Errori contabili: un cantiere aperto
di Giorgio Maria ScarpaStefano ChirichignoLa rilevanza fiscale alle poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili costituisce probabilmente l’intervento più significativo, quanto meno dal punto di vista sistematico, nell’ambito delle previsioni di semplificazione in materia di imposte dirette contenute nel D.L. 73/2022. Tecnicamente, il comma 1, lettera b), dell’articolo 8, D.L. 73/2022 modifica direttamente il comma 1 dell’articolo 83, Tuir con l’aggiunta, in fine, del seguente periodo: “I criteri di imputazione temporale di cui al terzo periodo valgono ai fini fiscali anche in relazione alle poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili”.
Un po’ meno tecnicamente, viene aggiunto anche il seguente periodo “La disposizione di cui al quarto periodo non si applica ai componenti negativi di reddito per i quali è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’articolo 2, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322” che con tutta evidenza non avrebbe dovuto trovar posto all’interno del Tuir, rimanendo confinato alla norma che lo modifica.
La semplificazione consiste, senza tema di smentita, in un ulteriore passo di avvicinamento delle regole di determinazione del reddito d’impresa a quelle di determinazione del risultato contabile di bilancio[1] riconoscendo ai fini fiscali l’imputazione temporale delle poste di correzione degli errori contabili e quindi, implicitamente, anche la correttezza fiscale della dichiarazione relativa all’esercizio precedente (viziata dall’errore contabile e, per derivazione, fiscale). Ne discende che tale dichiarazione non dovrà essere più emendata dal contribuente e non risulterà più rettificabile da parte dell’Amministrazione finanziaria in sede di controllo[2].
Come noto, l’impostazione finora seguita dall’Amministrazione finanziaria, esplicitata nella circolare n. 31/E/2013, vedeva le componenti di reddito generate dal processo di correzione degli errori contabili, attuato secondo i Principi contabili Ias 8 e Oic 29, riconoscibili solo sottoponendosi all’onere della presentazione di idonee dichiarazioni integrative relative al periodo d’imposta interessato dagli errori contabili[3].
In sostanza, quando un’impresa si accorgeva dell’errore contabile e provvedeva alla sua correzione doveva rendere fiscalmente irrilevante la posta correttiva (se imputata a Conto economico ovvero a patrimonio netto) e rettificare la dichiarazione relativa all’esercizio nel quale era stato commesso l’errore, con versamento delle correlate sanzioni proporzionali e dei relativi interessi nel caso in cui l’errore avesse comportato una sottostima del reddito e delle imposte dovute.
È proprio per tentare di allineare la valenza fiscale a quella contabile che si inserisce la norma in esame.
Difatti, l’articolo 8, comma 1, lettera b), D.L. 73/2022 riconosce anche ai fini fiscali il principio per cui, una volta effettuata la correzione dell’errore, risulta correttamente ripristinata anche la continuità informativa dei bilanci interessati, rispettivamente, dall’errore e dalla sua correzione.
In ragione di quanto sopra, la correzione dell’errore risulta finalmente idonea a eliminare l’infedeltà “dichiarativa” e, pertanto, il presupposto stesso delle sanzioni amministrative connesse a tale infedeltà.
Qualificazione degli errori come rilevanti
La novella si deve ritenere applicabile a tutte le poste di correzione contabile degli errori, a prescindere dal fatto che essi siano qualificabili o meno come rilevanti.
Nello specifico, è attribuita valenza fiscale ai criteri di imputazione temporale di tutte poste contabilizzate “a seguito del processo di correzione degli errori contabili”, senza alcuna ulteriore specificazione.
Circa la definizione di errore rilevante, il Principio contabile nazionale Oic 29 precisa che “Un errore è rilevante se può individualmente, o insieme ad altri errori, influenzare le decisioni economiche che gli utilizzatori assumono in base al bilancio. La rilevanza di un errore dipende dalla dimensione e dalla natura dell’errore stesso ed è valutata a seconda delle circostanze”[4].
Nella pratica, ciò che differisce tra errori rilevanti ed errori non rilevanti sono le modalità di correzione degli stessi: la correzione di errori non rilevanti[5] è contabilizzata nel Conto economico dell’esercizio in cui si individua l’errore, mentre la correzione di errori rilevanti[6] è contabilizzata sul saldo d’apertura del patrimonio netto dell’esercizio in cui si individua l’errore.
