Detraibilità dell’Iva non versata dal fornitore: ulteriori spunti di riflessione
di Roberto CurcuIn un precedente contributo abbiamo analizzato come con svariati motivi l’Amministrazione finanziaria potrebbe contestate al cliente l’Iva non versata dal fornitore.
Peraltro, la stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria dimostra che l’Agenzia delle Entrate, con le sue azioni, recupera talvolta la stessa imposta due volte!
Nella risposta ad interpello 529/2022 emerge infatti che nel caso di missing trader, cioè di un soggetto che si è interposto fra fornitore e cliente reale, non pagando l’Iva al primo ed addebitandola al secondo, l’Agenzia delle Entrate ha contestato al primo venditore il mancato addebito di Iva al cliente (in quanto doveva sapere che la dichiarazione di intento del cliente era falsa), e la detrazione Iva al cliente finale (il quale non poteva non sapere che il suo fornitore era interposto).
Al fine di “sanare” questa strana situazione in cui uno Stato incassa l’IVA due volte su una stessa operazione (la fornitura reale senza il soggetto interposto), l’Agenzia ha permesso al fornitore di esercitare la rivalsa dell’Iva pagata in accertamento nei confronti del cliente reale (con il quale non aveva avuto relazioni), al quale è stato consentito di detrarre l’imposta (addebitata due volte per la stessa operazione).
Insomma, dalla lettura della risposta ad interpello pubblicata dalla stessa Agenzia, emerge che ad un cliente è stata contestata la detrazione di Iva che non è stata evasa, cioè che non è stata persa dalle casse erariali.
La cosa sembrerebbe non possibile, ma in realtà è necessario analizzare la recente giurisprudenza comunitaria.
Con la Sentenza C-596/21 la Corte di Giustizia ha confermato che al soggetto che con la propria negligenza partecipa ad una frode (nello specifico a colui che acquista da un fornitore che non verserà l’Iva), deve essere negato il diritto alla detrazione senza che sia nemmeno necessario dimostrare l’esistenza di un rischio di perdita erariale; nello specifico, la sentenza ha statuito che qualora si partecipi ad una frode, tutto l’importo dell’Iva detratta deve essere recuperato, e non solo quello perso dall’erario.
Si trattava di una operazione a catena dove ad esempio A fatturava 100 € + IVA a B, il quale si interponeva fittiziamente ed emetteva fattura a C per 150 euro + Iva.
B, dopo aver incassato l’Iva da C e versato l’Iva ad A, evadeva l’Iva su 50.
La Corte conferma che – nonostante l’Erario abbia perso solo l’Iva calcolata su 50 – a C deve essere contestata la detrazione dell’Iva calcolata su 150; infatti, a colui che collabora con gli autori dell’evasione e ne diviene complice, deve essere negato integralmente il diritto alla detrazione, per far sì che sia precluso lo smercio dei prodotti da parte dei frodatori principali, e ciò indipendentemente da un eventuale vantaggio economico dalla complicità nella frode.
Lo stesso diritto deve essere negato quando un soggetto sapeva o avrebbe dovuto sapere che con la sua operazione partecipava ad una frode, ma in questo caso è necessario che sia debitamente dimostrato che il soggetto fosse a conoscenza dell’evasione commessa dal venditore, o ne potesse venire a conoscenza effettuando verifiche che possono essere ragionevolmente richieste a qualsiasi operatore economico.
In questo senso, è opportuno nuovamente analizzare la giurisprudenza comunitaria, la quale – nel 2022 – ha anche evidenziato che le contestazioni di frode delle Amministrazioni devono essere suffragate da prove e non solo da illazioni o presunzioni semplici.
Per la verità, già nella Sentenza C-430/19 la Corte statuì che “Se è vero che un siffatto soggetto passivo si può trovare obbligato, quando dispone di indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di frode, ad assumere informazioni sull’operatore presso il quale intende acquistare beni o servizi al fine di assicurarsi dell’affidabilità di quest’ultimo, la competente amministrazione nazionale non può esigere tuttavia in maniera generale da tale soggetto passivo, da un lato, di verificare che l’emittente della fattura relativa ai beni e ai servizi per i quali l’esercizio di tale diritto è richiesto disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che esso abbia adempiuto agli obblighi dichiarativi e di versamento dell’Iva, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o frodi a livello degli operatori a monte, o, dall’altro, di disporre di documenti a tal riguardo”.
Nel 2022, poi, con la Sentenza C-227/21 la Corte ha statuito che le regole comunitarie non permettono “a una prassi nazionale consistente, nell’ambito della vendita di un bene immobile tra soggetti passivi, nel negare all’acquirente il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto (Iva) assolta a monte per il solo fatto che questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che il venditore si trovava in difficoltà finanziarie, oppure in uno stato di insolvenza, e che tale circostanza poteva comportare la conseguenza che il venditore medesimo non avrebbe versato o non sarebbe stato in grado di versare l’Iva all’erario”.
Nella Sentenza C-512/21, poi, la Corte manifesta una particolare severità nei confronti degli organi di controllo, in quanto statuisce che il diritto dell’Unione osta al fondare un rilievi di indetraibilità adducendo solo che vi è una frode a monte, senza che vengano dimostrate le condotte del destinatario che vuol fare valere il diritto alla detrazione, oppure basando le accuse nei suoi confronti ad esempio fondandosi solo su violazioni della catena alimentare (che avrebbero potuto far sospettare circa l’esistenza di un missing trader).
Ciò che più conta, però, è che la Corte statuisce che il diritto comunitario “non osta, qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode, a che sia richiesto al soggetto passivo di dar prova di una maggiore diligenza per assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad una frode”, ma “non si può tuttavia pretendere che esso proceda a verifiche complesse e approfondite come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione finanziaria”.