Perché quando scrivo al cliente, mi tocca ricevere domande di chiarimento?
di Giovanni AcerboniLa domanda è: le comunicazioni che un commercialista invia ai clienti, per esempio e-mail o sintesi di novità tecnico-normative, risolvono la questione al primo colpo o generano richieste di chiarimento, telefonate ecc.?
Chi scrive per lavoro pensa spesso che lo scopo di una comunicazione sia quello di far sapere certe cose al destinatario. Scrittura come trasmissione di conoscenza. Questa prospettiva genera un flusso di comunicazioni indesiderato e a volte persino incomprensibile o irritante. Del resto, rispondere costa tempo.
Se queste cose succedono, è il caso di pensarci su. Infatti, ci sono alcuni aspetti della comunicazione a cui non si pensa sempre.
Il primo aspetto è che chi scrive è pagato, più o meno direttamente, per farlo. Sempre, anche nelle comunicazioni non professionali. Per esempio, un ricercatore è pagato per scrivere la ricerca, un giornalista è pagato per scrivere articoli.
Se chi scrive è pagato per scrivere, il destinatario non è pagato per leggere. Non essendo pagato per leggere, perché legge? Perché il cliente del commercialista legge le sue comunicazioni?
Rigiro la domanda: perché un commercialista legge una circolare che gli arriva – che so – da un ministero, dall’Ordine ecc.? Non credo che legga solo per la gioia di sapere, per aumentare la sua conoscenza. Se così fosse, leggerebbe tutto fino in fondo. Non credo che ciò accada, perché non tutto quello che riceviamo è certamente sempre di nostro interesse e perché, se anche fosse tutto di nostro interesse, non potremmo dedicare troppo tempo non pagato a leggere.
Sul lavoro, noi tutti leggiamo solo ciò che ci interessa, e ciò che ci interessa è ciò che ci serve per il nostro lavoro.
E siamo arrivati al secondo aspetto: la comunicazione ha un valore azionale. Cioè, le informazioni servono a fare delle cose. Quelle che non servono a fare delle cose, non interessano.
Quando il cliente di un commercialista riceve da lui una comunicazione è interessato a capire che cosa deve fare, come e quando. Il perché è quasi sempre irrilevante. Il resto potrebbe essere ridondante.
Le domande di chiarimento, la richiesta di spiegazioni e di approfondimenti nascono dal fatto che il cliente non ha capito che cosa deve fare, come e quando.
Se non l’ha capito, ci sono due possibili ragioni.
La prima è che il commercialista non gliel’ha detto. Non gli ha comunicato tutte le informazioni necessarie affinché il cliente faccia in autonomia tutto quello che deve fare, nei modi e tempi giusti. E magari gliene ha comunicate altre che non hanno per lui un valore azionale. Se questo è il caso, il commercialista ha fallito la sintesi, cioè ha omesso informazioni necessarie a vantaggio di informazioni inutili.
La seconda è che, pur avendo comunicato tutte le informazioni necessarie, ha utilizzato uno stile difficile da comprendere per un destinatario che ha una conoscenza diversa da quella del commercialista. Se questo è il caso, il commercialista ha fallito la chiarezza. La chiarezza si fallisce soprattutto per due motivi. Il primo è che molti tecnicismi non sono comprensibili da chi commercialista non è. Il secondo è che molte frasi si prestano poco a farsi capire a prima lettura. Sono troppo lunghe, piene di incisi, insomma bisogna rileggerle.
Oppure scrivere o telefonare al commercialista.
4 Luglio 2024 a 17:09
Avete omesso un ulteriore caso, e cioè quello in cui pur se il commercialista abbia spiegato nella comunicazione chiaramente cosa intende far sapere al cliente, quest’ultimo chiama comunque il commercialista perchè non vuole “perdere tempo” nella lettura e fa invece perdere ulteriore tempo al commercialista per rispiegargli tutto verbalmente!!!!
(scusate il gioco di parole)