11 Luglio 2024

La Cassazione consolida l’irretroattività dei nuovi principi di governo del redditometro

di Luciano Sorgato
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18030 dell’ 1.7.2024, è tornata a ribadire che l’articolo 22, comma 1, D.L. 78/2010, e la norma di diritto transitorio in esso contenuta, rendono irretroattive le modifiche previste per gli accertamenti fondati sul redditometro. Tali modifiche operano solo in ordine agli accertamenti relativi ai redditi, per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto, per cui la norma ha effetto solo dal periodo d’imposta 2009 (in senso conforme Cassazione n. 4822/2024).

La Corte di cassazione è tornata a ribadire il principio di diritto, già rappresentato con la sentenza n. 4822/2024, disponendo l’irretroattività del nuovo schema legale di operatività del Redditometro, secondo le innovate dinamiche determinative previste dall’articolo 22, primo comma, D.L. 78/2010, trincerandosi dietro lo spartiacque temporale tracciato dal legislatore nel medesimo articolo 22, D.L. 78/2010, senza intentare alcuna forma di ermeneutica costituzionalmente orientata, fondata sulla medesima norma di legge e sul giudizio legislativo che dalla medesima si ricava in ordine all’anacronistico valore informativo del D.M. 10.9.1992.

A tale proposito, si ritiene di dover sottolineare come dall’articolo 22, D.L. 78/2010 (rubricato “Aggiornamento dell’accertamento sintetico”) e dal suo testuale elaborato che recita: “Al fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficace e dotandolo di garanzie per il contribuente all’articolo 38, D.P.R. 600,………i commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo, sono sostituiti dai seguenti:…..”) si ricavi il pieno malessere giuridico di tale strumento di accertamento, rilevato dallo stesso Legislatore che lo ritiene anacronistico e obsoleto sul piano economico-sociale, nonché del tutto sprovvisto di garanzie per il contribuente.

Il riferito preambolo, che ordinariamente è più tipico di un lavoro preparatorio, che di un testo di legge vero e proprio (dal momento che esprime l’intendimento di scopo sotteso alla novazione della norma) intercalato con criterio diretto nell’enunciato di legge, si appropria della medesima fonte autoritativa della legge e obbliga, quindi, a considerare il vecchio modello di accertamento sintetico non conforme al contesto socio economico, già da molto tempo mutato rispetto a quello del 1992, con il quale però esso continua a venir fatto interagire, e soprattutto obbliga a ritenerlo censurabile sul piano dei coercitivi principi che a livello costituzionale presidiano la giusta obbligazione tributaria. Se il Legislatore, direttamente nel contesto normativo (che l’articolo 12 delle preleggi al codice civile prescrive di interpretare in primis secondo il significato fatto palese dalle singole parole organizzate nel testo di legge) stigmatizza come socialmente ed economicamente anacronistico il vecchio modello di determinazione sintetica del reddito e obbliga ad avvicendarlo con un nuovo schema che deve coniugare valori indiziari e propositività operativa in modo garantista (e si sottolinea: “non in modo più garantista”, ma in “modo garantista) per il contribuente, dall’elaborato normativo si evince, ed in modo legislativamente chiaro, che il vecchio scrutinio accertativo (fatto derivare dal Redditometro del 1992) non risulta essere riflessivo di alcun autentico valore di prova alla base della ripresa fiscale.

Nonostante, quindi, la Cassazione fondi la sua preclusione su uno spartiacque che individua nell’anno 2009 il riferimento temporale per la sostituzione dello strumento accertativo, il vecchio redditometro solo basato su astratte congetture andrebbe archiviato anche per il passato, perché solo foriero di risultanze reddituali immaginarie e di nessuna aderenza alla realtà fiscale dei contribuenti.

Sul piano del diritto, il redditometro, nel modo in cui viene fatto operare dal vecchio regolamento ministeriale, si rappresenta come uno strumento di simulazione reddituale del tutto oscuro sul piano dei meccanismi statistici (basti pensare che con riguardo ad esempio agli immobili si prescinde totalmente dalla localizzazione, eccettuata la grossolana distinzione tra nord, centro e sud, dall’esistenza di servizi, dai luoghi di interesse, dalla presenza di infrastrutture e da qualsiasi ulteriore elemento che, come accade nella normalità, crea distinzioni nelle scelte dei cittadini) e del tutto arbitrario sul piano delle relative stime. Arbitrarietà corroborata dalle nuove determinazioni di legge che, si ripete, devono essere dotate di garanzie per il contribuente ed individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza (fattori del tutto ignoti al vecchio schema legale del Redditometro.)