Non dissimile, inoltre, è la definizione di errore rilevante fornita dai Principi contabili internazionali[7] secondo i quali “Un’informazione è rilevante se è ragionevole presumere che la sua omissione, errata indicazione od occultamento potrebbe influenzare le decisioni che gli utilizzatori principali dei bilanci redatti per scopi di carattere generale prendono sulla base di questi bilanci, che forniscono informazioni finanziarie circa la specifica entità che redige il bilancio”.
Tuttavia, a differenza dell’Oic 29, lo Ias 8 disciplina unicamente la correzione degli errori rilevanti (cui si affiancano quelli irrilevanti commessi intenzionalmente)[8], stabilendo che la stessa – ove possibile – va attuata mediante la rideterminazione ab origine delle voci interessate dall’errore, in contropartita di una componente positiva o negativa di patrimonio netto.
Solo implicitamente, invece, è possibile evincere la modalità di correzione degli errori irrilevanti: essa, alla stregua di quanto previsto dai Principi contabili nazionali, può avvenire attribuendo rilevanza ai relativi componenti correttivi positivi o negativi di Conto economico[9].
A ogni modo, appare chiaro, per non dire evidente, che la modifica apportata al comma 1 dell’articolo 83, Tuir possa vantare un’applicazione generalizzata a tutte le poste contabilizzate “a seguito del processo di correzione degli errori contabili”, senza dunque prevedere alcuna differenziazione tra la correzione di errori irrilevanti e quella relativa a errori rilevanti[10].
Solo errori di competenza o qualsiasi errore contabile?
Ad avviso di chi scrive, anche in considerazione dell’ampiezza del tenore letterale della norma, la novità non dovrebbe riguardare specificamente le correzioni riferibili alla scorretta applicazione del principio di competenza d’esercizio, dovendo invece investire tutte le tipologie di errore contabile[11].
Al riguardo, è opportuno preliminarmente dare atto che la norma, facendo unicamente riferimento ai “criteri di imputazione temporale”, sembrerebbe propendere prima facie per un’interpretazione di segno opposto rispetto a quella poc’anzi prospettata.
Parimenti, la Relazione illustrativa al provvedimento non appare particolarmente chiarificatrice[12] e, anzi, potrebbe considerarsi altresì foriera di una lettura restrittiva della norma.
Tuttavia, il nuovo comma 1 dell’articolo 83, Tuir menzionando espressamente le “poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili”, sembra chiaramente richiamare un concetto di “errore contabile” tout court che mal si sposa con una correzione eminentemente relativa a errori d’imputazione temporale.
Anche la stessa Relazione illustrativa, nonostante proceda a una “scomoda” e specifica menzione della competenza temporale, fa comunque esplicito riferimento alla “correzione degli errori nell’esercizio in cui viene effettuata in conformità ai princìpi contabili esistenti”.
E, com’è noto, i Principi contabili vanno ben al di là del tema della competenza nel perimetrare il concetto di errore contabile.
In particolare, l’Oic 29 non manca di precisare che “Un errore consiste nell’impropria o mancata applicazione di un principio contabile se, al momento in cui viene commesso, le informazioni ed i dati necessari per la sua corretta applicazione sono disponibili. Possono verificarsi errori a causa di errori matematici, di erronee interpretazioni di fatti, di negligenza nel raccogliere le informazioni ed i dati disponibili per un corretto trattamento contabile”[13].
Del medesimo avviso sono gli Ias-Ifrs, secondo cui “Gli errori di esercizi precedenti sono omissioni e errate misurazioni di voci nel bilancio dell’entità per uno o più esercizi precedenti derivanti dal non utilizzo o dall’utilizzo erroneo di informazioni attendibili che erano disponibili quando i bilanci di quegli esercizi furono autorizzati all’emissione, e si poteva ragionevolmente supporre che fossero state ottenute e utilizzate nella redazione e presentazione di quei bilanci. Tali errori includono gli effetti di errori aritmetici, errori nell’applicazione di principi contabili, sviste o interpretazioni distorte di fatti, e frodi”[14].
Da un punto di vista più concreto, il tema si pone tipicamente per le imprese di maggiore dimensione, in particolare quelle parte di gruppi societari che sempre più vengono chiamate a “chiudere il bilancio” in tempi brevissimi se non addirittura prima della fine dell’esercizio stesso.
In queste casistiche, le società sono spesso obbligate a rilevare poste creditorie e debitorie di chiusura (e quindi i correlati componenti positivi e negativi di reddito) sulla base di informazioni e dati incompleti[15] che esplicheranno i loro effetti solamente nell’esercizio successivo (o in taluni casi, negli esercizi successivi). È pertanto evidente che l’imprecisione potrà riguardare tanto la qualificazione della posta (bene o servizio) quanto la quantificazione della stessa, e quindi a stretto rigore non un tema di sola competenza economica d’esercizio, comportando una limitazione applicativa di non poco conto la quale, peraltro, si porrebbe in totale contrasto con l’obiettivo di semplificazione che la norma si prefissa.
