15 Gennaio 2024

Disciplina Iva degli acquisti di crediti da superbonus

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Dopo la pubblicazione di circa 150 risposte ad interpello sul superbonus (delle oltre 24.000 istanze ricevute) ancora dubbi rimangono su alcuni aspetti Iva legati a tali operazioni quali, ad esempio, la rilevanza Iva del comma 13-ter, dell’articolo 119 , D.L. 34/2020 (il quale equipara ai fini urbanistici i lavori sui quali su può fruire del superbonus alle manutenzioni straordinarie), o sulle fatturazioni effettuate – in appalti privati – ai sedicenti “general contractor”, o se le spese “amministrative” possono considerarsi accessorie all’operazione principale di ristrutturazione dell’abitazione o trattate separatamente con aliquota ordinaria.

Una questione che deve necessariamente essere affrontata con cura ed in modo organico è la disciplina Iva dello sconto in fattura e della successiva cessione dei crediti. Se, infatti, l’agevolazione è nata con la percentuale del 110% in quanto nella testa di chi l’ha concepita i crediti avrebbero dovuto essere ceduti a 100, ci si chiedeva cosa fossero quei 10. Con la risposta ad interpello n. 369/2021, l’Agenzia espresse l’opinione che quei 10 erano un compenso per una attività finanziaria, e come tali una operazione esente con esonero da fatturazione e certificazione. Operazione esente che, comunque, va indicata in dichiarazione e può compromettere il diritto alla detrazione. Qualora, infatti, la stessa costituisca una operazione “spot” non qualificabile come vera e propria “attività”, la stessa pregiudicherà la detrazione dell’Iva delle sole spese inerenti all’operazione di acquisto del credito (es. fatture del consulente finanziario o per visti di conformità varie), mentre se dovesse rilevarsi che è stata posta in essere una vera e propria attività finanziaria, o comunque l’attività finanziaria è la naturale prosecuzione dell’attività imponibile, tali corrispettivi esenti formerebbero pro-rata.

La risposta ad interpello n. 369/2021, tuttavia, ha trovato un primo arresto nella risposta ad Interpello n. 243/2022, con la quale la stessa Agenzia delle entrate non ha più ravvisato l’applicazione dell’esenzione Iva per il corrispettivo pattuito da un professionista per l’acquisto del credito nascente dalla propria prestazione, ritenendolo accessorio alla prestazione professionale resa, e quindi da assoggettare ad aliquota ordinaria.

Ora, che ci sono da “smaltire” qualche miliardo di crediti di imposta, si aprono nuove problematiche.

Immaginiamo che un credito di euro 88 (quattro rate residue di un credito di euro 110) venga ceduto a euro 60, in quanto i tassi di mercato sono cambiati. Questo credito di euro 88 è “pagabile” in 4 anni, e euro 60 potrebbe essere il valore attuale di tale credito? Se la risposta è affermativa, il valore di euro 28 (differenza tra valore nominale e valore attuale del credito) costituisce il provento di una attività finanziaria; il problema, ad avviso di chi scrive, non è il regime Iva (l’operazione finanziaria è esente), ma valutare che il tasso di interesse implicito non sia usuraio…

Ma se, invece, lo scopo dell’operazione non fosse finanziaria? E se il venditore cedesse il credito perché non ha capienza fiscale più che per esigenze finanziarie? Dall’altra parte, il compratore non acquista il credito per impiegare il denaro nel tempo, ma solo perché ha ingenti debiti fiscali con cui poter compensare tali crediti.

Immaginiamo, quindi, che venga ceduta solo la rata 2024 di euro 22, ad un prezzo di euro 15, e che il pagamento di tale rata coincida esattamente con il termine in cui il contribuente avrebbe potuto utilizzare tale credito di imposta. In quest’ultimo caso, chi scrive non ravvisa uno scopo finanziario nell’operazione. Quello che, però, è il modesto parere di chi scrive, è che tale differenza di euro 7 dovrebbe costituire il corrispettivo di una obbligazione di fare, non fare, permettere, da assoggettare ad Iva ordinaria. In sostanza, per acquistare una rata di euro 22 pagando euro 15, sarebbe necessario emettere una fattura di euro 5,74 + euro 1,26 a titolo di Iva.

