Dichiarazione annuale e controllo del plafond utilizzato
di Roberto CurcuIl momento di compilazione ed invio della dichiarazione annuale Iva è sempre l’occasione per:
- fare un check up delle procedure adottate nel precedente anno solare;
- aggiustare sul nuovo anno alcune procedure;
- rimediare, eventualmente con ravvedimento ridotto, ad errori commessi nel precedente periodo di imposta.
Il modello annuale dovrebbe essere quello che evidenzia tutte le operazioni effettuate, nelle loro svariate sfaccettature, e nella compilazione dello stesso dovrebbero emergere eventuali anomalie; in realtà, non sempre le cose stanno così, ed in particolare riguardo alle aziende esportatrici abituali che, nell’anno precedente, hanno utilizzato il plafond.
Il controllo circa eventuali splafonamenti è essenziale in quanto – fino a che il legislatore o la giurisprudenza non riusciranno a capire l’anomalia – uno splafonamento, che ha arrecato solo un danno finanziario all’Erario (in quanto non è stata assolta subito Iva che comunque sarebbe stata successivamente chiesta a rimborso o compensata), è sanzionato in misura più grave dell’evasione fiscale. La cosa anomala, è che non vi siano Giudici nazionali che disapplicano la sanzione del 100% in caso di splafonamento, quando la Corte di Giustizia Ue ha già statuito – condannando proprio lo Stato italiano riguardo alle irregolarità commesse nelle immissioni in libera pratica con improprio uso dei depositi Iva – che una sanzione del 100% dell’imposta è sproporzionata in casi in cui non vi sia danno erariale. Sull’erroneo assolvimento dell’Iva con reverse charge per improprio uso del deposito Iva, anziché con pagamento immediato alla dogana, è oramai pacifico che trovi applicazione la sanzione del 30%.
Torniamo, comunque, all’esportatore abituale che ha acquistato beni e servizi utilizzando il plafond, e che in dichiarazione dovrà compilare il rigo VF17, per indicare gli “acquisti e importazioni senza pagamento d’imposta, con utilizzo del plafond”.
Il primo, ovvio, controllo che dovrà essere fatto, è che tale importo non superi il plafond disponibile che si aveva nello scorso anno, e che – più o meno – è quello che emerge dal rigo VE30 del modello dichiarativo Iva presentato l’anno precedente. Evidenziamo che il plafond effettivamente disponibile potrà non essere coincidente con quanto indicato nel modello dell’anno precedente, in quanto vi sono degli aggiustamenti, dovuti a situazioni particolari, che evidenzieremo in un successivo contributo.
Tra queste situazioni particolari, citiamo, comunque, quelle delle note di accredito a cavallo di anno, che richiedono delle attenzioni anche nella compilazione del rigo VF17; in particolare, se nell’anno N si è emessa una dichiarazione di intento al proprio fornitore, il quale la ha utilizzata per fatturare con regime di non imponibilità, e nell’anno N+1 lo stesso fornitore dovesse emettere una nota di credito sempre con titolo di non imponibilità relativamente alla stessa operazione, tale nota di variazione non potrà fare riferimento alla dichiarazione di intento eventualmente emessa nell’anno N+1, ma dovrà fare riferimento alla dichiarazione di intento relativa all’effettuazione dell’operazione originaria, e quindi quella dell’anno N e, quindi, tale storno andrà a “ricreare” plafond dell’anno N e non dell’anno N+1. In sostanza, anche se nel termine di un anno (365 giorni) è sempre possibile emettere note di variazione con il titolo Iva applicato alla fattura originaria, quando a cavallo di questi 365 giorni vi è il 31.12, è inutile emettere le note di credito con la non imponibilità per dichiarazione di intento, in quanto per il cliente andrebbero a ricreare plafond di un anno oramai chiuso. Trascorso il 31.12, in sostanza, è sempre più pratico emettere le note di accredito non soggette ad Iva, ai sensi dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972. Il controllo che dovrà essere fatto, quindi, è che l’importo del plafond utilizzato nel 2023 non sia al netto di note di accredito ricevute nel 2023, ma riferite ad operazioni del 2022.
Secondo controllo da fare, è che il plafond non sia stato utilizzato per acquistare beni con Iva indetraibile, o per acquistare terreni e fabbricati. Sul punto, l’Agenzia delle entrate ritiene che il plafond non sia spendibile nemmeno per pagare canoni di leasing o contratti di appalto relativi a terreni e fabbricati, ma viene costantemente smentita dalla giurisprudenza.
Ultima cosa, che chiaramente non emerge dalla dichiarazione Iva, è controllare che ciascun fornitore non abbia fatturato con il regime di non imponibilità per importi superiori alla dichiarazione di intento emessagli. In un forum tenuto dalla stampa specializzata con l’Agenzia delle entrate, è stato correttamente spiegato che se non è stato superato il plafond complessivo, non si è in presenza di uno splafonamento, ma un tale comportamento comporta che l’esportatore abituale – avendo ricevuto una fattura non corretta e per la quale il fornitore è soggetto a sanzione – ha 30 giorni dalla sua registrazione per regolarizzare con autofattura denuncia, oppure è soggetto alla sanzione del 100%, ai sensi dell’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997.
Che valga la pena emettere tali “autofatture denuncia” con ravvedimento trascorsi i 30 giorni dalla registrazione delle fatture errate è tutto da verificare, considerando che si è in presenza di violazioni formali per le quali la sanzione irrogabile dall’Agenzia delle Entrate – definibile ad un terzo – deve essere calcolata con l’istituto del cumulo giuridico. Che tale sanzione possa resistere in caso di censure comunitarie, è altra cosa da verificare, posto che colpisce l’omissione di un comportamento (assolvimento Iva da parte di soggetto diverso dal cedente/prestatore) non previsto dalla Direttiva Iva.
La cosa certa è che – avendo 30 giorni dalla registrazione per poter correggere l’errore senza sanzioni per l’esportatore abituale – il controllo circa queste irregolari fatturazioni dei fornitori andrebbe fatto ogni mese, e non solo in sede di presentazione della dichiarazione Iva annuale.