D’altra parte, non sono mancati commenti che sottolineavano i rischi di un’eccessiva dilatazione della nozione di errore. Per esempio, si è fatto riferimento alle ipotesi in cui sussistano elementi ulteriori che vanno al di là del mero errore di imputazione contabile, quali, ad esempio, l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ovvero il compimento di operazioni simulate o effettuate avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria.
Ad avviso di chi scrive entrare in questa galleria degli orrori non deve distogliere l’attenzione dal tema di fondo: ci riferiamo al comportamento “virtuoso” di correzione degli errori del contribuente che ne sterilizza la pericolosità. In altri termini il vero limite non è di tipo concettuale od oggettivo quanto fattuale e, per tale ragione, pienamente misurabile. La correzione dell’errore deve essere opera spontanea del contribuente che neutralizza l’effetto impositivo prima e a prescindere da qualsiasi riscontro da parte dell’Amministrazione finanziaria[16]. È chiaro che in tal modo vi è una ineludibile asimmetria in quanto se l’errore commesso era a sfavore del contribuente l’efficacia della correzione è praticamente senza limiti di tempo (e d’altronde l’Agenzia delle entrate non può operare “accertamenti negativi” neanche di fronte all’evidenza dei fatti), ma ciò è del tutto coerente con la giusta preoccupazione da cui siamo partiti.
Il tema vero è dunque l’idoneità della correzione a sterilizzare gli effetti anche indiretti dell’errore originariamente commesso. Particolarmente insidiosi appaiono quegli “spostamenti” di costi o ricavi in esercizi diversi da quelli di competenza che si rivelano (con la consapevolezza o meno del contribuente) idonei a ottenere maggiori deduzioni o minori tassazioni definitive e non temporanee. È questo il caso dell’anticipazione (o posticipazione) di un ricavo dall’anno N+1 (o N-1) all’anno N finalizzata ad aumentare la “franchigia” di deduzione delle spese di rappresentanza dell’anno N (nel quale, altrimenti, queste spese sarebbe state parzialmente indeducibili) oppure a consentire un utilizzo del ROL che altrimenti andrebbe perduto per decorso del quinquennio.
In tali ipotesi, in dottrina si è fatto riferimento al divieto di abuso del diritto tributario quale strumento per contrastare tali “condotte”[17]. A nostro sommesso avviso lo strumento non è proporzionato al fenomeno sotto un duplice profilo. Da un lato, l’abuso del diritto richiederebbe di entrare nel merito dell’esistenza di un disegno elusivo e quindi quanto meno della consapevolezza di tale effetto indiretto da parte del contribuente. Esercizio non solo tutt’altro che agevole, ma con esiti spesso arbitrari e inconferenti. Dall’altro lato, se ben intendiamo, si vorrebbe in tal modo disconoscere altresì l’effetto primario della regolarizzazione. Tale eventualità non può ritenersi condivisibile. Invero, non si intravedono ragioni assorbenti che impediscano in tali ipotesi all’Agenzia delle entrate di contestare il beneficio indiretto (ed eventualmente indebito) anche a correzione contabile perfettamente compiuta e che non v’è motivo di disconoscere, senza interrogarsi sugli aspetti piscologici del soggetto accertato e con una motivazione di tale intuitività da prestarsi anche a un mero ciclostile. È la correzione stessa che guida l’azione accertatrice a quantificare il beneficio che l’errore rimosso non ha potuto a sua volta eliminare e per il quale il contribuente avrebbe con tutta evidenza dovuto far autonomo e distinto ricorso all’istituto del ravvedimento operoso.
Rimane ineludibile, invece, e non gestito il pregiudizio finanziario per le casse erariali che un errore che sia sostanziato in una anticipata (o eccessiva) deduzione di componenti negativi di reddito o in una posticipata (o inizialmente sottostimata) rilevazione di componenti positivi di reddito, potrebbe determinare[18]. A tal riguardo l’unica considerazione di carattere sistematico che si può contrapporre è che tra le regole di determinazione del reddito si annidano ampie sacche di resistenza di un pregiudizio finanziario di segno opposto. Basti citare per tutte le regole per cui, fatto salvo per le perdite del primo triennio di attività, l’utilizzo delle perdite riportabili a novo non può mai azzerare l’onere impositivo quale che sia l’entità e l’età di tali perdite[19].