Questa interpretazione, che lo ribadiamo è solo la modesta opinione di chi scrive, parrebbe comunque essere condivisa solo in parte dall’Agenzia delle entrate.

Nella risposta ad interpello n. 472/2023, l’Agenzia risponde sulla possibile tassazione del differenziale positivo che deriva dall’acquisto di crediti a delle persone fisiche, facendo dei ragionamenti che – corretti o errati – una rilevanza ai fini Iva la possono avere.

In primo luogo, l’Agenzia delle entrate esclude che dall’acquisto di crediti possano nascere dei proventi finanziari, intesi come quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale. Questo passaggio sembrerebbe smentire quanto era stato scritto nella risposta ad interpello n. 369/2021, e cioè che il differenziale tra prezzo pagato e valore del credito costituisce un compenso per una attività finanziaria da assoggettare a regime di esenzione. Tuttavia, nelle risposte ad interpello si risponde a casi specifici e, quindi, possiamo capire che – come abbiamo illustrato sopra – ci siano degli acquisti di credito che possono avere uno scopo finanziario (in quanto la scadenza è lontana e lo “sconto” è l’applicazione di un interesse di mercato), ed altre situazioni dove la natura finanziaria non esiste, e l’acquirente si accolla l’onere di dover gestire un credito fiscale nei confronti dello Stato italiano, a fronte di un corrispettivo.

Ipotizzando, quindi, che non esista la causa finanziaria, la risposta ad interpello n. 472/2023 stupisce, però, chi scrive, in quanto l’Agenzia delle entrate non ravvisa in capo all’acquirente la formazione di nessuna forma di reddito tassabile elencata nel Tuir; stupisce in quanto il Tuir contiene una fonte di tassazione (articolo 67, lettera i, secondo periodo) che ha quasi la stessa terminologia di ciò che per l’articolo 3, D.P.R. 633/1972, è da considerare una prestazione di servizi tassabile: “assunzione di obblighi di fare, non fare, permettere”.

Ora, non volendo entrare nel merito della questione Irpef, la domanda è se, ai fini Iva, secondo i canoni quindi di una imposta armonizzata meno influenzabile dagli umori di legislatori ed interpreti nostrani, l’acquisto di un credito fiscale, senza natura finanziaria, debba essere considerata una obbligazione di fare, non fare o permettere da assoggettare ad Iva.

In questo senso, la Corte di Giustizia, con la Sentenza C-108/99 ha statuito che la cessione di un contratto a prezzo negativo costituisce una prestazione di servizi da assoggettare ad Iva; il caso era di chi si era impegnato con un contratto di locazione e pagava un terzo affinché subentrasse in tale locazione; questo terzo doveva in sostanza assoggettare ad Iva il compenso ricevuto. Motivo: con la sua “obbligazione di fare”, “toglieva le castagne dal fuoco” a chi aveva stipulato un contratto che non voleva o non poteva onorare. Nello stesso senso, peraltro, la stessa Agenzia delle entrate si è espressa con la risposta ad interpello n. 853/2021, nella quale l’interpellante pagava un terzo perché subentrasse al suo posto in un contratto stipulato a lungo termine, per evitargli il pagamento di maggiori oneri di risoluzione anticipata; l’Agenzia affermò che il corrispettivo pagato costituisce importo da assoggettare ad Iva, quale compenso “individuabile nell’ “esonero” della società istante dal complesso dei problemi/vincoli economici e giuridici derivanti dal contratto stipulato”.

Ora, se nel caso specifico “obbligo di fare, non fare, permettere” per l’Agenzia delle entrate non esiste ai fini del Tuir, non può esistere nemmeno ai fini Iva, ma, visto quanto prevede lo Statuto del Contribuente appena rinnovato, potrebbe essere opportuna la pubblicazione di una circolare.