In ordine alle fonti normative, il governo del Redditometro si raccorda ad una fonte di rango governativo e, quindi, di secondo grado, soggetta al coordinamento gerarchico della legge primaria, per cui va considerato che la ricostruzione sintetica del reddito può venire correlata solo a indicatori di capacità contributiva.

Occorre, pertanto, individuare a cosa si conforma costituzionalmente “un indicatore di capacità contributiva”, in quanto se il bene o il servizio non partecipa del suo significato, allora misurare il dovere fiscale del cittadino su un parametro estraneo all’indice legale, significa raccordarlo a delle congetture astratte e contra Costituzione.

La Costituzione enuncia, all’articolo 36, il principio che garantisce ad ogni cittadino una “vita dignitosa”, che non corrisponde certo ad un modello di “vita agiata”, ma neppure ad un modello di “vita mendicante”. La dignità, quindi, partecipa della personalità dell’uomo e del profondo rispetto di sé stesso.

Non può allora non rappresentarsi come istintiva la domanda: “Può l’immobile di normale pregio destinato a soddisfare il primario bisogno abitativo dell’uomo assurgere a “indicatore di capacità contributiva”? O, invece, rendendolo partecipe della stima reddituale, si incide fiscalmente proprio su quella commisurazione di forza economica da cui dipende una condizione di vita dignitosa?

L’esonero fiscale che il Legislatore prevede per il possesso dell’immobile abitativo rappresenta una luminosa spia segnaletica della totale mancanza di capacità contributiva di tale primario bene, per cui l’inclusione da parte del legislatore governativo dell’immobile abitativo ad indicatore di capacità contributiva costituisce una manifesta incongruenza rispetto all’esonero fiscale perseguito dal legislatore primario.

Se l’immobile abitativo costituisse un indicatore di autentica forza economica, ne dovrebbe derivare la censurabilità costituzionale della legge di primo grado che lo esonera fiscalmente, dal momento che ogni cittadino deve concorrere alla finanza sociale con tutta la sua capacità contributiva (articolo 53 Costituzione). Ma così evidentemente non è. È il “Redditometro” a generare un’insanabile frattura con l’invalicabile principio della capacità contributiva.

L’incongruenza si rivela, peraltro, epidermica, dal momento che, mentre la stima del reddito complessivo misurata dal redditometro sconta la pesante influenza dell’immobile abitativo, il reddito dichiarato da contrapporre al reddito ricostruito non lo considera. Pensare di considerare un’obbligazione tributaria definita in maniera così incongruente, corroborata sul piano indiziario da una presunzione legale, non può non apparire sintomo di una democrazia delle leggi d’imposta solo apparente.

In ordine ai bisogni primari di vita, il contribuente destina al loro soddisfacimento il consumo di tutto il suo reddito ed, in caso di insufficienza di quest’ultimo, intenta il ricorso a fonti di approvvigionamento delle risorse necessarie, non essendo possibile la rinuncia a tali bisogni, costituendo essi parte integrante della natura dell’uomo, come deriva dalla convergenza di opinione dell’economista e del sociologo. Divergere la stima dei valori impositivi da tale sintonia di valutazioni, significa commisurare la capacità contributiva a congetture solo astratte.

Il moltiplicatore previsto per l’immobile abitativo (volendo raccordare lo scrutinio sempre a tale pseudo indicatore di capacità contributiva, ma la critica è ampliabile alla generalità dei meccanismi del redditometro) a cui va aggiunta la rata annuale del mutuo, viene individuato in 4. Nella prova presuntiva del redditometro, il moltiplicatore identifica la relazione inferenziale che ricongiunge il fatto noto con il fatto indotto. In altri termini, esso riassumerebbe la logica verosimigliante del raccordo induttivo tra i due poli consequenziali della presunzione. L’inidoneità di tale congettura moltiplicativa è, invece, palese, dal momento che nessuno (incluso il suo ideatore) è mai stato nella condizione di chiarire la logica induttiva di tale moltiplicatore. Perché 4 e non 2 o 1400?

Tale omertà causale comporta, in modo del tutto palese, la lesione del diritto di difesa del contribuente e la mancanza di ogni garanzia (proprio come rappresentato nel citato articolo 22, D.L. 78/2010) sottesa all’astratta congettura reddituale procurata dal D.M. 10.9.1992, evidentemente ancora tutelato solo per chiari, ma nel contempo iniqui, motivi di cassa erariale.