La difficile applicazione del divieto del bis in idem nell’ambito dei tributi comunali
di Gianfranco AnticoIl D.Lgs. 219/2023, al fine di bilanciare la tutela dell’interesse erariale e i diritti fondamentali del contribuente, ha introdotto, nella L. 212/2000, l’articolo 9-bis, normando così il cd. divieto di bis in idem nel procedimento tributario: “Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”.
La triplice condizione introdotta – ovverosia che l’azione sia svolta 1) una sola volta, 2) per ogni tributo, 3) per ogni periodo d’imposta – presuppone l’identità della violazione eventualmente contestabile più volte per lo stesso anno.
Sul punto, la nota dell’IFEL (Fondazione Anci) del 5.2.2024 ha riconosciuto che la disposizione non appare facilmente adattabile ai tributi comunali e potrà trovare applicazione solo in determinati casi, dovendosi riferire a fattispecie impositive omogenee e non al tributo in quanto tale.
Nell’ambito dei tributi comunali, l’ipotesi si verifica, ad esempio, allorquando il Comune procede alla liquidazione della Tari, contestando l’omesso versamento di uno o di una pluralità di avvisi bonari inviati e non pagati per la medesima annualità.
Non appare, invece, applicabile il divieto quando siano contestati, con riferimento allo stesso tributo ed allo stesso anno d’imposta, fattispecie omissive, che potrebbero essere anche in parte soggette al contraddittorio preventivo, oltre che ad un regime sanzionatorio e decadenziale differente.
Così, ad esempio, secondo la Fondazione dell’Anci, il Comune sarebbe legittimato a contestare, al medesimo contribuente e per il medesimo anno d’imposta:
a) l’omesso versamento dell’Imu, con riferimento a fabbricati iscritti in catasto, per i quali non era dovuta la presentazione della dichiarazione (sanzione del 30% e l’atto deve essere notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il versamento);
b) l’omessa dichiarazione di un’area fabbricabile, che richiede l’attivazione del contraddittorio preventivo, con assegnazione di un termine non inferiore a 60 giorni per la produzione di controdeduzioni; in tale ipotesi si rende applicabile la sanzione da un minimo del 100% ad un massimo del 200% e l’atto deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui doveva essere presentata la dichiarazione, “ferma restando la possibilità che intervenga la proroga di 120 giorni dalla data ultima prevista per la presentazione delle controdeduzioni, se tale data cade nel periodo compreso tra il 4 settembre ed il 31 dicembre dell’ultimo anno utile per l’azione accertativa”.
Nell’esempio indicato non si può procedere alla notifica di un unico atto, non solo per il diverso regime sanzionatorio previsto, ma soprattutto per il diverso termine decadenziale, non potendo la norma introdotta implicare o una proroga implicita dei termini di contestazione degli omessi versamenti o una riduzione dei termini di contestazione per le ipotesi delle infedeli od omesse dichiarazioni.
Peraltro, in tema di tributi comunali, la Corte di cassazione (ordinanza n. 27261/2023) ha escluso l’unicità e la globalità del procedimento di accertamento proprio in virtù della disciplina speciale dettata per i tributi comunali dall’articolo 1, comma 161, L. 296/2006, che costituisce quella “specifica disposizione” che, a mente dell’articolo 9-bis, L. 212/2000, “prevede diversamente”.
Specificità che è legata alla natura di tutti i tributi locali gestiti direttamente dagli enti impositori (Imu, Tari, Imposta di soggiorno), che colpiscono non la persona, ma specifiche manifestazioni di capacità contributiva, configurandosi come prelievi di natura reale e non personale.
E i due principali tributi comunali, l’Imu e la Tari sono di natura reale, cioè si applicano con riferimento al possesso o alla conduzione di ogni singolo immobile, e non si rapportano alla situazione patrimoniale o al complesso delle conduzioni in capo allo stesso soggetto passivo.
Pertanto, secondo la nota dell’IFEL, l’applicazione del principio in esame comporta che il Comune non potrà contestare per lo stesso immobile plurime violazioni per lo stesso anno d’imposta, ma non che il contribuente non possa essere destinatario di plurimi atti di accertamento riferiti ad immobili diversi per il medesimo anno d’imposta.
Il divieto di bis in idem rappresenta, pertanto, un principio generale, non direttamente applicabile nell’ambito dei tributi comunali, se non attraverso i necessari adattamenti da realizzarsi per via regolamentare, che tengano conto delle particolarità della fiscalità locale.
Tuttavia, osservano gli estensori del documento in esame, se il comma 161, dell’articolo 1, L. 296/2006, sicuramente non preclude l’esercizio di un’ulteriore azione accertativa, risulta ora necessario (per via regolamentare) escludere, in modo espresso, la possibilità di reiterazione di accertamenti riguardanti lo stesso oggetto impositivo.