Trust interposto: dubbi e criticità applicative
di Angelo GinexIn materia di trust, si parla di “interposizione” quando il patrimonio segregato in trust sia rimasto de facto a disposizione del disponente o sia ascrivibile alla disponibilità di uno o più beneficiari.
La questione è stata affrontata, a più riprese nel corso degli anni, anche dall’Amministrazione finanziaria, che considera il fenomeno dell’interposizione un elemento invalidante dello strumento in esame.
Infatti, ai fini dell’imposizione fiscale, i trusts sono caratterizzati da una gestione e amministrazione del trust fund che deve realizzarsi “in autonomia” rispetto ai disponenti e/o ai beneficiari. Sicchè, laddove emerga che il trustee sia privo di poteri sostanziali e/o decisionali sul patrimonio del trust oppure che il disponente e/o i beneficiari si ingeriscano in maniera significativa sulla gestione del trust fund, i trusts – a prescindere dalla loro validità civilistica – non avrebbero la capacità di essere un centro di imputazione per il diritto tributario.
Se, pertanto, il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte in capo al disponente e ciò emerga non soltanto dall’atto istitutivo del trust ma anche da elementi di mero fatto, saremo dinanzi ad un trust che si configurerà come una struttura meramente interposta rispetto al disponente e, per questo, non potrà essere considerata validamente operante sotto il profilo fiscale.
A tal proposito è d’uopo rilevare che, con specifico riferimento alla disciplina relativa all’imposizione dei redditi prodotti dal trust interposto, l’Amministrazione finanziaria ha forniti taluni chiarimenti con circolare AdE 34/E/2022.
In particolare, si è precisato che nell’ipotesi in cui un trust sia interposto formalmente nella titolarità di beni e/o attività, il reddito di cui appare titolare il trust sarà assoggettato a tassazione in capo all’interponente – sia esso disponente oppure beneficiario – residente in Italia, secondo i principi generali previsti per ciascuna categoria reddituale di appartenenza.
Detto altrimenti, in una circostanza siffatta, il trust deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell’imposizione diretta dei redditi da esso prodotti i quali, per questo, dovranno essere attribuiti al disponente e/o al beneficiario interponente.
Tuttavia l’Amministrazione finanziaria, nella predetta circolare, ha elaborato delucidazioni anche ai fini dell’imposizione indiretta del trust fittiziamente interposto.
Nel dettaglio, coerentemente con quanto appena illustrato, si è precisato che nelle ipotesi di trusts interposti – rectius non soggetti passivi – al momento del decesso del soggetto disponente/interponente, vi sarebbe una devoluzione mortis causa del trust fund agli eredi del de cuius, con conseguente applicazione nei loro confronti della relativa imposta sulle successioni.
In altri termini, secondo quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, un trust interposto è fiscalmente inesistente anche ai fini dell’imposta di successione e, per questo, i beni conferiti in trust – ancorché formalmente intestati ad esso – rientrano nell’asse ereditario del de cuius disponente/interponente, quale titolare effettivo del trust fund.
La soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate – di cui è possibile rinvenirne conferma anche nella risposta ad interpello n. 176/2023 – pare difficilmente condivisibile e, al di là dei problemi pratici che può procurare, sarà sicuramente foriera di contenziosi per una serie di ragioni.
Innanzitutto, l’Amministrazione finanziaria pare abbia basato la propria soluzione sovrapponendo il concetto di “esistenza” da un punto di vista civilistico con quello fiscale. Il che, a ben vedere, non è possibile.
Infatti deve rammentarsi, in prima analisi, che le due dimensioni, civilistica e fiscale, non sempre necessariamente coincidono, essendo ormai pacificamente riconosciuta l’autonomia tributaria dei trusts, e, per questo, l’equazione “trust non soggetto passivo” uguale “trust civilisticamente inesistente”, richiede una valutazione caso per caso ai fini della sua esistenza.
Inoltre, così facendo, si creerebbe un grave problema in tutti quei casi in cui, al di fuori delle ipotesi patologiche, il trust persegua un interesse meritevole di tutela e conservi la sua validità ai sensi della legge regolatrice.
Ne deriva che l’Amministrazione finanziaria non ha l’autorità per disconoscere gli effetti civilistici di un trust ritenuto fiscalmente interposto e, per questo, a rigor di logica, l’onere dell’imposta sulle successioni e donazioni dovrebbe ricadere sui beneficiari del trust e non sugli eredi del disponente/interponente, i quali, non solo potrebbero non coincidere con i primi, ma potrebbero addirittura essere ignari dell’esistenza stessa del trust.
Invero, nei confronti degli eredi del disponente/interponente di un trust interposto, in assenza di un effettivo trasferimento di ricchezza, non si realizzerebbe di fatto alcun presupposto impositivo che legittimerebbe l’applicazione dell’imposta donativo-successoria.
Pertanto, alla luce di tutto ciò, sul punto, si auspica un coraggioso ma quanto mai opportuno ripensamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.