Eccezioni di annullabilità e nullità degli atti dell’Amministrazione finanziaria
di Angelo GinexA seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 219/2023, che ha dato attuazione alla legge delega sulla riforma fiscale (L. 111/2023), il legislatore ha delineato un “sistema duale” delle invalidità tributarie, articolato principalmente nei regimi generali della annullabilità e della nullità.
Nello specifico, l’articolo 1, lettera g), D.Lgs. 219/2023, ha inserito nell’impianto normativo dello Statuto dei diritti dei contribuenti (L. 212/2000), l’articolo 7-bis (annullabilità) e l’articolo 7-ter (nullità), oltre agli articoli 7-quater, 7-quinquies e 7-sexies, i quali, a partire dallo scorso 18.1.2024, sulla falsariga di quanto già previsto in sede amministrativa dagli articoli 21-septies e 21-octies, L. 241/1990, costituiscono la disciplina delle invalidità tributarie.
Tali modifiche, intervenendo sul precedente (e unico) regime di invalidità operante nel settore tributario, esplicano importanti effetti in sede amministrativa e giudiziaria, in quanto impattano giocoforza sul “come e quando far valere i vizi di invalidità” degli atti dell’Amministrazione finanziaria.
Focalizzando l’attenzione sui debuttanti regimi della annullabilità e nullità, la prima osservazione da fare è che il legislatore ha avvertito l’esigenza di “normare”, anche in sede tributaria, i vizi di invalidità e i relativi presupposti e ambito di operatività.
Innanzitutto, con specifico riferimento al regime di “annullabilità” degli atti dell’Amministrazione finanziaria, sulla scorta di quanto previsto dall’articolo 7-bis, L. 212/2000, appare evidente come esso operi quale regime ordinario, che trova applicazione in relazione a qualunque tipologia di vizio dell’atto. Ovviamente, sono fatte salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge come, ad esempio, i vizi assoggettati al regime di “nullità” o quelli che danno luogo a forme di “irregolarità” dell’atto ai sensi dei citati articoli 7-ter e 7-quater, L. 212/2000.
Dalla lettura del dato normativo, infatti, è agevole riscontrare come il citato articolo 7-bis, L. 212/2000, contenga una formulazione ampia che ricomprende qualunque ipotesi di “violazione di legge” (formale, partecipativa e procedimentale). Viene precisato che devono intendersi ricomprese le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione del contribuente e sulla validità degli atti.
Al riguardo, quindi, occorre evidenziare che il difensore tributario, ogni qualvolta si trovi in presenza di uno dei suddetti vizi di “annullabilità” dell’atto, deve necessariamente formulare specifica eccezione, a pena di decadenza, sin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Stesso e identico discorso vale chiaramente per i motivi di infondatezza degli atti dell’amministrazione finanziaria.
Inoltre, è d’uopo sottolineare che i vizi di annullabilità (così come quelli di infondatezza) non possono essere rilevati d’ufficio dal giudice, conformemente al ridetto precedente (e unico) regime di invalidità operante nel settore tributario.
Ciò significa che l’impugnazione dell’atto affetto da un vizio di annullabilità, che però non venga eccepito dal contribuente con il ricorso di primo grado, comporterà, per lo stesso, la decadenza dalla possibilità di rilevare tale vizio nel medesimo e nel successivo grado di giudizio. Parimenti, il giudice non potrà rilevare di sua iniziativa tale vizio di annullabilità.
Per quanto concerne invece il regime di “nullità” degli atti dell’Amministrazione finanziaria, in virtù di quanto stabilito dall’articolo 7-ter, L. 212/2000, deve ritenersi che esso operi soltanto in via eccezionale e solo laddove si verifichino determinate ipotesi: ovvero, difetto assoluto di attribuzione, violazione o elusione di giudicato nonché altro vizio di nullità che venga espressamente qualificato come tale da una previsione di legge che sia successiva all’entrata in vigore della disposizione non appena citata.
Al riguardo, è importante sottolineare che i vizi di “nullità” degli atti dell’amministrazione finanziaria, così come espressamente previsto dalla disposizione citata, possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria.
Ne deriva che i motivi di nullità, a differenza di quelli di annullabilità, possono essere dedotti sempre e senza limiti temporali in sede di autotutela, di rimborso o di ricorso giurisdizionale, anche in presenza di definizioni amministrative del tributo, con l’unico limite dell’ordinaria prescrizione del credito del contribuente. La disposizione citata, infatti, stabilisce che i vizi di nullità danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito.
Inoltre, i vizi di nullità, a differenza di quelli di annullabilità, sono altresì rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo da parte del giudice.
In definitiva, appaiono ben evidenti le differenze tra i due regimi di invalidità, in quanto i vizi di annullabilità e di nullità sono rilevabili da soggetti diversi e, soprattutto, con termini e modalità diversi, di cui il difensore tributario deve necessariamente tenere conto.