3 Luglio 2024

La Cassazione sempre più tollerante verso le piccole frodi fiscali

di Gianrocco RossettiMaria Erika De Luca
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Tra le recenti sentenze pronunciate dalla III sezione penale della Corte di Cassazione va sicuramente segnalata la n. 8047/2024 depositata lo scorso febbraio. La pronuncia, sebbene si ponga nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia, merita comunque attenzione in quanto offre interessanti spunti di riflessione in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Nella sentenza in oggetto, infatti, i giudici di legittimità si confrontano con il testo dell’articolo 131-bis, c.p., così come novellato dal D.Lgs. 150/2022, giungendo ad affermare non solo che la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ma anche che è possibile applicare la nuova disciplina sancita dalla c.d. Riforma Cartabia a fatti compiuti in un momento antecedente alla sua entrata in vigore.

Con la presente decisione la Cassazione ha ribadito, infine, che la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta.

Nello specifico, tale valutazione, salve le condizioni ostative tassativamente previste dall’articolo 131-bis, c.p. per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale, deve tener conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti.

 

Il fatto

Con sentenza pronunziata in data 1° dicembre 2022, la Corte d’Appello de L’Aquila accoglieva parzialmente il gravame presentato dal ricorrente avverso la sentenza del 15 luglio 2020 con la quale il Tribunale di Pescara ne aveva dichiarato la penale responsabilità in ordine ai reati di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 per aver emesso e utilizzato nella veste di amministratore sia di un hotel sia di una società di fornitura di energia elettrica, una fattura dell’importo di 38.000 euro relativa a una operazione inesistente in quanto riferita ad un’attività mai svolta dalla società fornitrice e lo aveva, conseguentemente, condannato, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena, sospesa, di anni 1 e mesi 8 di reclusione, oltre accessori.

Nel riformare la sentenza del giudice di I grado la Corte d’Appello abruzzese dichiarava l’avvenuta estinzione, stante la maturata prescrizione del reato di cui all’articolo 8, D.Lgs. 74/2000, rideterminando, pertanto, la residua pena principale in anni 1 e mesi 6 di reclusione, riducendo, altresì, anche la durata delle pene accessorie. Avverso tale sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione articolando 4 motivi di impugnazione. I primi 3 motivi sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte mentre, fondato, è stato ritenuto il quarto motivo. In particolare, con l’ultima eccezione in ricorso la difesa, avendo rilevato che alla luce della legislazione attualmente vigente, è applicabile l’articolo 131-bis, c.p. anche alla fattispecie criminosa residua a lui ascritta, cosa che non sarebbe stata ammissibile al momento della emanazione sia della sentenza di I grado che di quella di II grado e considerato che la vicenda presenta in ogni caso una ridottissima rilevanza penale, chiedeva che fosse dichiarata la sua non punibilità alla luce della disposizione innanzi citata.

 

Effetti della Riforma Cartabia sull’articolo 131-bis, c.p. e configurabilità della causa di esclusione della punibilità in presenza di reati legati dal vincolo della continuazione

La soluzione della questione sottoposta al vaglio dei Supremi giudici non può che partire dall’analisi degli effetti che la Riforma Cartabia ha avuto sull’ampliamento della sfera applicativa dell’articolo 131-bis, c.p.. E invero, tra le tante novità introdotte dal D.Lgs. 150/2022 sicuramente la modifica relativa al limite dell’applicabilità della disciplina dell’articolo 131-bis, c.p. sembra destinata ad avere un rilevante impatto pratico proprio perché agisce sulla soglia edittale in relazione alla quale può essere riconosciuta siffatta causa di non punibilità.

Nello specifico, se prima la particolare tenuità del fatto poteva essere concessa solo in relazione ai reati per i quali era prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, adesso ciò è possibile per i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a 2 anni.

Questa modifica legislativa, intervenendo sul presupposto quoad poenam di applicabilità dell’esimente, prospetta un significativo ampliamento del raggio di azione dell’articolo 131-bis, c.p., indipendentemente dall’entità del massimo edittale della pena detentiva introducendo, così, un nuovo e diverso criterio di riferimento basato esclusivamente sul minimo di pena. Tale criterio rappresenta un vistoso ribaltamento della disciplina attuale realizzato dal Legislatore su suggerimento della dottrina e indirizzato anche dalla Corte Costituzionale sul presupposto che lo stesso meglio riflette il possibile minore disvalore delle fattispecie delittuose nella loro modalità di realizzazione concreta. Un’altra novità, che interessa sempre il comma 1 dell’articolo 131-bis, c.p., riguarda il riferimento alla condotta susseguente al reato come parametro da considerare per stabilire se l’offesa sia di particolare tenuità. Il comma 1 dell’articolo 131-bis, c.p., alla luce della modifica già analizzata in precedenza, stabilisce ora quanto segue: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

Chiarito come l’intervento legislativo ha allargato le maglie dell’articolo 131-bis, c.p., per quanto qui di interesse, va esaminata la sua applicabilità anche in presenza di più reati tra loro collegati. Va subito detto, a tal proposito, che la configurabilità della causa di esclusione della punibilità in presenza di reati legati dal vincolo della continuazione è questione controversa in giurisprudenza, al punto che si è reso necessario un intervento da parte delle Sezioni Unite. Prima di tale intervento chiarificatore la giurisprudenza si presentava divisa sul punto dando luogo a 2 orientamenti diametralmente opposti. Secondo un primo indirizzo, essenzialmente fondato sul tenore letterale della formulazione di cui all’articolo 131-bis, c.p., la causa di non punibilità non era applicabile nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso. Ciò che rilevava, per tale indirizzo, era l’oggettiva reiterazione di condotte penalmente rilevanti, pur se accertate nell’ambito del medesimo procedimento e pur se riconducibili a un’unica ideazione criminosa.

