La rilevabilità d’ufficio della nullità di una delibera assembleare
di Luigi FerrajoliNelle società per azioni è possibile impugnare, ai sensi dell’articolo 2379 cod. civ., la delibera assembleare in caso di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale o di impossibilità o di illiceità dell’oggetto, nel termine decadenziale di tre anni dall’iscrizione o dal deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, ovvero dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito.
Al secondo comma, la disposizione citata attribuisce al giudice il potere di rilevare d’ufficio tale invalidità, nei casi e nei termini anzidetti.
Secondo il disposto normativo in esame, quindi, il termine di decadenza triennale è previsto non solo in relazione all’impugnazione da parte degli aventi diritto, ma anche – al fine di evitare che chi abbia omesso di azionare la nullità nel periodo assegnato dalla legge possa poi riuscire ad aggirare il precetto normativo sollecitando tardivamente le doglianze – “al rilievo officioso dell’invalidità” (cfr., sul punto, Cass. Civ. n. 11224/2021, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto che il giudice di merito non potesse rilevare d’ufficio la nullità di una delibera adottata dal consiglio di amministrazione di una società cooperativa, essendo decorso il termine triennale di decadenza).
Può accadere, invero, che il giudice venga investito da un’azione di nullità di una delibera assunta dall’assemblea in relazione alla quale, come previsto dall’articolo 2379, comma 2, cod. civ., può (e deve) rilevare la nullità della delibera impugnata, anche in difetto di un’espressa deduzione di parte e per vizi di nullità diversi da quelli denunciati nella domanda introduttiva del giudizio, purché gli stessi siano desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo e – in osservanza degli articoli 183, comma 4, e 101, comma 2, c.p.c. – previa provocazione del contraddittorio tra le parti sulla diversa causa di nullità rilevata dal giudice. A ciò farà conseguentemente seguito da parte del giudicante una declaratoria di nullità della delibera stessa.
In tale particolare contesto, la recente ordinanza n. 10233/2023 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 18 aprile, ha chiarito i limiti della cognizione del giudice, il quale:
- investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), “in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato”;
- chiamato a pronunciarsi, invece, sulla domanda avente ad oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera (che, quindi, presuppone la non nullità della delibera), deve coordinare “la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni (…) con il principio della domanda”. Per tale ragione, detto giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi un’istanza in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito alla rilevazione del giudice, dalla parte interessata;
- nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, “tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza”, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita “solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea”.
Se è vero, quindi, che il giudice può sempre (e, comunque, nel termine dei tre anni poc’anzi richiamato) rilevare la nullità della delibera anche in appello, ai sensi dell’articolo 345, comma 2, c.p.c., è anche vero che egli non può dichiarare la predetta nullità in mancanza di una domanda ritualmente avanzata – la cui proponibilità è in ogni caso da escludersi, ex articolo 345, comma 1, c.p.c., per la prima volta in tale grado – dalla parte interessata.