Diritto di superficie: costituzione e trasferimento non sono due sinonimi
di Stefano ChirichignoMa l’imposta di registro è ancora un’imposta d’atto?
Il dubbio è legittimo quando l’Agenzia delle entrate supera il riferimento del Testo Unico della predetta imposta a contratti tipici – atti traslativi e atti costitutivi di diritti di superficie – invocando il principio costituzionale di capacità contributiva.
Quel che più lascia interdetti è come le acrobazie linguistiche, logiche e giuridiche, da ultimo della risposta n. 365 del 3 luglio scorso, siano a difesa di un’imposta manifestamente sproporzionata quale è l’aliquota del 15% prevista dal legislatore con intento “punitivo” quando il trasferimento di un terreno agricolo e a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali.
L’Agenzia per l’ennesima volta ricorre all’“evidenza” della circostanza per cui devono intendersi ricompresi nel termine anche gli atti “costitutivi” di diritti reali immobiliari.
Forse ci sono state novità della lingua e oggi costituire e trasferire sono divenuti sinonimi?
Bando alle facezie: di solito quando si invoca l’evidenza è per carenza di argomenti logici a supporto ed in effetti né in questa né in precedenti occasioni è dato sapere dove risiederebbe tale “evidenza”.
Viceversa, è la sproporzione dell’aliquota del 15% rispetto alle a tutte le altre aliquote dalla residuale del 3% in un range dallo 0,5% al 9% ad essere algebricamente evidente.
Se non si trattasse di questioni che riverberano concreti e affatto trascurabili effetti impositivi verrebbe da pensare che si tratti di un mero puntiglio intellettuale e peraltro sarebbe stato interessante capire perché costituire o trasferire un diritto di superfice sono manifestazioni della medesima capacità contributiva.
Quel che più stupisce è che tale orientamento di prassi è in dichiarato contrasto con la giurisprudenza di legittimità consolidatosi con riferimento alla differenza tra trasferimento e costituzione di servitù prima e poi (ordinanza n. 3461 dell’11.02.2021), riproposto tel quel proprio con riferimento agli atti costitutivi di superficie su terreno agricolo, schema assai diffuso ed utilizzato come nel caso di specie nel settore della produzione di energie rinnovabili per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica e fotovoltaica.
E dire che la risoluzione n. 4/E/2021 con cui l’Agenzia aveva ritenuto applicabile l’aliquota del 9% alla tassazione degli atti costitutivi di servitù su terreno agricolo lasciava sperare che fosse imminente una revisione del proprio storico orientamento, anche con riferimento agli atti costitutivi del diritto di superficie.
Se c’è una cosa “evidente” è che l’Agenzia, se fino ad ora aveva tentato di negare l’esistenza di indicazioni chiari da parte della Cassazione, ora getta il cuore oltre l’ostacolo e tenta la strada dell’interpretazione storico sistematica ricorrendo al previdente D.P.R. 634/1972.
Peccato che per valutare la portata del differente dettato normativo ricorra alla ben nota circolare 37/1986 illustrativa delle modifiche recate dal TUR.
Orbene, se anche la relazione illustrativa di un provvedimento è espressiva di certo della voluntas legislatoris, ma rimane tutto da dimostrare che sia espressiva anche della voluntas legis, una circolare illustrativa è espressiva del punto di vista dell’amministrazione finanziaria e basta. Senza se e senza ma. Autoreferenzialità piena.
A bene vedere, in relazione ai contratti a titolo oneroso traslativi ovvero costituivi di diritti reali formati per iscritto nel territorio dello Stato l’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR, stabilisce:
- l’aliquota del 9% per gli “Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento” (primo periodo); ovvero
- l’aliquota del 15% “Se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale” (terzo periodo).
La Corte propone una piana lettura della norma, “che non sembra contemplare il criterio di gradazione della tassazione fondato sulla natura del bene, facendo riferimento, invece, alla tipologia dell’atto portato alla registrazione”, precisando che “l’imposta di registro è ‘un’imposta d’atto’ collegata ad atti o negozi giuridici, i quali devono o possono essere oggetto di registrazione”.
Su tali basi è del tutto naturale ritenere che il legislatore abbia utilizzato i termini ‘costituzione’ e ‘trasferimento’ in ragione della natura giuridica degli atti negoziali che le parti hanno posto in essere, con la conseguenza che il termine ‘trasferimento’ non può essere riferito ad una accezione più ampia.
La Corte evidenzia come il diritto di superficie, quale ius in re aliena, al pari di un qualunque diritto reale di godimento su cosa altrui, può essere generato esclusivamente per atto costitutivo, comprimendo – e non estinguendo – di fatto la proprietà ovvero la titolarità del bene su cui lo stesso diritto di superficie grava.
Non si tratta quindi di una mera interpretazione letterale, ma anche di un piano e sereno inquadramento sistematico della previsione di eccezionale tassazione al 15% che induce a ritenere che il legislatore avesse ben presente la differenza di regime tra costituzione di un diritto reale di godimento e trasferimento.
Nell’ordinarietà delle ipotesi e dei comportamenti negoziali (ordinarietà che costituisce l’architrave portante dell’intero sistema dell’imposizione indiretta tradizionale) il valore che ha la costituzione è ben diverso rispetto al trasferimento.
Infatti, se la costituzione del diritto ha un valore che, per definizione, è una percentuale più o meno ampia del valore della piena proprietà, lo stesso non si può dire nel caso in cui il trasferimento liberi il trasferente dal pagamento dei canoni relativi al tempo che ancora intercorre fino al riconsolidamento della piena proprietà.
La situazione è del tutto similare a quella della cessione di un qualsiasi contratto a prestazioni corrispettive (nel caso di specie il godimento a fronte del canone periodico) il cui prezzo (ove esistente) è espressivo di un allontanamento rispetto al valore normale o “di mercato” (se le prestazioni corrispettive fossero ancora in equilibrio la legge della domanda e dell’offerta determina un prezzo prossimo allo zero).
Orbene è proprio in relazione a tale “non fisiologicità” del canone che si giustifica una aliquota “punitiva” del 15%.
Ad avviso di chi scrive, dunque non è un caso o una “svista” se il legislatore ha riconosciuto la differenza che caratterizza la costituzione di un diritto (reale) a diretta compressione di un altro (la non più piena proprietà) rispetto al successivo trasferimento dello stesso e anche il passepartout del principio di capacità contributiva (con cui l’Agenzia pensa di superare il dato normativo) a ben vedere, è un’arma spuntata.