I sostenitori di questa tesi affermavano, infatti, che il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale” e come tale ostativo al riconoscimento del beneficio. Un secondo orientamento, invece, riteneva possibile il riconoscimento della particolare tenuità del fatto in caso di reato continuato, purché questo non fosse considerato espressivo di una tendenza o di una inclinazione al crimine. Tale valutazione, secondo quest’ultimo orientamento, non poteva prescindere dalla valorizzazione di una pluralità di elementi, quali la gravità del fatto, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi e perseguiti dal reo, oltre alle motivazioni, anche indirette, sottese alla condotta.

Questi elementi, rappresentavano, pertanto, i parametri da cui far dipendere l’esclusione o meno del connotato della “abitualità” della condotta nel caso della mera continuazione, sicché la non punibilità per particolare tenuità del fatto poteva essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, giacché quest’ultima, non individuando comportamenti espressivi del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge, non si identificava automaticamente con l’abitualità nel reato, ostativa come tale al riconoscimento del beneficio.

Questo orientamento giurisprudenziale, dunque, affermava la compatibilità della causa di non punibilità con il vincolo della continuazione quando le azioni fossero state commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e non fossero in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità ovvero di progressione criminosa ovvero di una tendenza o inclinazione al crimine.

A sciogliere questo nodo gordiano è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite decidendo nel senso della compatibilità tra i 2 istituti, salve le ipotesi in cui il giudice ritenga la continuazione idonea, in concreto, a integrare una o più delle condizioni che escludono la particolare tenuità dell’offesa o qualificano il comportamento come abituale.

La Cassazione ha così stabilito che il giudice è tenuto, in particolare, a compiere una valutazione complessiva della fattispecie concreta, “che tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti” (Cassazione, SS.UU. sentenza n. 18891/2022).

Una volta delineati per sommi capi i termini della querelle giurisprudenziale e appurato che le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno finalmente posto fine a questa annosa diatriba, i giudici di legittimità, richiamando proprio la citata sentenza, relativamente al caso in esame hanno affermato che “non è condizione di astratta impraticabilità della ipotesi sostenuta dal ricorrente, la circostanza che il reato sia stato a lui contestato in continuazione con la violazione di cui all’articolo 8 del medesimo d. lgs n. 74 del 2000”. Altresì, sempre in merito alla possibilità di applicare al caso de quo l’articolo 131-bis, c.p., hanno affermato che a nulla rileva il fatto che per il reato di cui all’articolo 8, D.Lgs. 74/2000 fosse stato dichiarato il non doversi procedere per l’intervenuta prescrizione, posto che, ai fini della esclusione della ipotesi di particolare tenuità il giudicante è tenuto a valutare anche la incidenza di eventuali reati prescritti aventi la stessa indole di quello in esame commessi dal medesimo soggetto che invoca la causa di non punibilità (Corte di Cassazione, sentenza n. 32857/2022).

 

L’articolo 131-bis, c.p. come norma più favorevole per il reo

Chiarito che, in conformità a quanto deciso delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la continuazione tra reati non implica l’inapplicabilità dell’articolo 131-bis, c.p., si è posto per i giudici della III sezione penale un’altra importante questione avente a oggetto, stavolta, la possibile applicazione alla presente fattispecie della disciplina dettata dal citato articolo nella versione successiva alla intervenuta modificazione attuata a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 150/2022. Nel proprio ricorso, infatti, l’imputato, preso atto della vigenza attuale del novellato articolo 131-bis, c.p., relativamente alla fattispecie criminosa residua a lui ascritta, chiedeva che fosse dichiarata la sua non punibilità, considerato che la vicenda presentava in ogni caso una ridottissima rilevanza penale così come richiede la norma a presupposto della sua applicazione.

Sul punto, premettendo che di tale novella legislativa la Corte d’Appello non aveva potuto tenere conto in quanto non ancora in vigore al momento della sua decisione, e considerato che la Riforma Cartabia ha inglobato nel raggio di azione dell’articolo 131-bis, c.p. anche l’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, per il quale si procedeva nel caso di specie, gli Ermellini si sono pronunciati asserendo che la disposizione deve intendersi di carattere sostanziale e che la stessa è riferibile anche alle condotte delittuose che, come quella in oggetto, sono state commesse anteriormente alla data della sua entrata in vigore.

