Esproprio e tassazione dell’indennità aggiuntiva al coltivatore diretto
di Luigi ScappiniLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29735/2023, si è occupata di definire la corretta aliquota dell’imposta di registro da applicare alle indennità corrisposte ai coltivatori diretti, in ipotesi di terreni sottoposti a procedure di esproprio per pubblica utilità.
L’attuale articolo 42, D.P.R. 327/2001, in sostituzione dell’abrogato articolo 17, L. 865/1971, stabilisce che “Spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l’area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità.”.
In altri termini, quando viene attivata una procedura di esproprio di un terreno agricolo, su cui il proprietario svolge un’attività agricola dalla quale ritrae il proprio sostentamento, l’ente è tenuto a corrispondere al proprietario del fondo espropriato un’indennità aggiuntiva “ristoratrice”, a fronte del venir meno della fonte di reddito ritraibile dal fondo.
Nel caso oggetto della sentenza, la parte ricorrente contestava l’applicazione del registro sull’indennità aggiuntiva, nonché quella sulle ulteriori indennità riconosciute in ragione del deprezzamento della proprietà residua, per la demolizione di soprassuoli e frutti pendenti e per l’indennità di occupazione.
Per quanto concerne la corretta aliquota da applicare all’indennità aggiuntiva corrisposta al proprietario coltivatore diretto, il ricorso veniva rigettato partendo dal presupposto che l’articolo 44, D.P.R. 131/1986, stabilisce la base imponibile senza individuare fattispecie particolari nell’ipotesi in cui l’ablazione abbia a oggetto terreni posseduti da parte di coltivatori diretti, di fatto rimandando anche in quel caso alle regole generali.
Regole che, nell’ipotesi di vendita in sede di espropriazione forzata, ovvero di asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto, prevedono una base imponibile costituita dal prezzo di aggiudicazione, diminuito, nell’ipotesi di inadempienza dell’aggiudicatario di cui all’articolo 587, c.p.c. della parte già assoggettata all’imposta; diversamente, nell’ipotesi di espropriazione per pubblica utilità (e per ogni altro atto traslativo o costitutivo della proprietà), la base imponibile è costituita dall’ammontare definitivo dell’indennizzo. Inoltre, se si verifica il trasferimento volontario all’espropriante, la base imponibile è data dal prezzo.
I Supremi Giudici proseguono l’esame della controversia, evidenziando come, se da un punto di vista civilistico la liquidazione dell’indennizzo aggiuntivo previsto per il coltivatore diretto deve necessariamente essere tenuto distinto dall’importo previsto “ordinariamente” per il fondo, questo non porta a poterne modificare la natura che rimane quella di “prestazioni patrimoniali che vanno a compensare il soggetto a seguito di un pregiudizio patito, ovvero del sacrificio di un diritto, il cui importo è stato pattuito tra le parti” ragion per cui alla somma va applicata l’aliquota del 3% come prevista dall’articolo 9, Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 131/1986.
L’articolo 9, D.P.R. 131/1986, rappresenta, infatti, una norma di chiusura che ha il preciso fine di individuare la corretta aliquota da applicare a tutte le casistiche, diverse da quelle espressamente disciplinate dalle restanti disposizioni, purché onerose, in quanto la norma non può essere intesa in modo dissociato dal contesto dell’articolo 43, D.P.R. 131/1986.
Parimenti, è stato rigettato il secondo ricorso avente a oggetto l’applicazione del registro al 3% relativamente alle indennità per deprezzamento, manufatti e soprassuoli, somme espressamente previste dagli articoli 32 e 33, D.P.R. 327/2001 e ritenute di natura risarcitoria.
In particolare, la Giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che “qualora le piantagioni che insistono sul suolo espropriato contribuiscano a connotarne le caratteristiche fisiche, tanto da incidere sul valore e contribuire all’appetibilità dello stesso ove inserito in un mercato virtuale, del relativo valore occorre tenere conto” (sentenza n. 6743/2014).
Inoltre, in caso di espropriazione per pubblica utilità di natura parziale, l’indennizzo deriva dal fatto che la vicenda ablativa investe solamente parte di un “complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, implicando per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato, con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa” (sentenza n. 4264/2021, sentenza n. 15040/2020, sentenza n. 6926/2016, sentenza n. 17789/2015 e sentenza n. 9041/2008).
In conclusione, la Cassazione evidenzia che, ai fini impositivi, non rileva la natura della somma corrisposta, sia essa risarcitoria o indennitaria, poiché, ai sensi dell’articolo 9, Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986, scontano la medesima imposta sia le indennità sia il risarcimento del danno, la cui natura si distingue solo per effetto della valutazione del comportamento a monte dell’agente (atto legittimo o illegittimo) che produce un danno economico.