Autotutela sostitutiva e accertamento integrativo
di Luigi FerrajoliRimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’ammissibilità dell’esercizio del potere di autotutela in peius per il contribuente, per vizi di carattere sostanziale. Con l’ordinanza n. 33665/2023, la Cassazione solleva un problema di rilevante interesse sia pratico che teorico. Il caso all’esame del giudice di legittimità riguarda un accertamento da indagini finanziarie, emesso in un primo momento senza tenere conto di una delle movimentazioni bancarie verificate. Successivamente, l’Ufficio ci ha ripensato e ha prima annullato l’atto di accertamento per riemetterlo subito dopo con un maggior imponibile, rispetto all’atto originario, corrispondente alla medesima movimentazione bancaria.
Il contribuente impugnava il secondo atto di accertamento, eccependo l’illegittimità dello stesso, in quanto avente natura di accertamento integrativo, non fondato sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. In proposito, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 43, D.P.R. 600/1973, l’Ufficio può integrare un atto di rettifica che non sia qualificabile come accertamento parziale, entro gli ordinari termini decadenziali, a condizione che dimostri la sopravvenuta conoscenza di dati o notizie. La vicenda è giunta all’esame della Suprema Corte che ha ravvisato, in proposito, due opposti orientamenti dei giudici di vertice.
Secondo un primo orientamento, il potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato sino al momento in cui non si sia formato il giudicato sull’atto oggetto dello stesso ovvero, al contempo, sino a che non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l’emissione del nuovo avviso di accertamento. In tali casi, l’esercizio del potere di autotutela è non solo legittimo, ma corrisponde a un preciso potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria, la quale è onerata, in virtù del c.d. principio di perennità, a sostituire l’atto annullato con un nuovo atto, ancorché di contenuto identico a quello annullato, privo dei vizi originari dello stesso. Pertanto, secondo questo orientamento, l’autotutela sostitutiva, che può essere esercitata anche in pendenza di giudizio, perché l’emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione, può essere esercitata anche per rimuovere vizi sostanziali e non meramente formali del provvedimento e, quindi, sarebbe legittimo l’esercizio della cd. autotutela in malam partem, in quanto, in materia tributaria, il potere di autotutela è funzionale al soddisfacimento dell’interesse pubblico a reperire le entrate fiscali legalmente accertate, sicché è legittimo l’annullamento di un atto favorevole al contribuente, non essendone preclusa l’adozione dall’articolo 1 D.M. 11.2.1997, n. 37, recando quest’ultimo un’elencazione non esaustiva delle ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria può procedere all’annullamento in autotutela.
Sulla stessa scia, la Cassazione, dopo avere affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di un altro precedentemente annullato non si risolve in una mera integrazione di quest’ultimo, ma costituisce esercizio dell’ordinario potere di accertamento, non consumatosi attraverso l’emanazione dell’atto annullato, nonché del generale potere di autotutela, ha, altresì, precisato che la sua emissione non presuppone la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, come prescritto dall’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973, ma può aver luogo anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell’Ufficio.
Secondo un diverso orientamento, l’esercizio del potere di autotutela non presuppone necessariamente che l’atto ritirato sia affetto da vizi di forma, avendo l’Amministrazione finanziaria, in virtù ed in forza dell’imperatività che ne connota l’agire, il potere di sostituire un precedente atto impositivo illegittimo con innovazioni che possono investirne tutti gli elementi strutturali, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto e, solo conseguentemente, da quelle dichiarazioni argomentative che, connettendo oggetto e contenuto, formano la motivazione del provvedimento.
Ciò posto, se da un lato le specifiche caratteristiche che connotano l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva riconducono ad un potere di intervento dell’Ente impositore ampio e generale, giustificato dal principio di perennità della potestà amministrativa, dall’altro lato, tuttavia, si pone sia un problema di coordinamento dell’istituto dell’autotutela sostitutiva con il principio (tendenziale) dell’unicità dell’accertamento, che dovrebbe deporre per l’esercizio di tale potere solo per la rimozione di vizi formali, sia l’esigenza di raccordare le norme dettate in tema di autotutela tributaria con le previsioni contenute negli articoli 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e 57, comma 4, D.P.R. 633/1972, che condizionano il potere erariale di integrare gli atti impositivi alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
Più specificamente, secondo tale orientamento, il principio di tutela dell’affidamento del contribuente non può essere pregiudicato dalla possibilità per l’Ufficio di esercitare il potere di autotutela al fine di correggere errori commessi in precedenza, non formali e modificativi in senso sostanziale del precedente atto, ove il nuovo atto emesso dall’Ufficio proceda alla richiesta di una maggiore pretesa, basata sul medesimo corredo istruttorio ed sul medesimo presupposto di fatto, perché così facendo si introdurrebbe un’ulteriore deroga, non prevista dalla legge, al principio dell’unicità dell’accertamento.
Pertanto, estendere il perimetro dell’esercizio dell’autotutela sostitutiva anche ai vizi sostanziali dell’atto, oltre a rendere evanescente la linea di confine tra tale potere e quello di accertamento integrativo, di cui all’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e all’articolo 57, comma 4, D.P.R. 633/1972, comporta pure la modifica in peius della pretesa tributaria per il contribuente, esclusivamente in virtù del richiamato principio di perennità della potestà amministrativa, giustificato dall’esigenza di una continua e puntuale aderenza dell’azione amministrativa all’interesse pubblico che si rileva dovrebbe essere informato, altresì, al principio di buona amministrazione, in un’ottica di bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco: da un lato quello del contribuente a vedere determinata la pretesa fiscale in un unico atto, senza rischiare di essere esposto ad una rettifica della precedente pretesa, magari proprio in conseguenza della difesa da lui espletata durante il contenzioso, dall’altro quello dell’Erario ad effettuare integrazioni e rettifiche in caso di errori, commessi durante la redazione dell’atto.
Inoltre, la sostituzione in autotutela dell’avviso di accertamento è istituto diverso dall’accertamento integrativo, in quanto soltanto quest’ultimo può fondarsi sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti di evasione, sicché l’avviso che abbia sostituito quello annullato in autotutela, ove incrementativo della ripresa a tassazione, non può fondarsi sulla mera rivalutazione fattuale e giuridica degli stessi elementi posti a fondamento di quello annullato, ma, in forza di quanto previsto dall’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973, su elementi in precedenza non conosciuti dall’Ufficio accertatore ed in questo senso essere adeguatamente motivato.
A fronte di questi diversi orientamenti, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’articolo 374, comma 2, c.p.c., ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.