Derivazione semplice posta alla base dell’imponibile Irap delle società di capitali
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Il tema del rapporto tra derivazione rafforzata (o semplice) e base imponibile Irap dei soggetti di cui all’articolo 5, D.Lgs. 446/1997, si arricchisce di un ulteriore tassello, ossia di una sentenza della Corte di cassazione (sentenza n. 11791/2024) che boccia la pretesa erariale di una sostanziale equivalenza tra base imponibile Irap e regole dettate dal Tuir per la determinazione del reddito imponibile.
Il tema è noto: l’articolo 5, D.Lgs. 446/1997, prevede una sorta di dipendenza tra base imponibile Irap e risultato del conto economico, più precisamente il differenziale tra Area A ed Area B, escludendo:
- il costo del personale dipendente;
- le svalutazioni delle immobilizzazioni e dei crediti compresi nell’attivo circolante;
- gli accantonamenti per rischi;
- gli altri accantonamenti.
Tale previsione, operante dal 2008, comporta una perfetta sintonia tra il dato di bilancio e quello fiscale (limitando l’indagine all’Irap); sintonia che, da sempre, è vista con grande diffidenza dalla Agenzia delle entrate. Ricordiamo, infatti, che nel periodo immediatamente successivo alla introduzione di questa regola, l’Agenzia delle entrate iniziò un tentativo di circoscrivere la portata innovativa del principio di derivazione semplice affermando, con la circolare n. 36/E/2009, che l’inserimento dei componenti negativi nel conto economico doveva, comunque, soddisfare un criterio di inerenza, che fu declinato nel seguente modo: “Per esigenze di semplificazione, l’inerenza dei medesimi componenti negativi può essere considerata senz’altro sussistente anche ai fini dell’IRAP, qualora vengano dedotti importi di ammontare non superiore a quelli determinati applicando le disposizioni previste per l’applicazione delle imposte sul reddito”.
Il che, ovviamente, si traduceva nel negare la portata innovativa dell’articolo 5, D.Lgs. 446/1997. Una tesi veramente miope che non poteva reggere, anche nell’ottica della esegesi più restrittiva che l’Agenzia poteva produrre; tanto è, che appena qualche mese dopo, ci fu una parziale (e per certi versi clamorosa) marcia indietro, quando con la circolare n. 39/E/2009, rettificando il tiro, l’Agenzia si corregge e afferma: “Da queste affermazioni (testo dell’art. 5 D.Lgs 446/97 ndr) si ricava agevolmente che il principio di inerenza che deve essere seguito ai fini della applicazione dell’IRAP è quello civilistico, desumibile dalla corretta applicazione dei principi contabili.”
A questo punto, il problema si sposta sul tema dell’inerenza civilistica che, secondo l’Agenzia delle entrate, comporta un possibile sindacato di correttezza nell’inserimento dei costi nel conto economico, cioè a dire che non è tanto il fatto che un costo sia inserito nel conto economico che lo fa diventare inerente alla attività di impresa (dal punto di vista civilistico), bensì l’inserimento è corretto se il costo è inerente; inoltre, il contribuente (che prudentemente volesse evitare contestazioni) dovrebbe tradurre inerenza come il rispetto delle regole dettate dal Tuir, in materia di deduzioni limitata dei costi. Da qui la famigerata tesi in base alla quale la Srl che non volesse discutere di inerenza civilistica (in materia di Irap) con l’Agenzia delle entrate, dovrebbe inserire e dedurre i costi auto (per esempio) nella base imponibile Irap, con le limitazioni previste dall’articolo 164, Tuir. Tradotto in termini concreti, il ragionamento è il seguente: il costo è inerente, anche ai fini di bilancio (e quindi ai fini Irap), per la quota ammessa in deduzione dalle regole del Tuir.
Siamo di fronte ad un corto circuito logico. Dal 2008, il Legislatore ha voluto rendere quasi equivalenti le basi di determinazione del risultato civilistico e di quello Irap, ma poi questo obiettivo verrebbe azzerato dal concetto di inerenza, inteso come rispetto delle regole del Tuir.
In realtà, è giusto parlare di inerenza come elemento necessario per ammettere un costo nell’area B del conto economico, purché si tratti di inerenza civilistica e non semplicemente il riferimento alle regole del Tuir. In questo senso la recente Ordinanza n. 781/2024 che afferma: “In tema di determinazione della base imponibile IRAP, ai sensi dell’art. 5 del DLgs. 446/97, come modificato dall’art. 1 co. 50 lett. a) della L. 244/2007, la regola della derivazione dei costi sostenuti dal Conto economico non esclude il controllo sull’inerenza dei medesimi, ossia la verifica della corretta appostazione degli stessi in detto Conto rispetto ai principi civilistici e contabili nazionali”
Ma esiste un concetto di inerenza civilistica?
La risposta è certamente positiva (diversamente sarebbe ammissibile l’inserimento di qualunque costo nel conto economico, compresi costi personali dell’amministratore; il che è evidentemente sbagliato, poiché lesivo del principio di corretta rappresentazione della realtà aziendale), il problema è cercare di perimetrarne il concetto. Si potrebbe dire, in virtù di quanto sostenuto dalla Cassazione (sentenza n. 6650/2006) che non è sufficiente la contabilizzazione della spesa, ma occorre poter ricavare la ragione della stessa e dimostrarne l’utilità nella sfera aziendale; il che, in qualche modo, ci riporta al concetto di inerenza ricavabile dall’articolo 109, comma 5, Tuir: è inerente un componente negativo, se si riferisce ad una attività o ad un bene da cui derivano ricavi, purché questo assunto non si traduca nell’assumere supinamente le forfettizzazioni prevista dal Tuir, prima su tutte quella in materia di costi auto di cui all’articolo 164, Tuir.
Su questo tema si innesca la recente sentenza n. 11791/2024, marcando un punto a favore del contribuente nella “partita esegetica” dell’articolo 5, D.Lgs. 446/1997 contro l’Agenzia delle entrate. In un accertamento, vengono ripresi ai fini Irap i costi relativi all’auto aziendale che eccedono i limiti previsti dall’articolo 164, Tuir ipotizzando, l’Agenzia delle entrate, che tali limiti definiscano il concetto di inerenza, valevole anche per la base imponibile Irap. La tesi erariale viene, però, sonoramente bocciata dalla Sprema Corte con un passaggio tanto chiaro quanto succinto: Ai fini Irap, la determinazione della base imponibile trova la sua disciplina nell’art. 5 del DLgs. n. 446 del 1997, con la conseguenza che non si applica l’articolo 164, TUIR ed il conseguente limite di deducibilità dei costi del 20% (sulla derivazione dal conto economico dei costi sostenuti ai fini IRAP.
Il giudice del rinvio, pertanto, nel procedere a nuovo esame, applicherà correttamente l’art. 5 del richiamato DLgs. e non l’art. 164 TUIR.
La sentenza non lascia molto spazio a dubbi, né lascia intuire che sia posto a carico del contribuente alcun onere probatorio, anche alla luce del recente articolo 7, comma 5 bis, D.Lgs. 546/1992, che inverte a carico dell’Amministrazione Finanziaria l’onere della prova.