In considerazione di questo principio la presente decisione si allinea perfettamente con una recente pronuncia della Cassazione laddove è stato sancito che la “disposizione dettata dall’articolo 131-bis c.p. nella nuova versione prevista dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 1, comma 1, lettera c), che ha sostituto le parole “massimo a cinque anni” con le parole “minimo a due anni” e ha inserito, dopo le parole “comma 1” quelle “anche in considerazione della condotta susseguente”, ed entrata in vigore il 30 dicembre 2022, giusta la previsione del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 6, nel testo convertito dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, in assenza di una disposizione transitoria, si applica anche a fatti di reato commessi in epoca anteriore alla data di entrata in vigore” (Cassazione, sentenza n. 7573/2023).

La soluzione offerta dalla Corte parte dal presupposto fondamentale per cui le modifiche apportate all’articolo 131-bis, c.p. hanno dato luogo a una formulazione evidentemente più favorevole al reo rispetto alla precedente, pertanto, tenuto conto delle norme che regolano la successione di leggi penali nel tempo e, in ossequio alla regola di cui all’articolo 2, comma 4, c.p. per cui se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

È corretto, pertanto, ritenere che la norma, così come novellata, debba trovare applicazione anche in ordine ai fatti di reato posti in essere antecedentemente all’entrata in vigore della riforma di cui al D.Lgs. 150/2022.

Vi è poi da aggiungere che sul punto la Corte si è spinta anche oltre in quanto non solo ha riconosciuto la possibilità di applicare retroattivamente la disciplina del novellato articolo 131-bis, c.p. a tutte quelle figure criminose desumibili quoad poenam ma ha anche asserito che tale possibilità non è in alcun modo compromessa dal fatto che la richiesta non abbia formato oggetto di gravame e sia stata fatta per la prima volta dinanzi ai giudici di legittimità. Di questi principi il collegio ne ha fatto corretta applicazione e relativamente al caso in oggetto ha stabilito che, posto che l’illecito penale in contestazione non rientrava, al momento della pronunzia della sentenza impugnata, fra quelli che astrattamente erano suscettibili di formare oggetto di valutazione ex articolo 131-bis, c.p., nella sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello abruzzese non è contenuto alcun elemento informativo, né positivo né negativo, che consenta alla Corte di legittimità di rilevare con immediatezza e senza la necessità di svolgere esami di merito, la sussistenza o meno degli elementi per potere ritenere od escludere la qualificabilità del fatto addebitato al ricorrente in termini di particolare tenuità. Pertanto, gli Ermellini in ragione della complessa valutazione che nella fattispecie deve essere operata ai fini della eventuale riscontrabilità in concreto della causa di non punibilità, hanno stabilito che la relativa indagine esonda rispetto agli argini entro i quali è contenuto il giudizio di legittimità.

 

Conclusioni

Una volta delineata la posizione dominante dei giudici di legittimità in merito alla possibilità di applicare la causa di non punibilità ai reati continuati, anche con effetto retroattivo, appare opportuno aggiungere una ulteriore precisazione circa la portata innovativa dell’articolo 131-bis, c.p., così come novellato dal D.Lgs. 150/2022. Sicuramente la riforma rappresenta una novità estremamente favorevole per coloro che abbiano commesso piccole frodi fiscali considerato che viene riconosciuta al soggetto indagato/imputato di quasi tutti gli illeciti fiscali di poter richiedere la non punibilità qualora l’offesa sia di particolare tenuità, tuttavia è sempre opportuno valutare in maniera ponderata gli effetti che l’applicazione della causa di non punibilità può avere sia in ambito civile che in un eventuale e parallelo procedimento tributario pendente innanzi alle competenti CGT. Va evidenziato, infatti, che l’esclusione della punibilità per “tenuità del fatto” non può considerarsi al pari di una assoluzione, tutt’altro.

La non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis, c.p., accerta, in maniera definitiva, non solo che il reato è stato commesso ma anche che a commetterlo sia stato proprio colui che è stato dichiarato non punibili. In altri termini si accerta l’esistenza di un reato, se ne riconosce l’autore ma si esclude la sua punibilità. Ne consegue che l’archiviazione per particolare tenuità del fatto va comunque iscritta nel casellario giudiziale del soggetto fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della P.A. altresì, sempre dalla dichiarazione di non punibilità potrebbe derivare anche la possibilità per la parte offesa di ottenere il proprio risarcimento in sede civile-amministrativa. È evidente, pertanto, che se a primo acchito una pronuncia di questo tipo può risultare vantaggiosa per l’imputato in sede penale, non è detto che lo sia necessariamente anche dal punto civile e/o tributario. E invero, al contrario la stessa potrebbe addirittura avere effetti negativi nel procedimento tributario, poiché i giudici potrebbero convincersi della sussistenza dell’illecito fiscale. Pertanto, concludendo, la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis, c.p. presenta comunque aspetti che non vanno sottovalutati nell’elaborazione di una strategia difensiva. Andrà, dunque, considerata con attenzione la possibilità di beneficiare dell’istituto premiale in esame in caso di violazioni penali tributarie, proprio perché i risvolti che ne potrebbero derivare sono tanti e non sempre tutti a favore dell’imputato.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso.