Per l’esenzione Imu dei coltivatori diretti “sufficiente” la regolare iscrizione all’Inps
di Luigi ScappiniUna recente ordinanza della Corte di Cassazione, chiamata a esprimersi in merito alla fictio iuris prevista, ai fini Imu, per i terreni edificabili condotti da pensionati, ha offerto un’interessante chiave di lettura per quanto concerne il concetto di coltivatore diretto.
Come noto, il tributo locale, come ridisegnato a mezzo della L. 160/2019, ha mantenuto le agevolazioni previste per il settore agricolo e consistenti, in primis, nell’esenzione da imposizione per i terreni agricoli “posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti alla previdenza agricola, comprese le società agricole di cui all’articolo 1, comma 3, del citato decreto legislativo n. 99 del 2004, indipendentemente dalla loro ubicazione”.
A questa esenzione, si aggiunge anche quella prevista per i terreni che, al contrario, sono classificati quali edificabili, in quanto, l’articolo 1, comma 741, lettera d), L. 160/2019, conferma che “Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili, i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali …, iscritti nella previdenza agricola, comprese le società agricole …, sui quali persiste l’utilizzazione agrosilvopastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all’allevamento di animali”.
Centrale è la qualifica del soggetto proprietario del terreno che, in entrambi i casi, deve essere un coltivatore diretto o uno Iap (imprenditore agricolo professionale) regolarmente iscritto alla previdenza agricola, nonché un soggetto a essi equiparato.
Se nel caso dello Iap non vi sono particolari problematiche, in merito all’individuazione della norma “qualificante”, così non è per quanto riguarda il coltivatore diretto.
L’articolo 1, D.Lgs. 99/2004, infatti, definisce lo Iap come colui che dedica alle attività agricole di cui all’articolo 2135, cod. civ., direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività medesime almeno il 50% de reddito globale da lavoro; percentuali ridotte al 25%, nel caso in cui l’imprenditore operi nelle zone svantaggiate, di cui all’articolo 17 del Regolamento (CE) n. 1257/1999.
Il coltivatore diretto, al contrario, non ha una definizione generale (o per meglio dire univoca) e applicabile a ogni fine di legge; infatti, varie sono le norme che richiamano il coltivatore diretto offrendone una propria definizione e di tale “mancanza” ne è conscia la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 20563 del 24.7.2024, ha affermato, in riferimento all’applicazione delle esenzioni di cui sopra, che “il testuale riferimento di cui al comma 2 dell’art. 13 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, all’iscrizione alla previdenza agricola impone di ritenere ormai sufficiente, anche ai fini fiscali, la presenza della sola iscrizione ai fini previdenziali, senza necessità di procedere ad un accertamento ulteriore in ordine all’attività in concreto svolta ed alla prevalenza dei redditi”.
Definito il teorema, il corollario che ne deriva comporta che i Comuni dovranno sempre fare affidamento sulla regolare iscrizione alla previdenza agricola e sulle verifiche da parte dell’Istituto in merito al regolare rispetto.
Sul punto, torna utile, quindi, quanto precisato dall’Inps con la circolare n. 227 del 28.10.1998, in cui viene chiarito che, ai fini dell’accertamento, la L. 9/1963, richiede alcuni requisiti soggettivi e oggettivi; infatti, si considerano coltivatori diretti solamente coloro che “si dedicano abitualmente e direttamente alla manuale coltivazione dei fondi o all’allevamento ed alla custodia del bestiame, sempre che il fondo coltivato o l’attività svolta richieda un fabbisogno annuo di lavoro non inferiore a 104 giornate e che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per le normali necessità aziendali.”.
A supporto di tale lettura della norma, sempre la Corte di cassazione, richiama l’articolo 78-bis, comma 3, D.L. 104/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. 126/2020, che “nell’interpretare autenticamente e con effetti retroattivi la disciplina IMU, nel senso di considerare coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali anche i pensionati, richiede soltanto che gli stessi continuino a svolgere attività in agricoltura con modalità idonee a mantenere l’iscrizione nella relativa gestione previdenziale e assistenziale agricola”.
Applicando la lettura della norma proposta dalla Cassazione con l’ordinanza in commento di fatto i Comuni vengono “privati” della facoltà di verificare in concreto l’effettivo rispetto dei requisiti richiesti dalla norma.