Le responsabilità dei cessionari dei crediti fiscali: a chi spetta l’onere della prova?
di Silvio RivettiL’articolo 7, comma 5-bis, D.Lgs. 546/1992, come varato dalla L. 130/2022 di riforma del processo tributario, vincola sia l’ente impositore a provare in giudizio le violazioni oggetto dell’atto impugnato, sia il giudice tributario a fondare le sue decisioni sugli elementi di prova riversati nel giudizio stesso; essendo tenuto il giudicante ad annullare l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza risulta mancante, contraddittoria o in ogni caso insufficiente a dimostrare, in maniera circostanziata e puntuale, le ragioni oggettive poste a fondamento della maggiore pretesa e delle connesse sanzioni, in coerenza con la normativa tributaria sostanziale.
È partendo da tale norma, che rende rigorosa applicazione in ambito tributario del principio generale in materia di onere della prova di cui all’articolo 2697 cod. civ., che è utile trattare della responsabilità dei soggetti cessionari dei crediti fiscali scaturenti dall’esercizio delle opzioni di cui all’articolo 121, D.L. 34/2020: una responsabilità delicata, come dimostra l’ampio spazio che la recente circolare n. 27/E/2023 vi dedica, al suo punto 3, a commento delle novità apportate sul tema da parte dei commi 6-bis, 6-ter e 6-quater, dell’articolo 121, D.L. 34/2020, come varati in sede di conversione dall’articolo 1, comma 1, lettera b), D.L. 11/2023.
Sul punto, è bene ricordare che, a norma dell’articolo 121, comma 6, D.L. 34/2020, i cessionari dei crediti fiscali, laddove qualificabili come concorrenti, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, D.Lgs. 472/1997, nelle violazioni poste in essere dai beneficiari di detrazioni fiscali non spettanti (per carenza dei requisiti legittimanti le detrazioni stesse), sono tenuti a rispondere:
- delle medesime sanzioni irrogabili ai contribuenti autori delle violazioni (nella misura del 30% per omesso versamento, a norma dell’articolo 13, D.Lgs. 471/1997);
- del debito fiscale sostanziale facente capo ai contribuenti stessi, in solido con essi, se la loro partecipazione agli illeciti tributari posti in essere è avvenuta con dolo o colpa grave.
Al riguardo, si noti che l’attenzione dei più si concentra soprattutto sul comma 6-bis dell’articolo 121, D.L. 34/2020, recante il monumentale elenco di documenti il cui integrale possesso esclude, in ogni caso, lo stato soggettivo della colpa grave e, quindi, la più insidiosa ragione di contestabilità della responsabilità aggravata di cui sopra (non rilevando, il possesso di tali documenti, ad escludere la detta responsabilità nelle ipotesi di dolo e in quelle di violazione del divieto di acquisto dei crediti da parte dei soggetti obbligati al rispetto della normativa antiriciclaggio, di cui all’articolo 3, D.Lgs. 231/2007).
L’argomento, invece, andrebbe analizzato non tanto partendo dalla norma di grado più basso, ossia dal dettaglio dei documenti scriminanti la responsabilità aggravata di cui al comma 6-bis; quanto muovendo dal successivo comma 6-quater, che si lega alla norma di principio esaminata in apertura, il cui secondo periodo ci ricorda che è sempre gravante sull’ente impositore l’onere di provare la fondatezza delle sue pretese pure verso i cessionari: ossia di dimostrare l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo ai cessionari stessi, per far valere il loro concorso nelle violazioni tributarie e la loro responsabilità solidale nei debiti d’imposta dei contribuenti beneficiari.
Come si vede, è dunque il comma 6-quater a dover essere prioritariamente preso in considerazione, a prescindere dall’importanza del set documentale del comma 6-bis; un dossier, peraltro, la cui eventuale incompletezza non costituisce, da sola, causa di responsabilità solidale per i cessionari, ai sensi dello stesso comma 6-quater, primo periodo, per il quale il cessionario è sempre ammesso a fornire la prova con ogni mezzo della propria diligenza o della non gravità della sua negligenza.
Alla luce della corretta articolazione logica e giuridica delle norme disciplinanti la materia, è quindi da concludere che l’eventuale incompletezza del dossier documentale del comma 6-bis non può esigere di per sé, in capo al cessionario, specifici oneri di dimostrazione della propria diligenza, laddove l’Amministrazione finanziaria non sia in grado di dimostrare a monte, in maniera circostanziata e puntuale, la colpa grave del cessionario e quindi le ragioni oggettive a fondamento delle pretese verso di questi, in coerenza con la normativa tributaria sostanziale.