L’anzianità di detenzione della partecipazione acquisita a seguito di conferimento di azienda
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Nell’ambito della riforma tributaria, l’articolo 6, lett. f), L. 111/2023, prevede la sistematizzazione e razionalizzazione della disciplina dei conferimenti di azienda nel rispetto del principio di neutralità fiscale del conferimento di azienda. Posto che si tratta di una norma che non prevede stanziamenti erariali è lecito pensare che essa potrà venire alla luce quanto prima, dato il noto problema di carenza di risorse pubbliche che ha sospeso (e forse bloccato per sempre o almeno per lungo tempo) i temi della riforma più costosi per l’Erario, quali la riduzione della aliquota Ires al 15%, prevista dalla lett.a), dell’articolo 6, L. 111/2023.
In tale contesto, vi sono alcuni passaggi nell’attuale articolo 176, Tuir, che andrebbero rivisti, poiché sono causa di problemi interpretativi, o addirittura di prese di posizione non condivisibili di parte della Giurisprudenza, il che genera incertezza nell’operatore tributario che volesse avviare un conferimento di azienda.
Tra queste incertezze interpretative va segnalato, in primo luogo, la corretta qualificazione fiscale della partecipazione che viene iscritta nell’attivo patrimoniale della conferente, in cambio del ramo di azienda trasferito alla conferitaria.
Questa problematica non è di poco conto, atteso che una peculiarità del conferimento d’azienda è proprio quella di sottrarre all’esame antiabuso l’operazione di conferimento cui segue l’immediata cessione della partecipazione ottenuta dalla conferente, realizzando con ciò una sostanziale vendita del ramo di azienda senza gravame fiscale. Ma per ottenere questo risultato è necessario che la partecipazione in questione si qualifichi con i requisiti pex e, in effetti, la stessa norma dell’articolo 176, Tuir, sembra favorire questo esito.
Infatti, a norma dell’attuale comma 4, del citato articolo 176, Tuir, le partecipazioni si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni della azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio. Quindi, l’holding period è soddisfatto tramite una figurativa retrodatazione, o meglio tramite il subentro della partecipazione nella anzianità dei beni oggetto di conferimento, senza soluzione di continuità.
Ma qui si apre un punto dolente e da sempre oggetto di discussioni a causa di una maldestra scrittura normativa. L’anzianità ereditata dalla partecipazione fa riferimento al momento di acquisto dei beni del ramo di azienda conferito o al momento di acquisto (o detenzione a titolo originario) dell’azienda conferita?
Un esame strettamente letterale porterebbe ad una conclusione, che chi scrive non condivide, in base alla quale il riferimento è ai beni dell’azienda conferita. In questo senso, si è peraltro recentemente pronunciata la Suprema Corte di cassazione (sentenza n. 8235/2023) che, per la verità, ha esaminato un caso piuttosto atipico nel quale, in un conferimento di azienda, un elemento decisamente rilevante, quale il compendio immobiliare, entra a far parte del conferente a titolo di proprietà (in seguito a riscatto da leasing) solo in prossimità temporale con il conferimento stesso. Tuttavia, ciò che preme in questa sede è l’accento posto dalla Suprema Corte di cassazione al legame “bene aziendale” e anzianità della partecipazione. Sul punto, si legge in sentenza che: “Proprio per questo la norma ha essenziale riferimento ai “beni aziendali” più che al concetto d’azienda in sé. In altre parole in base al dato normativo emergente dalla disposizione di cui all’art. 176, comma 4, TUIR, appare chiaro come la rilevanza del periodo di possesso dell’azienda da parte del conferente è strettamente legato all’iscrizione a bilancio dei beni aziendali (più che all’azienda nel senso di cui all’art. 2555, c.c.), a sua volta legata alla loro proprietà in capo all’azienda.
Questo è proprio il punto che non convince. In primo luogo, va segnalato che l’intero comma 4, dell’articolo 176, Tuir, è finalizzato a riconoscere continuità nella detenzione dell’azienda e del bene di secondo grado che la rappresenta (partecipazione) tra conferente e conferitario, continuità temporale non interrotta dal conferimento, che si qualifica per questi fini come una operazione neutrale. Conferma ciò, l’incipit del citato quarto comma che cita “le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti, si considerano detenute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente”. E quando, poi, nel secondo periodo del citato comma 4, dell’articolo 176, Tuir, si passa all’esame della partecipazione retrodatandone l’anzianità di detenzione, non può che trattarsi dello stesso tema, cioè il bene di secondo grado che rappresenta l’azienda trasferita più che i beni della stessa. Che questa fosse la volontà del legislatore emerge anche da un passaggio interpretativo della stessa Agenzia delle entrate che, nella circolare n. 57/E/2008, par. 3.4, nel valutare gli effetti del conferimento di azienda dice espressamente: “ D’altra parte, il conferente avrà la possibilità di alienare le partecipazioni ricevute tenendo conto, ai fini del calcolo del requisito temporale richiesto per la rateizzazione della plusvalenza ai sensi del comma 4 dell’articolo 86 del Tuir ovvero per l’applicabilità del regime della “participation exemption” ai sensi dell’art. 87 del Tuir, anche del periodo di possesso dell’azienda conferita.“
Come si può notare, il riferimento è all’azienda e non ai beni trasferiti. E, peraltro, vi è anche un argomento di ordine pratico che porta a questa necessaria conclusione. Se il riferimento fosse ai beni dell’azienda, come ci si dovrebbe comportare nel valutare l’anzianità della partecipazione, atteso che non necessariamente i beni aziendali sono acquisiti nel medesimo momento? Se a fronte di un conferimento di ramo di azienda che ammonta a 100, un bene appartenente a quel ramo del valore di 10 è stato acquisito un mese prima rispetto al conferimento si dovrebbe concludere che il 90% della plusvalenza è trattata con pex ed il 10% in via ordinaria? Ma oltre al fatto che questa ricostruzione è stata ritenuta alquanto cervellotica dai primi commentatori della dottrina, osta alla sua adesione il fatto che la partecipazione non può essere qualificata in parte pex e in parte non pex; infatti, o sono soddisfatti i requisiti dell’articolo 87, Tuir, o non sono soddisfatti nella sua interezza e non avrebbe senso negare tale requisito quando, per assurdo, l’1% dei beni del ramo conferito sia stato acquisito in prossimità del conferimento stesso.
Ma se si privilegia il legame tra bene aziendale e anzianità della partecipazione, l’esito non può che essere questo.
Esito assurdo che porta a ritenere infondata la tesi da cui promana, ossia che l’anzianità di detenzione della partecipazione derivi dalla anzianità di detenzione dei singoli beni e non già della intera azienda trasferita.
Peraltro, sostenere il legame tra bene (e non azienda) e partecipazione porterebbe a situazioni veramente incongrue che anche il mero buon senso indurrebbe a ritenere insensate: si pensi, ad esempio, al caso di una azienda i cui macchinari sono stati oggetto di un contratto di lease back eseguito in prossimità del conferimento della stessa azienda. La partecipazione ritratta dal conferimento (benché certamente derivi dal possesso della azienda conferita) non avrebbe i requisiti pex per il semplice fatto che i beni dell’azienda non risultano iscritti nel bilancio della conferente, in quanto ceduti alla società di leasing, il che sarebbe una conclusione veramente inaccettabile.