La scissione scorporo tra scissione normale e conferimento
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Un tema interessante da indagare sul nuovo istituto della “scissione scorporo” è rappresentato dagli elementi in comune con l’operazione di conferimento, ma occorre evidenziare anche gli elementi che separano i due istituti giuridici.
Tra gli elementi in comune spicca certamente la conseguenza che si genera in capo al soggetto dante causa del trasferimento di un bene (o di un compendio aziendale), cioè il fatto che la partecipazione rappresentativa di quel bene viene iscritta direttamente nell’attivo dello stesso soggetto dante causa e non viene attribuita ai soci (come diversamente accade nella scissione ordinaria). Ciò comporta una sostanziale invarianza del patrimonio netto del dante causa che semplicemente sostituisce beni di primo grado (bene o compendio aziendale) con beni di secondo grado (partecipazioni), eccezion fatta per l’ipotesi di scissione scorporo negativa, con la quale la società scissa vede incrementato il proprio patrimonio netto, in virtù del valore contabile negativo del compendio trasferito che, però, si rivela positivo se valorizzato al valore corrente. Questo aspetto è presente anche nel conferimento, nel senso che la partecipazione nella conferitaria viene iscritta nell’attivo della conferente, mentre per quanto riguarda il patrimonio netto della conferente è vero anche che gli incrementi di valore sono certamente più frequenti. Ciò dipende dal fatto che il conferimento, se eseguito tra parti indipendenti, è una operazione realizzativa, e quindi è lecito far emergere plusvalori che, una volta che siano iscritti tramite la partecipazione, comportano incrementi patrimoniali nel dante causa. Diverso il caso del conferimento tra soggetti non indipendenti che, configurandosi come operazione di mera riorganizzazione aziendale, non permette l’iscrizione di plusvalenze, mantenendo quindi inalterato il patrimonio netto.
Tra gli elementi che separano le due operazioni societarie vi è senza dubbio la tematica della perizia. Poniamo che una Srl esegua un conferimento di ramo di azienda verso una neocostituita Srl conferitaria, ebbene, in tale situazione, non sarà possibile omettere la perizia di stima, poiché richiesta specificatamente dall’articolo 2465, comma 1. cod. civ.. L’obbligo di redigere la perizia di stima non viene meno nemmeno nel caso in cui il conferimento avvenga con invarianza dei dati contabili, quindi in continuità dei valori: la circostanza che il valore del bene era già determinato nel patrimonio della società conferente non sarà, pertanto, sufficiente ad evitare l’adempimento della perizia, stante la chiara indicazione della norma sopra citata.
Nella “scissione scorporo”, invece, non si ha tale adempimento e ciò non solo nella ipotesi in cui, tramite consenso unanime dei soci, venga omessa la relazione degli esperti, ma più in generale va messo in evidenza che la scissione si presenta come una operazione non realizzativa, bensì di successione universale nella quale l’effettività del valore dei beni trasferiti è già certificata dalla sua esistenza nella società dante causa. Fanno eccezione a tale assunto le ipotesi di scissione scorporo nella quale la scissa è società di persone, mentre la beneficiaria è una società di capitali: in questa situazione, infatti, l’effettività del patrimonio trasferito va attestata necessariamente proprio in ragione della diversa tipologia societaria tra scissa e beneficiaria (in questo senso si veda il passaggio nello Studio 1/23 del Notariato, par. 4). Altresì fa eccezione anche il caso della scissione scorporo negativa, poiché in tale situazione il patrimonio trasferito assume un valore diverso e maggiore rispetto al dato che era presente nella società scissa (Consiglio Notarile di Milano massima n. 72/2005)
Altro elemento che separa i due istituti è rappresentato dalla opposizione dei creditori di cui all’articolo 2503 cod. civ. In linea più generale, si può osservare che se il conferimento di un bene (o di una azienda) è un atto rientrante nella gestione della società, quindi una decisione che viene assunta in sede di organo di governance, la “scissione scorporo”, benché semplificata, è comunque una scissione e, come tale, soggetta ad una procedura certamente più articolata, nella quale devono intervenire i soci e soprattutto hanno diritto di parola anche i creditori.
Il tema è certamente rilevante specie laddove sia necessario velocizzare i tempi della conclusione dell’operazione, poiché il necessario vaglio dei creditori costituirà un ritardo imprescindibile rispetto alla cronologia dei passaggi del conferimento di azienda. Tanto più se si considera che è discussa in dottrina e giurisprudenza la possibilità di abbreviare da 60 a 30 giorni il tempo concesso ai creditori per esprimere opposizione al progetto di scissione. Questa discussione, in verità, riguarda la scissione in senso lato (e non solo la “scissione scorporo”) e poggia sulla vexata quaestio del significato da attribuire al fatto che l’articolo 2506 ter cod. civ. non citi, tra le norme applicabili alla scissione, l’articolo 2505 quater cod. civ., in forza del quale se all’operazione di fusione partecipano solo Srl i termini (tra gli altri) per l’opposizione dei creditori sono ridotti alla metà.
Tale mancato richiamo secondo alcuni (Tribunale di Novara 8.9.2020) significa che la riduzione dei termini prevista in taluni casi nelle fusioni non è applicabile nelle scissioni, mentre secondo altri (Notariato Triveneto L.A.8 e Tribunale di Vicenza 15.6.2007) sarebbe solo un mancato coordinamento normativo, a cui non può essere dato significato sostanziale.
Passando al rapporto tra scorporo e scissione ordinaria, un elemento che separa i due istituti giuridici (oltre ai tre requisiti essenziali dello scorporo e cioè che la società beneficiaria debba essere di nuova costituzione, che la azioni vengono attribuite alla scissa e non ai soci di quest’ultima, che la scissa continua l’attività) è il tema del diritto di recesso del socio. Con una modifica all’articolo 2506 ter cod. civ., infatti, si esclude che nella scissione scorporo il socio possa esercitare il diritto di recesso, diritto che, invece, è esplicitamente previsto nel caso di scissione ordinaria laddove il progetto determini una assegnazione delle partecipazioni ai soci in modo non proporzionale. È possibile, infatti, che in esecuzione di una scissione ordinaria, i soci a maggioranza decidano di non rispettare il criterio di proporzionalità nella attribuzione delle quote delle società interessate alla scissione, riconoscendo al socio dissenziente il diritto di recesso dal rapporto societario. Questo diritto è invece esplicitamente escluso nella scissione scorporo in ragione del fatto che nessun socio vede modificata la propria partecipazione societaria, atteso che lo scorporo mantiene inalterata la compagine della società scissa. Questione più sottile (segnalata dal citato Studio del Notariato) è capire se il diritto di recesso, giustamente escluso in ragione della “stabilità” della partecipazione al socio, può riemergere in linea generale, laddove per effetto della scissione la scissa cambi il proprio oggetto sociale. Pensiamo alla ipotesi frequente dello spin off immobiliare con il quale, poniamo, la scissa da società operativa diviene una società immobiliare che detiene una partecipazione totalitaria nella beneficiaria operativa: è indiscutibile che i soci della scissa hanno “subito” un cambiamento di oggetto sociale che, a norma dell’articolo 2473 cod. civ., legittimerebbe il recesso. Se l’esercizio di tale diritto sia vietato comunque dal nuovo disposto dell’articolo 2506 ter cod. civ. è questione che solo la giurisprudenza in futuro potrà dirimere.