Definizione di redditi prodotti all’estero e disciplina convenzionale
di Angelo GinexCome noto, l’articolo 165 Tuir reca la disciplina del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero da soggetti passivi d’imposta in Italia.
In via generale, la definizione di “redditi prodotti all’estero” è desumibile dal comma 2 dell’articolo 165 citato, il quale stabilisce che si considerano tali quelli territorialmente collocabili in un Paese diverso dall’Italia sulla base dei medesimi criteri di collegamento prescritti dall’articolo 23 Tuir per i redditi prodotti in Italia da soggetti non residenti.
Per quanto possa apparire chiara, però, tale disposizione ha suscitato una serie di dubbi interpretativi in ordine all’applicazione dei suddetti criteri.
Innanzitutto ci si è chiesto se i distinti criteri di collegamento in base ai quali ciascuna categoria reddituale si considera prodotta in Italia dai “soggetti non residenti”, valgano anche per i redditi prodotti all’estero da soggetti passivi d’imposta in Italia.
Al riguardo occorre rilevare che i trattati internazionali contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia, generalmente, prevedono il riconoscimento di un credito per le imposte assolte nell’altro Stato contraente, “indipendentemente” dalla classificazione del reddito cui afferiscono, e le disposizioni pattizie, qualora siano più favorevoli, dovrebbero sempre prevalere rispetto alla previsione di cui al citato articolo 165 comma 2.
Tale assunto risulta condiviso dalla stessa Amministrazione finanziaria (cfr., circolare AdE 9/E/2015), la quale ha precisato che la definizione di redditi prodotti all’estero ai sensi del citato articolo 165, comma 2, si rende applicabile unicamente per i redditi assoggettati a imposizione in uno Stato estero con il quale “non” è in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni.
Invece, per i redditi assoggettati a tassazione in uno Stato estero con il quale vige una convenzione contro le doppie imposizioni, il diritto al credito d’imposta deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi elemento di reddito tassato dall’altro Stato in conformità con le norme convenzionali, sulla base della clausola pattizia che elimina la doppia imposizione con il metodo del credito d’imposta.
Un’altra problematica, tra le tante, discende dalla previsione di cui al citato articolo 23, comma 1, lett. e), secondo cui si considerano prodotti in Italia i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni.
Applicando tale criterio “a specchio”, ne deriverebbe che i redditi derivanti da attività commerciali svolte all’estero potrebbero godere del credito per le imposte assolte nello Stato estero solo se ivi esercitate mediante una stabile organizzazione.
Tale interpretazione, però, limiterebbe notevolmente l’ambito applicativo dell’articolo 165 Tuir.
E difatti, in merito ai redditi d’impresa tassati all’estero, l’Amministrazione finanziaria (cfr., circolare AdE 9/E/2015) ha chiarito che:
- i redditi d’impresa realizzati in uno Stato estero, con il quale vige una convenzione contro le doppie imposizioni, costituiscono sempre redditi prodotti all’estero e come tali rilevano agli effetti del credito d’imposta;
- i redditi d’impresa realizzati in uno Stato estero, con il quale “non” vige una convenzione contro le doppie imposizioni, costituiscono redditi prodotti all’estero rilevanti agli effetti del credito d’imposta, se ivi conseguiti tramite una stabile organizzazione;
- i redditi d’impresa realizzati in uno Stato estero con il quale “non” vige una convenzione contro le doppie imposizioni, consistenti in componenti assoggettati al criterio del “trattamento isolato” (ad esempio, dividendi, interessi attivi, royalties), nonché se derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente, costituiscono redditi prodotti all’estero che danno diritto al credito d’imposta;
- i redditi d’impresa realizzati in uno Stato estero con il quale “non” vige una convenzione contro le doppie imposizioni, diversi da quelli sopra indicati, “non” costituiscono redditi prodotti all’estero e, come tali, “non” rilevano agli effetti del credito d’imposta. Le imposte assolte all’estero in relazione ai suddetti redditi, tuttavia, costituiscono oneri deducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa.
Per quanto concerne poi l’ipotesi in cui le disposizioni convenzionali non vengano applicate, l’Agenzia fiscale ha precisato che, qualora le imprese residenti in uno Stato estero assoggettino a ritenuta alla fonte i compensi erogati, non è possibile fruire del credito d’imposta di cui all’articolo 165 Tuir, poiché il nostro ordinamento tributario non ammette il riconoscimento di un credito per le imposte assolte all’estero in violazione (in tutto o solo in parte) delle disposizioni convenzionali (cfr., risposta a interpello n. 100/2020; risposta a interpello n. 145/2022).
Ne deriva che le imposte assolte all’estero “in eccedenza”, rispetto a quelle dovute in base alle disposizioni convenzionali, o addirittura non dovute, “non” fanno sorgere, in capo al contribuente residente in Italia che le ha subite, il diritto al credito d’imposta (cfr., risposta a interpello n. 23/2019).
Da ultimo si rileva che, nella ipotesi in cui si abbia una diversa qualificazione del reddito in uscita e di quello in entrata, tale reddito sarà tassato all’estero sulla base della qualificazione fatta in detto Stato, ma dovrà essere dichiarato in Italia in ragione della qualificazione fatta nell’ordinamento italiano (cfr., risposta a interpello n. 157/2018).