La riforma fiscale e l’abrogazione ACE: le possibili conseguenze
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365L’articolo 6, L. 111/2023 (Legge delega fiscale), prevede una serie di disposizioni che andranno a modificare la disciplina dell’Ires. In modo particolare, le lett. a) e b) della citata norma introducono la cosiddetta “riduzione della aliquota Ires” che passerà dall’attuale 24% al 15% a beneficio dei soggetti che eseguiranno tre politiche “virtuose” sotto il profilo generale della economia nazionale:
- esecuzione di investimenti in beni strumentali qualificati;
- incremento del personale dipendente con assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato;
- rinunzia a distribuire riserve ai soci.
Per attuare questa importante modifica, il Legislatore della Riforma ha ipotizzato una serie di norme di coordinamento con le attuali disposizioni, volte ad evitare che si duplichino i vantaggi tributari collegati ad un certo obiettivo. In questo senso, è evidente che sia l’agevolazione “Ace”, sia la riduzione dell’aliquota Ires, perseguono l’obiettivo di favorire la capitalizzazione delle imprese; pertanto, era necessario intervenire su tale duplicazione.
Quelle sopra enunciate sono le premesse che spiegano il motivo per cui l’articolo 5, D.Lgs. 216/2023 (di attuazione dei principi e criteri direttivi indicati dalla legge delega fiscale) sancisce l’abrogazione dell’Ace a far data dal 2024. Per dire il vero, l’intervento legislativo appare in qualche modo asimmetrico, poiché un conto è abrogare l’agevolazione Ace sostituendola con la Minires (così come aveva fatto, peraltro, il legislatore nel 2018 con la L. 145/2017), altro è abrogare l’Ace senza prevedere un contemporaneo avvio della Minires. È apparso evidente a tutti come la strutturale scarsità di risorse pubbliche abbia indotto il Governo a rimandare sine die l’applicazione della Minires, ma “stranamente” l’abrogazione dell’Ace, invece, ha avuto una immediata applicazione. Certamente non saranno molti gli operatori tributari che rimpiangeranno l’Ace (da sempre, fatta eccezione per l’anno 2021, l’Ace si è caratterizzata per un provvedimento di difficile calcolo a fronte di risultato finale per lo più poco rilevante), ma ciò non toglie che risulti inopportuno e, per certi versi, iniquo, abrogare una agevolazione senza che essa sia sostituita con un’altra, tanto più in una norma generale (la Legge di Riforma fiscale) presentata con una disposizione tendente alla riduzione della tassazione sui contribuenti in generale ed in particolare sulle imprese.
Detto tutto ciò, vediamo quali sono gli aspetti tecnici della abrogazione dell’Ace, e della sua ultima applicazione per il periodo d’imposta 2023.
Anzitutto, va detto che è possibile una sopravvivenza dell’Ace anche dopo il 2023, laddove la sua applicazione abbia dato luogo, nel passato, ad una variazione diminutiva non “coperta” dall’imponile reddituale. In questi casi, vi è una eccedenza Ace, la cui riportabilità a nuovo è prevista dal citato articolo 5, D.Lgs. 216/2023, fino a quando essa non intersecherà un imponibile capiente ad assorbire la stessa variazione diminutiva. Potrebbe essere il caso delle società in perdita fiscale, società che, tuttavia, hanno generato incrementi del patrimonio netto computabili nell’Ace.
Tra questi incrementi ve ne è uno, per così dire automatico, che spiegherà efficacia per l’ultima volta nel 2023: il passaggio graduale della riserva da rivalutazione monetaria nella base imponibile dell’Ace, cioè il passaggio, anche contabile, da una riserva non realizzata (poiché non derivante da utili effettivamente realizzati) ad una riserva realizzata.
Tutto nasce dalla risposta ad Interpello n. 889/2021, in cui l’interpellante descriveva la situazione che si è venuta a creare dopo aver eseguito una rivalutazione dei beni di impresa, con conseguente creazione di un saldo attivo da rivalutazione che, pur qualificandosi come riserva di patrimonio netto, tuttavia è generato da un processo valutativo e non realizzativo, quindi non rilevante ai fini Ace. Tuttavia, con il processo di ammortamento del bene rivalutato si genera un progressivo realizzo della riserva stessa (e ciò per il fatto che l’incremento da rivalutazione viene imputato come costo nel conto economico tramite quota di ammortamento). Questo progressivo mutamento di status della riserva ha rilevanza ai fini Ace e permette negli anni 2021, 2022 e 2023 di fruire di un vantaggio significativo, poiché il passaggio a riserva realizzata (per le tre quote annuali) ha avuto (ed avrà ancora) per l’esercizio 2023, come conseguenza, la legittima fruizione della Ace. È del tutto evidente che il chiarimento delle entrate assume valenza generale e, quindi, l’incremento della base Ace avviene per tutte le rivalutazioni eseguite sia nel 2020 (meramente civilistica o fiscale con affrancamento o meno del saldo attivo) sia in anni precedenti, perché si tratti di rivalutazioni eseguite dopo il 2010 (anno di istituzione dell’Ace). Per quanto attiene alla modalità concreta di calcolo della quota di ammortamento che permette di “aceizzare” la riserva, va detto che il procedimento debba partire dalla stessa quota di ammortamento calcolata sul valore globale del bene rivalutato (quindi calcolata non solo sul maggior valore rivalutato bensì sul nuovo costo lordo iscritto nell’attivo patrimoniale), da ridurre, poi, in considerazione della fiscalità sostitutiva o fiscalità differita che ha diminuito il saldo attivo stesso.
Pertanto, se prendiamo, ad esempio, il saldo attivo di una rivalutazione solo civilistica eseguita nell’esercizio 2020, pari a 100, ed iscritto nel netto patrimoniale per 72,1 (al netto di 27,9 di fiscalità differita passiva), si avrà che la quota d’ammortamento (come sopra calcolata), moltiplicata x 72,1% darà il dato della riserva che diviene realizzata. Una modalità di calcolo alternativa (e più logica) consiste nel determinare la durata del processo di ammortamento del bene rivalutato e poi ribaltare tale durata sul saldo attivo, cioè, dividendo il medesimo per gli anni del processo di ammortamento. In tal modo, viene determinata la quota annua di saldo attivo che diviene realizzata e quindi rilevante ai fini Ace.
Ebbene, la procedura sopra descritta, insieme a tutti gli altri incrementi di patrimonio netto “aceizzabili” eseguiti dal 2011 in poi, potrebbe generare nel 2023 un significativo dato di base imponibile su cui applicare l’aliquota dell’1.3%, e laddove ciò si confronti con ridotti imponibili reddituali, si potrebbe generare quell’effetto di “eccedenza Ace” che è descritto proprio dal citato articolo 5, D.Lgs. 216/2023 (D.Lgs. di Riforma Irpef).