Fatture false: l’assoluzione dell’emittente salva l’utilizzatore
di Arianna SemeraroNon può essere condannato l’utilizzatore di fatture asseritamente false se, per il medesimo fatto storico è già intervenuta una sentenza definitiva che assolve l’emittente delle stesse perché “il fatto non sussiste”.
Queste le conclusioni della Corte di Cassazione manifestate con la sentenza n. 20673 del 16 maggio mediante la quale accoglie il ricorso del legale rappresentante di una società, condannato per il reato di falsa fatturazione di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.
La norma penale, contenuta nell’articolo 2 del decreto, sanziona la condotta di colui che utilizza fatture o altri documenti probatori per dichiarare passività inesistenti all’interno della dichiarazione Iva o nella dichiarazione dei redditi al fine di ridurre fraudolentemente l’imponibile oggetto del prelievo fiscale.
Ne deriva che, presupposto imprescindibile per il reato di cui in oggetto, è dunque l’emissione da parte di un soggetto terzo di tali fatture false.
In particolare, i giudici di seconde cure avevano affermato la penale responsabilità dell’imputato, accusato di aver fatto uso di fatture relative ad operazioni inesistenti, ancorché l’esistenza di tali operazioni fosse stata acclarata in una precedente sentenza di assoluzione divenuta definitiva e riguardante l’emissione di dette fatture. Sentenza a sua volta acquisita nel processo in oggetto ai sensi dell’articolo 238-bis c.p.
A ciò si aggiunga che la formula assolutoria che aveva liberato l’emittente dalla propria presunta responsabilità penale – “perché il fatto non sussiste” – non lasciava spiraglio alcuno di poter giungere ad una diversa valutazione giuridica del medesimo fatto storico. Era stato infatti giudicato che, in base agli elementi di prova forniti in giudizio, le operazioni imponibili sottostanti fossero esistenti sia in termini oggettivi che soggettivi.
Tanto premesso, la decisione dei supremi giudici qui in commento è volta a far sì che ove un precedente giudicato sia intervenuto e abbia sancito l’esistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni sottostanti le fatture oggetto di controllo, non sia possibile giungere ad un giudicato contrastante sul medesimo fatto storico il cui presupposto giuridico risulti essere la contraria inesistenza delle operazioni contestate.
Tale assunto è di fondamentale importanza stante la necessità di non contrastare il principio di non contraddittorietà che impone il divieto di accertare due diverse verità sul medesimo fato storico.
Nel dettaglio, nell’annotata vicenda i giudici specificano come, fermo restando l’impossibilità di contraddire la già accertata verificazione del medesimo fatto storico, è possibile per il giudice che giunge ad una diversa valutazione giuridica dei medesimi fatti, giustificare specificatamente la conciliabilità del diverso esito.
Affermano i giudici “Va ribadito il principio. – così Sez. 3, n. 36907 del 15.10.2020, Cerbini, Rv. 280278 – 01 – per cui le risultanze di un precedente giudicato penale, acquisite ai sensi dell’articolo 238-bis c.p.p., e riguardanti una pre-condizione del giudizio in corso, impongono, al giudice che giunga a diverse conclusioni sulla base di una differente valutazione giuridica dei medesimi fatti, di giustificare specificamente la conciliabilità del diverso esito, esclusa restando, tuttavia, la possibilità di contraddire la già accertata verificazione del medesimo fatto storico”.
Ed ancora: “Devono, in particolare, essere illustrate specificamente le ragioni della conciliabilità dei due diversi giudizi, in quanto le risultanze di un precedente giudicato penale, acquisite ai sensi dell’articolo 238-bis c.p.p. che riguardino una pre-condizione del giudizio in corso non consentono al giudice di giungere a conclusioni inconciliabili con la sentenza irrevocabile, allorquando l’inconciliabilità verta sui fatti posti a fondamento delle decisioni contrastanti e non sulle valutazioni giuridiche di essi”.
Sarebbe interessante comprendere se tali condivisibili principi espressi dalla Corte riusciranno a trovare ingresso anche con riferimento al parallelo procedimento tributario che la contestazione di tali fattispecie origina, ancorché tuttora si assiste ad un inesorabile utilizzo del famoso “principio del doppio binario” che pare consentire quanto qui dalla Corte ripudiato e cioè giungere a due esiti contrapposti circa il medesimo fatto storico.
In tali simili circostanze, ove ad essere acclarata dal giudice penale è l’esistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni fatturate, non si dovrebbero avere ancora spazi di valutazione in grado di sanzionare fiscalmente una fattispecie storica di cui un giudice penale ne ha affermato l’assoluta inesistenza.
Questo provocherebbe allo stesso modo una contraddittorietà tra giudicati, parimenti non accettabile nonostante espressione di giurisdizioni differenti.