Esclusione delle componenti negative oltre il termine di presentazione della dichiarazione integrativa
Da ultimo, la norma provvede esplicitamente a escludere dalla disciplina in esame i “componenti negativi di reddito per i quali è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa”.
Tuttavia, tale previsione (confermata anche dalla Relazione illustrativa[20]) sembra, come sostenuto da qualcuno, il frutto di un “retaggio” dell’impostazione precedente caratterizzata dalla stretta connessione tra la rilevanza fiscale degli errori contabili e la componente di reddito originario e non, come invece dovrebbe essere, la componente di reddito (sia positivo che negativo) derivante dalla correzione dell’errore[21].
Pertanto, alla luce sia della nuova rilevanza fiscale riservata alle sopravvenienze reddituali sia della “decadenza” della dichiarazione integrativa come unico strumento funzionale alla correzione degli errori contabili, appare sorprendete che il Legislatore abbia voluto escludere dal perimetro del rinnovato articolo 83, Tuir i componenti negativi di reddito per i quali è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa.
Peraltro, non è inutile ribadire che correzione effettuata in questi termini non potrebbe in alcun modo sfuggire alle verifiche dell’Amministrazione finanziaria.
Difatti, in questo caso un eventuale audit dell’Agenzia delle entrate sarà espletato con riferimento al periodo in cui l’errore è effettivamente rilevato, senza distinzione alcuna tra sopravvenienze attive ovvero passive e indipendentemente dal fatto che queste ultime siano riconducibili (o meno) a componenti negativi la cui corretta rilevazione sarebbe dovuta avvenire in un periodo d’imposta il cui termine per l’accertamento sia ormai spirato.
Non si rinvengono, dunque, valide giustificazioni a tale esclusione, se non per ragioni di natura meramente finanziaria: ricomprendere le suddette sopravvenienze negative nell’alveo della nuova disciplina comporterebbe, quasi inevitabilmente, un minor gettito nei confronti dell’Erario, che invece risulterebbe salvaguardato con una previsione che garantisce, in sostanza, lo stesso effetto della vecchia disciplina.
Considerazioni conclusive
Già quanto testé considerato in merito all’espressa esclusione delle componenti negative oltre il termine di presentazione della dichiarazione integrativa, fa auspicare che quello della correzione degli errori contabili sia per il Legislatore un cantiere aperto.
Ad avviso di chi scrive sarebbe quanto mai opportuno che con l’occasione si ritorni su aspetti ancor più nodali quali l’ambito di applicazione oggettivo della norma (errori contabili non solo di competenza) – se non altro per dover discettare di voluntas legis e voluntas legislatoris – e finalmente una ragionevole distinzione quanto meno dell’onere sanzionatorio del ravvedimento in funzione dell’effettivo pregiudizio finanziario per l’Erario.
Come non auspicare che la c.d. “Riforma Leo” si focalizzi su norme di sistema quale quella qui in discussione senza disperdere le energie in esigenze più o meno lobbistiche su aspetti di contorno?
[1] Esula dall’ambito di indagine del presente contributo, ma per completezza va rammentato che in sede di conversione si è proceduto a un analogo “allineamento” ai fini Irap, disponendo che “Le poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili effettuato ai sensi dell’articolo 83, comma 1, quarto periodo, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, introdotto dal comma 1, lettera b), del presente articolo, rilevano anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, di cui al titolo I del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. Il primo periodo del presente comma non si applica ai componenti negativi del valore della produzione netta per i quali è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa prevista dall’articolo 2, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322”.
[2] Vedasi la Relazione illustrativa al Decreto secondo la quale in tal modo si “attribuisce rilevanza fiscale alla correzione degli errori nell’esercizio in cui viene effettuata in conformità ai principi contabili esistenti, evitando così alle imprese la presentazione di un’apposita dichiarazione integrativa (Ires – Irap) del periodo in cui la componente di reddito avrebbe dovuto essere contabilizzata ed eliminando i connessi oneri di adempimento”.
[3] Il “periodo in cui la componente di reddito avrebbe dovuto essere contabilizzata” se ci atteniamo alla terminologia della Relazione sopra citata in nota. Ben si poteva determinare altresì la necessità di operare correzioni relativamente ad altre variabili fiscali influenzate indirettamente dall’errore originario: ricalcolo del Rol fiscale ex articolo 96, Tuir o del credito per le imposte pagate all’estero ex articolo 165, Tuir.
