La Riforma fiscale strizza l’occhio alle colture idroponiche
di Luigi ScappiniL’articolo 5, comma 1, lettera b), p.to 1, L. 111/2023, introduce, nell’ambito delle attività agricole di coltivazione, nuove classi e qualità di coltura con il dichiarato “fine di tenere conto dei più evoluti sistemi di coltivazione”, procedendo al connesso riordino del regime di imposizione su base catastale e individuando il limite oltre il quale l’attività eccedente è considerata produttiva di reddito d’impresa.
Il riferimento del Legislatore è, con tutta evidenza, a quelle attività, quali le colture idroponiche e le c.d. vertical farm che, sfruttando “nuove” tecniche di coltivazione, riescono ad ottenere i prodotti, anche in ambienti indoor. In attesa dell’intervento della Riforma fiscale, tali modalità innovative di coltivazione si trovano:
- da un punto di vista civilistico, nel perimetro agricolo e;
- da un punto di vista della fiscalità diretta, nell’ambito del reddito di impresa.
Civilistivamente, infatti, la Riforma del 2001 ha comportato, per effetto della rimodulazione dei requisiti richiesti e del concetto di fondo, un ampliarsi delle attività che si possono considerare “agricole”.L’articolo 2135, comma 2, cod. civ., nel definire cosa si intende per coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali, precisa che sono tali “le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”, introducendo di fatto la possibilità di considerare “agricole”, anche le attività che potenzialmente possono essere svolte su di un terreno, ma che di fatto non lo sono quali, ad esempio, le colture idroponiche caratterizzate dalle radici fuori dal terreno.
Il Legislatore, conscio di tali ineludibili sviluppi determinati dalla sempre maggior sinergia tra tecnologia e attività agricole, nel 2021 ha introdotto, a mezzo dell’articolo 224, D.L. 34/2020, il comma 3-dieces, all’articolo 78, D.L. 18/2020, secondo cui “considerata la particolare situazione di emergenza del settore agricolo, ed il maggiore conseguente sviluppo di nuove pratiche colturali fuori suolo applicate alle coltivazioni idroponica e acquaponica, per le quali è necessaria valorizzazione e promozione, l’Istituto nazionale di statistica, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, definisce una specifica classificazione merceologica delle attività di coltivazione idroponica e acquaponica ai fini dell’attribuzione del codice ATECO”; previsione quest’ultima correttamente ottemperata con decorrenza 1.1.2021, con l’introduzione del codice attività 01.13.21 per la produzione di ortaggi e del codice attività 01.19.21 per la produzione di fiori.
Da un punto di vista dell’Iva, l’attività di coltivazione idroponica comporta, al rispetto dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti, l’applicazione, salvo facoltà di opzione per le regole ordinarie, del regime speciale previsto dall’articolo 34, D.P.R. 633/1972, che, per le attività di coltivazione di ortaggi e di fiori, risulta poco “attrattivo”, in ragione dell’aliquota compensativa, individuata nella misura del 4%.
Per quanto attiene la fiscalità diretta, in attesa dell’attuazione della Riforma fiscale e, nello specifico, di quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), p.to 1), L. 111/2023, attualmente, stante il dato letterale alquanto stringente, le colture idroponiche sono produttive di un reddito di impresa.
Infatti, l’articolo 32, Tuir, a differenza di quanto previsto ai fini Iva dall’articolo 34, D.P.R. 633/1972, non richiama espressamente l’articolo 2135, cod. civ., individuando soltanto la coltivazione del fondo e la selvicoltura.
A dire il vero, la lettera b), del comma 2, dell’articolo 32, Tuir, riconduce nell’ambito del reddito agrario “le produzioni di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie”, purché la superficie adibita alla coltivazione non ecceda il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste.
Il problema delle colture idroponiche nasce dalla circostanza che spesso non è individuabile un piano, sviluppandosi verticalmente, con la conseguenza dell’impossibilità della riconduzione di tali culture nella previsione della richiamata lettera b).
Compito del Legislatore della Riforma è quello di effettuare, come del resto già accaduto in passato con gli allevamenti ittici (D.L. 106/2005), una “forzatura” normativa prevedendo nuove classi e qualità di coltura, il tutto nel rispetto dell’attuale schema previsto per le “ordinarie” colture in serra e, quindi, ponendo un limite, superato il quale l’attività si considera produttiva di un reddito di impresa.
Schema che, si ricorda, prevede, per quanto riguarda l’attività eccedente i limiti che non trova copertura nel reddito agrario, un diverso trattamento a seconda della natura giuridica del soggetto che la esercita; infatti, ferma restando la produzione di un reddito che è di impresa, nel caso di ditte individuali, enti non commerciali e società semplici, il reddito verrà determinato in via forfettaria, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 56-bis, comma 1, Tuir, mentre per gli altri soggetti si dovrà procedere all’ordinaria contrapposizione dei ricavi con i costi.