo 102) ed è finalizzato ad “assicurare nel tempo, in relazione alle mutevoli condizioni di mercato, la necessaria neutralità fiscale della scelta aziendale tra acquisizione dei beni di proprietà e in leasing”.
Lo stato dell’arte è talmente inappagante sotto questo profilo da far dubitare che qualcosa, per così dire non sia andata per il verso giusto. Quanto meno ai fini Irap, il leasing consente, esclusivamente grazie all’adozione di uno dei 2 possibili metodi di contabilizzazione, la deduzione di un costo che invece rimane indeducibile ai fini Ires.
Ne conseguirebbe che, attraverso il sostenimento degli oneri locativi, si arriva a un costo fiscalmente riconosciuto ai fini Ires solo al momento della successiva alienazione del bene (o altro fenomeno realizzativo). Il riscatto è però solo il più frequente esito finale del contratto di locazione finanziaria ma appare difficile sostenere che la facoltà di non esercitare tale diritto negozialmente prevista per il locatario debba essere considerata alla stregua di una clausola di stile cui non dare alcun peso nell’inquadramento del fenomeno giuridico. Come garantire che non vi sia doppia imposizione (economica, considerata la pacifica imponibilità dei canoni per il locatore) in questi casi in cui il bene non viene riscattato? Viene il dubbio che l’equivalenza acquisto leasing sia solo apparente. D’altro canto, se il contratto di locazione finanziaria si qualifica anche per questa aggettivazione non dovrebbe scandalizzare più di tanto che il trattamento fiscale si differenzi rispetto all’acquisto proprio sotto il profilo finanziario (la deduzione dei canoni di leasing costituirebbe un’anticipazione finanziaria rispetto al concorso alla determinazione della plus o minus valenza al momento della alienazione del cespite stesso).
Ciò detto con specifico riferimento alla locazione finanziaria, non si può eludere, a questo punto, il nodo centrale, o meglio sottostante all’intera questione, vale a dire la possibilità di sottoporre i terreni a un processo di ammortamento. Nonostante le chiara presa di posizione del Legislatore del 2006 rimane ineludibile la sensazione che il Legislatore avrebbe fatto bene ad attenersi all’impostazione inziale per la quale l’ammortamento fiscale non è altro che una ripartizione nel tempo della deduzione del costo inerente (ivi incluso il terreno, evidentemente) evitando di ammantare maldestramente con Principi civilistici (peraltro suscettibili di distinguo come si è visto) quelle che sono esigenze di gettito di corto respiro.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il reddito di impresa“.