[4] Punto 46.
[5] Commessi in esercizi precedenti.
[6] Sempre commessi in esercizi precedenti.
[7] Lo Ias 8, al punto 5, prevede un espresso rinvio al punto 7 dello Ias 1 per la definizione di “Rilevante”.
[8] Ias 8, punto 41: “Il bilancio non è conforme agli IFRS se questo contiene errori rilevanti ovvero irrilevanti se commessi intenzionalmente per ottenere una particolare presentazione della situazione patrimoniale-finanziaria, del risultato economico o dei flussi finanziari dell’entità”.
[9] Da un punto di vista contabile, i Principi contabili internazionali non sembrano considerare gli errori non rilevanti come “scorretti”. Partendo dall’assunto che la norma si applica espressamente “alle poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili”, secondo una visione più restrittiva la correzione di errori non materiali potrebbe ritenersi esclusa dalla norma, proprio perché non considerata parte di un “processo di correzione degli errori contabili”. Risulterebbe tuttavia irrazionale ritenere che la nuova disposizione assuma valenza solo per gli errori di maggiore rilievo e non invece per quelli di minore importanza.
[10] A nulla rileva la circostanza per cui in ambito Ias-Ifrs gli errori non rilevanti sono considerati tali, cioè errori, solo se “commessi intenzionalmente per ottenere una particolare presentazione della situazione patrimoniale-finanziaria, del risultato economico o dei flussi finanziari dell’entità”. Prima della novella, difficilmente sarebbe stato considerato dall’Agenzia delle entrate un argomento valido per il riconoscimento fiscale degli stessi.
[11] Del medesimo avviso l’Assonime (circolare n. 31/2022, pag. 20 e poi ampiamente argomentato a pag. 23 e ss.).
[12] Vi si legge che “La modifica all’articolo 83 … attribuisce rilevanza fiscale alla correzione degli errori nell’esercizio in cui viene effettuata in conformità ai princìpi contabili esistenti, evitando così alle imprese la presentazione di un’apposita dichiarazione integrativa … del periodo in cui la componente di reddito avrebbe dovuto essere contabilizzata ed eliminando i connessi oneri di adempimento”.
[13] Punto 44.
[14] Punto 5 dello Ias 8.
[15] Emblematicamente si pensi alla quantificazione e rilevazione di costi relativi a “fatture da ricevere”. Il tema è solo la dimensione (assoluta e relativa) dell’errore, perché è pacifico che salvo realtà tendenzialmente statiche, l’acquisizione delle informazioni per giugnere alla certezza matematica è questione di mesi e non di settimane.
[16] In realtà la norma riconosce valenza fiscale alle poste “contabilizzate” a seguito del processo di correzione degli errori contabili. Si pone il tema di definire il concetto di posta correttiva “contabilizzata”, vale a dire se una posta correttiva di un errore possa considerarsi “contabilizzata” non appena rilevata nella contabilità, come apparirebbe più in linea con lo spirito semplificatorio del provvedimento, oppure se, al fine di garantire maggiore integrità al sistema, sia anche necessario che al momento della verifica il bilancio relativo a detta contabilizzazione sia stato già approvato, se non dai soci, quantomeno, dall’organo amministrativo della società. Di certo, non occorre attendere che la correzione abbia concretamente esplicato i suoi effetti impositivi e al Fisco non resta che fare affidamento sul principio di derivazione che fa discendere l’effetto impositivo direttamente dalla rilevazione bilancistica.
[17] Lafis – Laboratorio Fiscale, “Rilevanza ai fini fiscali di poste correttive di errori contabili”, 2 agosto 2022.
[18] Può e non deve perché se l’errore interviene in esercizi in perdita fiscale o con piena possibilità di deduzione di perdite pregresse il pregiudizio non si determina.
[19] Ci riferiamo al noto limite del 20% del reddito previsto dall’articolo 84, Tuir.
[20] “In ogni caso, la riapertura di periodi d’imposta per i quali siano già spirati i termini di decadenza dell’attività di accertamento, la rilevanza fiscale delle poste derivanti dalla correzione di errori contabili è, in ogni caso, esclusa per le componenti negative di reddito in relazione alle quali, con riferimento al periodo d’imposta di corretta imputazione contabile, è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa”.
[21] Come già illustrato, prima della novella la condicio sine qua non per la rilevanza fiscale della correzione dell’errore contabile era rappresentata dalla contestuale presentazione di una dichiarazione integrativa relativa al periodo d’imposta in cui il componente di reddito era temporalmente competente.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il reddito di impresa”.